Daniele Fazio, Cristianità n. 431 (2025)
1. La casa editrice D’Ettoris ha pubblicato il primo studio in lingua italiana sulla figura e sulla prospettiva teologico-spirituale di dom François de Sales Pollien, O. Cart. (1853-1936), lette nell’ottica del contributo che può rappresentare anche oggi la proposta del maestro spirituale savoiardo per la soluzione, a partire dalla centralità di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, della crisi antropologica del nostro tempo e a beneficio della formazione di laici cattolici in vista della nuova evangelizzazione (don Giuseppe Zanghì, Cristo piena umanità. Nuova lettura di Dom François Pollien, con presentazione di S.E. mons. Cesare Di Pietro, D’Ettoris Editori, Crotone 2024).
L’Autore, presbitero dell’arcidiocesi di Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela, ha approfondito la figura di dom Pollien in occasione del conseguimento del dottorato di ricerca in Teologia presso la Pontifica Università Gregoriana di Roma, rimeditandola alla luce degli insegnamenti del Magistero, soprattutto degli ultimi tre pontificati.
Il testo, molto articolato, si apre con i Ringraziamenti (p. 9), la Presentazione (pp. 11-14), firmata da mons. Cesare Di Pietro, vescovo ausiliare della suddetta arcidiocesi, la Prefazione (p. 15-17) e l’Introduzione (pp. 19-39). Segue lo studio vero e proprio, diviso in tre parti. La prima, intitolata Vita e Opere (pp. 43-140), annovera due capitoli: La vita e Le opere; la seconda, Cristologia e antropologia per la vita cristiana (pp. 143-239), si divide tre capitoli: Gesù Cristo, principio e fondamento dell’uomo, Gesù Cristo, via e verità per l’uomo e Gesù Cristo, vita dell’uomo; la terza, Servizio alla Chiesa (pp. 243-292), è composta da altri due capitoli: I principi per vedere, giudicare e agire e Contributo per la riforma nella continuità. Seguono la Conclusione (pp. 293-300) e la Bibliografia (pp. 301-315).
2. Nella Presentazione mons. Di Pietro nota che, davanti alla «catastrofe antropologica» su cui la Chiesa si è piegata nel nostro tempo, l’attenzione alle opere di dom Pollien è un ausilio per tutti: per i laici, specialmente giovani, per i religiosi e per i presbiteri perché, pur nella diversità delle vocazioni, mettano al centro Cristo, consapevoli che «per mezzo di Gesù Cristo, ogni essere umano può finalmente realizzare se stesso. Infatti, per la prima volta e per sempre, Gesù Cristo, l’Uomo-Dio, concretizza la vocazione della creatura che è quella di perseguire la gloria di Dio con un comportamento improntato all’unione-unità umile, amorevole e spontanea, l’amore ex toto (Mt 22,37), in un crescendo di perfezione, ossia nella libertà dalle vischiosità o falsificazioni dell’umano chiuso in se stesso» (p. 13).
Nella Prefazione l’Autore pone l’accento, con il Magistero, sul superamento di una visione individualistica della fede, che si traduce in spinta missionaria e consente di riappropriarsi della gioia di annunciare il Vangelo in un contesto bisognoso di incontrare il volto della misericordia del Padre attraverso Gesù Cristo. In tale ottica vanno superate alcune sfide, fra cui quella principale di non ammettere compromessi tra la fede e la mentalità mondana. Una fede libera dalla mondanità si nutre di una personale amicizia con Gesù Cristo nell’esperienza della preghiera e del servizio ai poveri, non si lascia rubare la speranza e s’impegna nella storia per un mondo migliore. «Questi princìpi e ideali […] li troviamo già, con un linguaggio suo proprio, in dom Pollien che pertanto può ancora svolgere un efficace servizio alla formazione a favore delle nuove generazioni che avvertono il bisogno di una profonda e completa formazione dottrinale, morale e spirituale per riformare se stessi e riformare la società» (p. 16).
La constatazione del fallimento dell’umanesimo ateo e il ritorno a Dio, seppur confuso, dell’età post-moderna — nell’Introduzione — fanno da incipit e da Leitmotiv nel percorso volto a spiegare ai lettori come la considerazione degli scritti di dom Pollien con una visuale prettamente cristocentrica non è peregrina ma coglie il cuore dell’azione formativa del certosino. Egli voleva infatti che l’uomo si sviluppasse sulla base di quei princìpi — osteggiati dall’ideologia post-umanistica e persi di vista spesso anche dagli ambienti cattolici fra XIX e XX secolo — strenuamente da lui ricordati e rilanciati. Tali princìpi traggono la loro forza da Gesù Cristo, per cui «il titolo di questo studio Cristo piena umanità, nuova lettura di dom Pollien appare chiaramente inusitato negli e sugli scritti di dom Pollien» (p. 22). Le sue indicazioni formativo-spirituali non erano semplicemente rivolte ai religiosi, ma anche alle necessità dell’apostolato dei laici in un tempo in cui la pressione della Rivoluzione richiedeva un forte vigore, dottrinale e spirituale. La proposta educativa di dom Pollien, pertanto, è stata feconda e la si vede in personaggi come mons. Andrè Saint Clair (1859-1936), Henri Bazire (1873-1919), don Jean-Émile Anizan (1853-1928) e il beato Giuseppe Toniolo (1845-1918); essa, inoltre, ha avuto influsso negli ambienti dell’Università francese di Lille e in contesti socio-sindacali francesi e italiani.
