Giovanni Paolo II, Cristianità n. 304 (2001)
Discorso ai partecipanti all’Incontro Internazionale UNIV 2001 sul tema Un volto umano per il mondo globale, del 9-4-2001, nn. 2-5, in L’Osservatore Romano, 9/10-4-2001. Titolo redazionale.
Non può essere l’economia a dettare i modelli e i ritmi dello sviluppo e, se è doveroso provvedere alle necessità materiali, mai vanno però soffocati i valori dello spirito. Il vero deve prevalere sull’utile, il bene sul benessere, la libertà sulle mode, la persona sulla struttura. D’altronde, criticare non basta; bisogna andare più in là: occorre essere costruttori. Il cristiano, infatti, non può limitarsi ad analizzare i processi storici in corso, mantenendo un atteggiamento passivo, come se essi eccedessero le sue capacità di intervento, perché guidati da forze cieche ed impersonali. Il credente è persuaso che ogni evento umano sta sotto la provvida mano di Dio, il quale chiede a ciascuno di collaborare con Lui nell’orientare la storia verso un fine degno dell’uomo.
In definitiva, la questione di fondo ruota attorno ad una domanda decisiva: come vivo io la fede cristiana? È per me soltanto un insieme di credenze e di devozioni chiuse nella sfera privata, oppure è anche una forza che chiede di tradursi in scelte che incidono nel mio rapporto con gli altri? Un uomo e una donna di fede quanto possono influire sulla società!
Fa parte del realismo cristiano capire che i grandi mutamenti sociali sono frutto di piccole e coraggiose scelte quotidiane. Voi vi domandate spesso: quando questo nostro mondo giungerà a configurarsi appieno al messaggio evangelico? La risposta è semplice: quando tu per primo agirai e penserai stabilmente secondo Cristo, una parte almeno di quel mondo gli sarà, in te, consegnata. Il Beato Josemaría […] ha scritto: “Sei, fra i tuoi — anima d’apostolo —, la pietra caduta nel lago. Produci, col tuo esempio e con la tua parola, un primo cerchio… e questo un altro… e un altro, e un altro… Sempre più largo. Capisci adesso la grandezza della tua missione?” (Cammino, 831).
Nell’odierna società, che persegue l’ottimizzazione dei percorsi produttivi, si avverte un processo di uniformizzazione, che pone a repentaglio le libertà personali e le stesse culture nazionali. Come reagire? La dottrina sociale della Chiesa contiene i principi di una risposta che rispetta il ruolo degli individui e dei gruppi. Ma per promuovere una cultura globale di quegli assoluti morali che sono i diritti della persona