Le opere del certosino «sono determinate da varie circostanze ma evidenziano sempre una particolare illustrazione della sua visione dell’uomo costitutivamente orientato a rendere gloria a Dio in Cristo» (p. 23). Egli vede tutto ciò realizzato nella vita di pietà, che supera ogni tendenza al nulla, alimentandosi dell’amore al Signore e al suo Corpo, grazie a Maria Santissima, il modello ideale dell’uomo deciso a percorrere la via della perfezione e ad accettare spontaneamente precetti e consigli divini, in primis la pratica dei Comandamenti, in cui egli si sforza di realizzare la volontà di Dio. Pertanto, «l’antropologia cristiana di dom Pollien passa necessariamente attraverso la descrizione dell’azione interna di Gesù Cristo in chi si lascia guidare da Lui. Gesù Cristo non è solo l’ideale, la via e la verità dell’uomo, ma anche il mezzo per eccellenza per la sua vita in pienezza, per conseguire cioè la gloria di Dio, la sua santificazione» (p. 26).
La riflessione del certosino — nota don Zanghì — spiega, in piena sintonia con gli autori della scuola contro-rivoluzionaria cattolica — Joseph de Maistre (1753-1821), Louis-Gabriel-Ambroise De Bonald (1754-1840) e Juan Donoso Cortès (1809-1853) —, che la società creata dalla Rivoluzione ha rotto l’equilibro, instaurato dall’Incarnazione, fra natura e grazia. Tale unione, sul modello anima-corpo dell’uomo, deve essere ricostruita e promossa, a cominciare dalla famiglia, sul cui modello vanno ripristinate le altre istituzioni sociali al fine di far crescere pienamente in ogni loro dimensione i membri della società: «l’unione-unità dell’uomo con la volontà di Dio, colta nella sua proprietas, caratteristica dimensione sociale, costituisce un punto capitale nella riflessione di dom Pollien sul retto ordinamento della società, risultante della complementarietà fra tutte le sue componenti aventi come perno l’autorità» (p. 29). D’altro canto, va combattuto, innanzitutto con la preghiera e con la penitenza, quanto avvelena la società e l’istruzione pubblica, cosa che il certosino individua nei demòni della menzogna e dell’errore, dell’orgoglio e della ribellione. L’uomo, invece, non deve vivere per il proprio piacere ma per Dio: questo è il suo dovere principale. L’accoglienza di Cristo, sull’esempio di Maria, è fattore di autentica realizzazione per i singoli e per le civiltà, così come il suo rifiuto è drammaticamente portatore di decadenza e morte.
L’autore fa notare che, per quanto dom Pollien sia vissuto in un tempo diverso dal nostro, la sua opera contribuisce a impostare la soluzione del problema dell’uomo contemporaneo, allora incipiente e certamente non ancora risolto. Ed è questa la prospettiva in cui il suo studio si pone: «far emergere dalla sua impostazione teologica classica […] la visione dell’uomo nella trama dei suoi rapporti visti nella luce di Cristo fino a delineare una vera visione storico-antropologica cristiana. La chiave di lettura cristologico-antropologica, cui orienta specificamente dom Pollien stesso, ci consente di cogliere la sostanza della sua impostazione formativa, finora forse disattesa, e ci induce a menzionare semplicemente altri elementi concomitanti e pur sempre importanti» (p. 38).
3. La prima parte, Vita e Opere, offre un’articolata presentazione della figura del certosino e della genesi e della realizzazione dei suoi scritti spirituali, nonché dell’impatto che questi hanno avuto nel suo tempo e che potrebbero avere nel nostro. Don Zanghì si è immerso nel grande silenzio che circonda la vita di ogni certosino per delineare i principali tratti biografici di dom Pollien e per descrivere minuziosamente le sue opere. Il nome secolare del certosino, nato il 1° agosto 1853 in un paesino dell’Alta Savoia, Chèvenoz, in diocesi di Annecy, è Pierre-Joseph. Egli è il secondogenito di una famiglia credente: due sue sorelle minori diventeranno religiose. Si forma nel seminario diocesano e riceve l’ordinazione sacerdotale nel 1877. Dopo sette anni e diversi incarichi di apostolato, fra cui quello fra i giovani, il giovane sacerdote diocesano entra come postulante nella Grande Certosa di Grenoble, dell’ordine fondato da san Bruno di Colonia (1030 ca.-1101), e nel 1885 emette la professione religiosa, scegliendo come nome quello del suo grande conterraneo san Francesco di Sales (1567-1622). In varie certose, francesi e italiane, ricopre diversi incarichi: confessore, direttore spirituale, coadiutore, definitore nei Capitoli — cioè consigliere del superiore in occasione delle riunioni provinciali o generali —, visitatore delle case di quasi tutta Europa, priore e Antiquior, cioè il terzo in ordine di rango dopo il priore e il vicario. Finalmente giunge alla certosa di Serra San Bruno, in Calabria, dove incontra fugacemente padre Domenico Mondrone S.J. (1897-1985), che ne ricorda la fisionomia di monaco alto, calvo e infermo nelle gambe. Già molto provato nella salute fin dagli anni del postulandato a causa di un incidente, in età avanzata, quasi cieco e con una diminuzione di voce, partecipa comunque alla Messa conventuale, sussultando e ravvivandosi all’intonazione del Credo, in cui contemplava la sintesi dei misteri nei quali aveva creduto e che si era impegnato a trasmettere tramite le sue opere. Muore il 12 febbraio 1936. Trovandolo morto, «il suo infermiere […] rimase attratto dal suo volto che emanava una grande pace, quella stessa […] che irradiava il suo sorriso anche in mezzo ai dolori durante la sua lunga infermità, una pace che riassumeva egregiamente la mitezza, l’armonia e il vigore della sua personalità pienamente umana perché totalmente fissa in Dio con la mente e con il cuore» (p. 49). Dopo i funerali, il priore pronunciò un sermone funebre tuttora avvolto nella segretezza.
Durante tutto l’arco della vita dom Pollien — come sostiene padre Mondrone in un articolo su La Civiltà Cattolica più volte citato nel volume — è stato un «solitario della vita e della penna». La sua produzione scritta, spesso pubblicata sotto pseudonimi o attribuita ad altri personaggi dell’epoca, è molto densa. Don Zanghì vaglia con meticolosità i vari testi facendone notare la recezione, le modifiche nelle varie edizioni dopo le «critiche» e le correzioni quasi mai malevole da parte di ambienti attenti alle proposte del certosino.
4. Le opere di dom Pollien sono le seguenti: A Reculons. Réflexions d’un ami; Soyez chretiens,pubblicata in italiano con il titolo prima di Viva Dio! e successivamente di Cristianesimo vissuto; La vita interiore semplificata e ridotta al suo fondamento, che ha avuto venti edizioni, la prima nel 1894 e l’ultima nel 1945; La vita contemplativa e il suo valore apostolico; Commentaire sur le Statut des fréres; Grandezze mariane; La pianta di Dio, pubblicata in italiano nel 1949, ma la versione in francese risale con probabilità al 1907; Les élevations monastiques de dom Pollien e Crescite et multiplicamini (cfr. anche la nota bibliografica alle pp. 301-305).
Tali sforzi «non sono elaborazioni concettuali staccate dalla realtà, bensì formulazioni di principi, riflessioni e orientamenti, da lui stesso vissuti nella pratica della preghiera e delle scelte vitali, messi di volta in volta a disposizione di coloro che ricorrevano ai suoi consigli e alla sua guida spirituale» (p. 51). Così nelle prime opere edite troviamo, secondo una sequenza induttiva, un chiaro riferimento ai princìpi necessari per attuare il retto ordine personale, ecclesiale e sociale cristiano, nonché una critica profonda al male dell’individualismo, retaggio della mentalità rivoluzionaria, che si riverbera anche all’interno del mondo cattolico, cui pone come soluzione la rinnovata attenzione alla famiglia e alle responsabilità sociali a essa connesse; da queste ne trae che si debba curare la formazione delle persone che la compongono e che essa vada posta sempre a fondamento dell’edificio sociale, come esige il progetto di Dio. Già queste prime indicazioni — osserva l’autore — risultano molto feconde, informando e formando, per esempio, Jean Emile Anizan (1853-1928), fondatore dei Figli della Carità e delle Ausiliatrici della Carità, come pure stimolando la formazione di un sindacato cattolico in Francia. In Italia, soprattutto Soyez chretiens colpisce l’attenzione del sociologo ed economista Giuseppe Toniolo (1845-1918), che ne scrive un’introduzione. Toniolo trova l’opera utile in particolare per i laici impegnati al momento di prendere decisioni fondamentali. I laici, infatti, devono curare innanzitutto la riforma personale, recependo il contributo che Pollien dà nella prospettiva del Principio e fondamento degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola (1491-1556). Il nucleo più profondo di tale impegno dovrà quindi essere l’unione di fede e di vita e il mantenimento del primato di Dio su ogni cosa.
La vita interiore semplificata è la prima opera «maggiore» del certosino. Don Zanghì ne segue le varie redazioni ed edizioni, con particolare attenzione alla sesta, all’ottava e alla diciassettesima — su cui è stata curata l’edizione italiana —, fino alla stesura definitiva. Quello dello scritto spirituale di dom Pollien è stato un indubbio successo editoriale: in Italia ha visto dieci edizioni, di cui l’ultima nel 1996, sempre con la presentazione di padre Mondrone, risalente al 1953.
L’accoglienza dell’opera, fra il XIX e il XX secolo, è soddisfacente: il mondo cattolico sentiva infatti la necessità di un rinnovamento della spiritualità caratterizzata da pratiche non sempre alimentate da una puntuale riforma di vita sulla scia della devotio moderna, della drammatizzazione ignaziana e dell’umanesimo devoto, una forma di spiritualità presente soprattutto in Francia, che mette al centro l’umanità di Gesù Cristo a partire dal mistero dell’Incarnazione. Essa, quindi, «è stata letta, meditata e apprezzata nei vari Seminari e Istituti religiosi […]. Pervenne anche in Polonia come rivelò il Papa Giovanni Paolo II [1978-2005] al Priore della Certosa di Serra S. Bruno in occasione della sua visita alla medesima» (p. 72). Tuttavia, non mancarono critiche, correzioni e suggerimenti — per esempio da parte di chi era legato alla spiritualità ignaziana come la rivista dei gesuiti francesi Études —, che indussero dom Pollien ad apportare diversi miglioramenti al fine di evitare equivoci linguistici e concettuali. Comunque, da questo lavoro di revisione emergono i metodi innovativi di Pollien, dall’attenzione all’«imperfezione» e alla «pratica» dell’«occhiata». L’autore afferma: «a noi sembra che dom Pollien abbia offerto un contributo prezioso per una più esplicita impostazione personalizzata della spiritualità cristiana con la sua insistenza a fare tutto per dare gloria a Dio e non pensiamo di poter sorvolare sulla necessità del mio Dio, grazie! davanti alla sofferenza nella vita cristiana a meno che non ci si voglia privare dell’esperienza più profonda del mistero salvifico di Cristo che abbraccia volentieri la croce e vuole il nostro coinvolgimento e la nostra cooperazione al fine di compiere la volontà del Padre suo e di conseguire i frutti abbondantissimi della riparazione con lui» (p. 96). La grande intuizione del certosino è quella dell’«unione-unità» con il divino che costituisce la sostanza della sua vita e della sua opera e la si ritrova in tutti i suoi scritti editi e inediti, quando egli cala i princìpi della sua opera spirituale in situazioni le più diverse e dinnanzi a pubblici variegati. Anche negli scritti più specificamente dedicati alla vita religiosa emerge la sua consapevolezza che una tale vocazione giovava alla salvezza del mondo e doveva realizzare l’unione con Dio attraverso la preghiera e la penitenza, mezzi indicati da Cristo stesso per cacciare i demòni da una società spinta verso la scristianizzazione.
L’umanità unita con Dio, in cui l’umano è totalmente plasmato dalla grazia, ha un modello paradigmatico in Maria, la madre del Signore, cui Pollien dedica pagine molto profonde anche commentando l’Ave Maria e il Magnificat. Maria «[…] viene presentata come modello perfetto dell’uomo pienamente integrato con Dio per mezzo di Gesù Cristo nella mente, nel cuore, nei sensi. È l’Immacolata» (p. 108). Su questa scia, si può inserire anche il commento al cantico del Benedicite (cfr. Dn 3,51-90), in cui, in una prospettiva teologico-spirituale, si celebra l’uomo nel suo contesto universale e creaturale. Attraverso l’uomo tutta la creazione rende gloria a Dio e i mezzi che su questa terra sono utili a questo fine si rivelano nella teologia, nella scienza e nella poesia.
La Pianta di Dio si propone come il prosieguo e il compimento di quanto iniziato da dom Pollien ne La vita interiore. L’opera si compone di tre parti, «la pianta», «la coltivazione» e «i mezzi», e rivela un impianto fortemente cristologico: «se dal punto di vista autenticamente razionale-filosofico, l’uomo vive nel contesto del servizio doveroso per la gloria di Dio, ora, grazie all’incontro con Gesù Cristo, Verbo Incarnato, fa l’esperienza elevante della comunione e della spontaneità dell’Amore di Dio che lo rende partecipe del suo mistero di uomo-Dio divinizzandolo» (p. 123). Ciò significa che Cristo è il modello da seguire per la pratica della volontà di Dio, facendo eclissare l’umano a favore del divino. In questa prospettiva, alla luce di Cristo, si può realizzare il rinnovamento del mondo tanto nella Chiesa quanto nella società civile: «l’Incarnazione è l’idea ispiratrice e direttrice di tutto, nella Chiesa, in ogni autentico cristiano, nella società e in tutti gli esseri» (p. 127).
Le ultime due opere presentate, e tuttora inedite, Les élevations monastiques e Crescite et multiplicamini, hanno un grande spessore teologico e approfondiscono, da un lato, la prospettiva dell’«unione-unità» con Dio della vita del religioso certosino e, dall’altro lato, la dimensione sociale dell’uomo non solo dal punto di vista naturale, ma anche all’interno della dinamica della creazione e della redenzione. Nelle parole divine «crescete e moltiplicatevi» (Gn 1,28) vi è una miniera inesauribile di insegnamenti che si possono racchiudere sotto la categoria della legge: legge individuale, sociale e organica. Il certosino sviluppa una riflessione sulla società, sottolineando che essa ha il suo nucleo primigenio nell’unione dell’uomo e della donna sull’esempio del rapporto che intercorre fra Cristo e la sua Chiesa. In questa prospettiva dom Pollien riflette sull’origine divina dell’autorità, presentandone il fondamento naturale e rivelato, senza però trascurare la presenza del male il cui problema egli risolve appellandosi alla lezione di sant’Agostino d’Ippona (354-430). Comunque, «[…] compiendo ognuno i doveri del proprio stato, nel contesto di una collaborazione organica, portando tutti in comune il peso gli uni degli altri, ci sarà l’uguaglianza, l’ordine, la vita, la pace e il riposo del settimo giorno a cui mira l’impegno sociale per eccellenza» (p. 140).
5. Nella produzione di dom Pollien spiccano due opere, La vita interiore semplificata e ridotta al suo fondamento e La Pianta di Dio. Nella seconda parte del volume don Zanghì descrive ciò che a esse soggiace, ossia il «riferimento alla centralità di Gesù Cristo nella spiritualità cristiana particolarmente sentita oggi» (p. 143).
Constatato che l’uomo ha una vita interiore e porta dentro di sé l’aspirazione all’eternità, tutta la sua vita dev’essere un itinerario per raggiungere tale fine. Dunque, l’uomo deve curare la propria anima, che è il tesoro più grande affidatogli da Dio, e trovare in Lui la propria realizzazione. In questo senso dom Pollien evidenzia aspetti naturali e soprannaturali: dall’integrazione delle facoltà conoscitive e volitive alla dimensione della vita interiore. Ne consegue che «una corretta impostazione della spiritualità cristiana, deve dunque, da un lato orientare alla sublimità del mistero dell’Incarnazione tutte le riflessioni razionali sul senso della vita umana per superare l’infantilismo di un certo culto semplicemente sentimentale; dall’altro, deve trarre dalla Rivelazione, manifestata nel mistero di Gesù Cristo, tutte le conseguenze vitali perché possa vivere la “pianta” che è ognuno di noi» (p. 147). L’uomo è costitutivamente orientato a Cristo. In Lui trova l’autentico fondamento delle proprie dimensioni e in tale prospettiva può crescere all’interno della famiglia ecclesiale avendo come modello Maria. Ciò implica che ogni uomo superi la mentalità del mondo, la chiusura egoistica e si apra alla conquista della vera libertà in Cristo. Ogni sua dimensione deve essere pervasa dal divino: «attraverso l’unione e l’unità in Cristo della mente, del cuore e dei sensi, l’uomo esprime in sé stesso la gloria e la pienezza di vita che è il suo compito essenziale e che raggiungerà il suo compimento nel Cristo totale, cioè in quella vita perfetta che sarà la Chiesa eterna, ossia il coronamento dell’opera divina in tutta la sua munificenza e in tutte le sue perfezioni» (pp. 161-162).
Fare la carità nella verità e la verità nella carità è la cifra della pietà cristiana, che è il grande contesto vitale in cui l’uomo deve vivere per poter compiere il suo itinerario salvifico. In altri termini, la pietà cristiana è l’unione con Dio in Cristo, esattamente come realizzato da Maria. Il pervertimento di un tale itinerario e di un tale fine sta nell’alienazione del peccato, che volge l’uomo verso le cose create e oblìa la volontà di Dio. Fuori da Dio l’uomo precipita nella vanità e contraddice la sua profonda vocazione alla verità e alla vita. Un tale esiziale disordine disintegra le facoltà umane e impedisce la crescita nella grazia. È in fondo la separazione dell’umano dal divino. L’esperienza del peccato però non è mai definitiva, perché la grazia divina invita l’uomo a riprendere il cammino: un percorso di cui dom Pollien vede diversi gradi — l’allontanamento dal peccato mortale, da quello veniale e dall’imperfezione — e che punta, attraverso un lavoro di perfezionamento, alla piena consumazione, ossia alla sottomissione totale dell’umano al divino. Ciò non dipende dal volontarismo dell’uomo, ma è sostanziato dall’azione redentrice di Cristo, perché grazie a Lui l’uomo può superare l’alienazione del peccato. Cristo libera dalla schiavitù di Satana e crea l’umanità nuova. Solo aderendo a Lui si può realizzare il dominio del divino sull’umano e ritrovare pienamente sé stessi. Ogni passo e ogni sacrificio, anche supremo, sarà fatto «per la gloria di Dio, che sarà al contempo la felicità dell’uomo, festa di Dio e festa dell’uomo in un concerto ininterrotto di lodi a Cristo che tutto ha dato, tutto ha fatto, tutto ha coronato facendo dell’uomo la “piantagione” di Dio che dà a Lui il frutto di gloria con il fiore della santità e canta l’Inno del ritorno in Patria (Sal 137,1ss), Gloria e Pace (Lc 2,14), proprio di chi è stato riscattato da Cristo che ha trionfato e trionfa con l’opera della Redenzione» (p. 185).
L’originale lettura della spiritualità di dom Pollien, fornita dall’Autore, segue una logica di approfondimento che parte dalla meditazione e dalle esigenze poste dalle parole di Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6). Gesù, essendo egli stesso Via e Verità, è il Maestro che indica come mettere in atto la volontà di Dio, anteriore a ogni altra considerazione, e, allo scopo, dona precetti e consigli. Egli stesso è la causa formale sia della conoscenza della volontà di Dio, sia della sua attuazione. La legge di Dio in Cristo è misericordia, giustizia e amore; seguendola, si cresce nella dimensione dell’uomo perfetto e, quindi, l’anima può spogliarsi dell’umano e rivestirsi del divino attraverso l’alternanza di consolazioni e di prove. In fondo, «bisogna essere riconoscenti a Dio per tutti i suoi doni, sia per quelli più crocifiggenti che per quelli più consolanti, essendo tutti segni della sua sollecitudine amorosa per la creatura» (p. 209). Dom Pollien descrive un cammino ascetico che consente di raggiungere la perfezione dell’indifferenza per cercare Dio e solo Dio. Alle vie ordinarie di pietà possono anche, per volontà divina, subentrare vie straordinarie; comunque, tutto è ordinato a costituire l’uomo nello speciale rapporto di filiazione adottiva con Gesù Cristo, santificandolo con la varietà dei doni dello Spirito, ragion per cui l’ottica semplicemente naturalistica, anche quando corretta, a lui non è più sufficiente, perché il composto umano deve essere pervaso e orbitare in pieno nella dimensione soprannaturale.
Il riferimento a Cristo, vita dell’uomo, rende possibile a quest’ultimo di vivere la sua esistenza autenticamente, impegnandosi nel perseguimento della gloria di Dio, e così raggiungere la propria felicità realizzando il fine per cui è stato creato. Penitenze, mortificazioni, abnegazioni appaiono, a questo punto, come dei corredi della pietà e servono per correggere e orientare, se unite alle sofferenze di Cristo, mente, cuore e sensi alla gloria di Dio. Esse sono correlate alla preghiera, alla grazia e alle varie pratiche di pietà, formando il corredo necessario per il combattimento spirituale. È doveroso ricordare, da un lato, che bisogna sempre esaminarsi sulle pratiche di pietà perché non siano inficiate da sentimentalismo e portino, anziché a cercare Dio, a perseguire solamente le sue consolazioni; e, dall’altro lato, impegnarsi a rifuggire l’autosufficienza, che non ci fa attingere alla grazia di Dio: senza di essa, infatti, non potrà verificarsi alcun miglioramento, anzi essa è la vita dell’anima e come tale «[…] è il mezzo decisivo per l’unione con Dio, già per la Vergine e quindi per gli angeli e per gli uomini» (p. 234).
Secondo don Zanghì, dom Pollien si preoccupa di «[…] spiegare che Gesù Cristo è il Verbo Incarnato, primogenito di ogni creatura (Col 1,15), luce vera che illumina ogni uomo con la sua venuta sulla terra (Gv 1,9), redentore che ha restaurato la gloria del Padre e la felicità dei suoi fratelli (la Chiesa) restituendo loro la grazia e la speranza della gloria, frutto del suo sacrificio purificatore e santificatore (Ef 5,26) realizzato con la Passione e consumato con il Calvario per l’infallibile amore del suo cuore da cui vengono i sacramenti.
«Questa prospettiva autenticamente cristologica ha motivato le considerazioni di dom Pollien sulla subordinazione di tutti gli esseri umani al loro unico fine (la gloria di Dio e la felicità dell’uomo, mediante l’ordinamento dell’essere nell’unità), sulla crescita in Dio con l’eliminazione dell’umano e sull’unione con Dio senza confusione, proprio secondo la dinamica dell’Incarnazione. Ha guidato anche tutte le sue indicazioni sulla sottomissione alla volontà di Dio, alla sua azione amorevole e saggia e sulla fusione con la sua unica volontà. Ha messo in evidenza la sostanza della vita cristiana cui accedono le pratiche di penitenza e di pietà in quanto partecipazione alla Passione del Signore, mediatore fra Dio e gli uomini (Tm 2,5) e sorgente di vita per l’umanità» (pp. 235-236).
6. L’attualità della prospettiva spirituale di dom Pollien è analizzata dall’Autore nella terza parte, Servizio alla Chiesa, che prende le mosse dal Leitmotiv dottrinale del certosino francese: «princìpi, princìpi!». Su questa scia egli scopre quanto sia importante irrobustire la formazione dei laici cattolici, dei presbiteri e dei religiosi dinnanzi alla smobilitazione e al compromesso vigenti, ma un vero rinnovamento non può realizzarsi senza la riforma personale e, quindi, quella sociale. All’evangelico «piccolo gregge» che è pronto a impegnarsi per la gloria di Dio e sente quindi fondamentale la necessità del conforto di una guida spirituale dottrinalmente sicura al fine di progredire spiritualmente e, quindi, di santificarsi e poi rinnovare la società, dom Pollien propone la forza dei princìpi e la coerenza con essi, non senza prevedere — da profondo conoscitore della fragilità umana — l’elasticità dei mezzi da adottare e delle modalità per vivere i princìpi calandoli nella quotidianità.
Senza una retta impostazione spirituale non si può neanche sperare in un impegno apostolico centrato sull’imitazione di Cristo, che realizzi, cioè, quell’«unione-unità» del cristiano con Dio, che è unione del divino con l’umano. I princìpi, in fondo, sono quelli indicati dalla retta ragione illuminata dalla fede trasmessa dal Magistero della Chiesa. In questo senso, proprio il già menzionato Toniolo fa notare l’importanza della proposta del certosino non solo per le singole anime, ma anche per le nazioni e per la civiltà, in quanto egli unisce naturale e soprannaturale e permette di superare scivolamenti verso il protestantesimo e il modernismo. Oltre a essere un puntuale servizio al laicato del XIX e del XX secolo, le pagine di dom Pollien favoriscono la comprensione della vita religiosa, l’importanza dell’adesione alla regola e di una vita vissuta all’insegna dell’offerta sacrificale spontanea, sostanziata dalla preghiera, dalla penitenza e dall’apostolato. Di conseguenza i monasteri rappresentano una grande ricchezza per l’intera Chiesa e per il mondo, «scuole superiori» della Chiesa e di Dio per l’umanità.
Il ministero sacerdotale, altresì, deve essere circondato da stima e ammirazione, considerata la fecondità della triplice facoltà donata ai sacerdoti: l’insegnamento, la santificazione e il governo. Con essa il mistero dell’Incarnazione viene applicato a vantaggio dell’umanità in modo tale che uomo e Dio siano veramente uniti: per mezzo del sacerdozio cristiano avviene così la redenzione del mondo. Il sacerdote, dunque, nella sua vita quotidiana «[…] avrà cura, venendo a contatto con uomini e cose, che deve giustamente conoscere per procurare loro salvezza, di riportare se stesso dalla circonferenza al centro, con l’impegno di evitare la ricerca di se stesso nell’esercizio del suo ministero o la stessa utilità altrui considerata semplicemente sotto un “aspetto troppo utilitario, troppo umano”, cioè “mescolato” ad “utilità” e “considerazioni” varie di carattere “più o meno temporali troppo rivolte alle creature”» (p. 259).
Nell’ottica della «riforma nella continuità» di Papa Benedetto XVI (2005-2013) don Zanghì legge dom Pollien come un autore da cui possono nascere chiare e feconde prospettive di umanesimo cristiano, vista la centralità nella sua spiritualità della persona di Gesù Cristo: la Chiesa lo ha sempre alimentato e, ultimamente, fra i secoli XX e XXI, intende perseguire, come era già nello spirito e nella lettera del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) e come il Magistero non smette di insegnare nella quotidianità ai cristiani e agli uomini di buona volontà.
In questo senso vengono citati, fra i testi magisteriali più significativi, il paragrafo n. 22 della costituzione conciliare Gaudium et spes, l’enciclica di san Giovanni Paolo II Redemptor hominis — con il richiamo all’enciclica Ecclesiam suam di san Paolo VI (1963-1978) —, nonché la Dichiarazione Dominus Jesus della Congregazione per la Dottrina della Fede. Ma altrettanto significativi sono i richiami al Catechismo della Chiesa cattolica, alle encicliche Spe salvi e Caritas in veritate di Papa Benedetto XVI e ai primi atti magisteriali del pontificato di Papa Francesco, valorizzando soprattutto la nozione di «mondanità spirituale»: una tale presentazione, secondo don Zanghì, «ci permette di cogliere la sintonia dell’elaborazione teologico-spirituale di dom Pollien con il Magistero medesimo e ci induce ad esplicitarne l’attualità ecclesiale in riferimento alla centralità di Gesù Cristo nella sua duplice dimensione personale e sociale» (p. 268).
Nell’ottica dell’edificazione di una nuova civiltà cristiana, «il tracollo dell’umanesimo porta con sé il tracollo della civiltà a misura d’uomo e secondo il piano di Dio e dunque al tramonto della civiltà cristiana ormai riconoscibile e riconosciuto, ma nello stesso tempo induce ad una ripresa del cammino di fede e di consapevolezza morale a partire dalle comunità cristiane chiamate ad inculturare la fede» (p. 286). Il Quaerere Deum benedettino — ricordato più volte da Papa Ratzinger — e la spinta a diffondere la gioia del Vangelo sottolineata da Papa Francesco, quali condizioni per poter rigenerare il tessuto sociale in vista di una nuova società cristiana, sono ancora una volta consonanti con la prospettiva di dom Pollien che, certamente ignaro dei problemi di oggi e facendo memoria della civiltà cristiana pregressa, offre delle lucide riflessioni in ordine alla tematica sociale a partire dal necessario riordinamento dell’anima post peccatum: «innanzitutto bisogna obbedire a Dio e a Lui solo. Questo è il segreto del progresso sociale a tutti i livelli. Più diventiamo servi di Dio, più diventiamo padroni delle cose; più ci riportiamo all’unione divina, più il mondo si riconduce all’unione umana, tanto è vero che Cristo è il legame di tutto, legame dell’uomo con Dio, legame delle creature con l’uomo» (p. 291).
Giungendo alle Conclusioni, l’autore evidenzia come la spiritualità del certosino sia incentrata sul mistero dell’Incarnazione, da cui ricava l’intuizione originale dell’«unione-unità»dell’uomo con Dio. Il quadro in cui sono inserite le sue riflessioni teologico-spirituali tiene sempre presente il fine dell’uomo, cioè la gloria di Dio, da cui consegue la felicità dell’uomo stesso. Invertire i termini non significa altro che tradire l’intima vocazione umana e produrre disorientamento, anche sociale. Perciò l’uomo non può che tenere sempre lo sguardo fisso sul suo fine ultimo e ricercare durante la sua vita Dio come il primo, come l’unico. Al di là dell’uso di un linguaggio oggi desueto, in dom Pollien, secondo don Zanghì, si trovano riflessioni puntuali per un fecondo incontro tra fede e cultura, per una fede vissuta nella concretezza della vita quotidiana, in famiglia, nella Chiesa e nella società, che favorisca l’impegno per la nuova evangelizzazione.
Centrati su Cristo, i cristiani vivono la morale naturale e soprannaturale all’insegna dell’amicizia paterna e filiale con Dio. Quella di dom Pollien è un’antropologia teologica che vuole superare i riduzionismi ideologici e — in prospettiva più generale — liberare il cristiano dalla dialettica quietismo-naturalismo, comprensibile oggi nella denuncia di Papa Francesco circa la dialettica fra gnostici e pelagiani. Su questa scia, l’impegno concreto non può che essere quello dell’instaurazione o rinnovamento di tutte le cose in Cristo, secondo il detto paolino. Ciò a beneficio di tutti e in particolar modo dei laici cattolici impegnati nel superamento della crisi attuale, che necessita di uomini dottrinalmente e moralmente rigenerati nello spirito, anche attraverso le pratiche penitenziali: «è la vita perfetta inzare singolarmente e socialmente l’incontro dell’umano con il divino per la vera crescita della Pianta di Dio e la sua ricca produzione già in qualche modo visibile nella storia, il regno di Maria, dei Sacri Cuori che la Chiesa non cessa mai di servire» (pp. 299-300).
Nella spiritualità di Alleanza Cattolica, insieme agli Esercizi spirituali di sant’Ignazio, la meditazione della proposta di dom Pollien condensata in Cristianesimo vissuto ha costituito e costituisce, per volontà del fondatore Giovanni Cantoni (1938-2020), un elemento fondamentale e centrale per la formazione dei propri soci e amici, proprio perché non vi può essere alcuna riforma sociale senza che si metta innanzitutto mano alla riforma personale in prospettiva, appunto, della santificazione e della salvezza. L’opera di don Zanghì, pertanto, permette di attingere alla spiritualità del certosino francese e di conoscerne a pieno l’opera e la prospettiva: essa non può che essere vista anche come un utile sussidio per meditare nell’Anno Santo sulla centralità di Gesù Cristo a partire proprio dal grande mistero dell’Incarnazione che ogni Giubileo tematizza, evocando gli anniversari venticinquennali della venuta nel mondo della Seconda Persona della Santissima Trinità, come vero Dio e vero uomo.
Daniele Fazio
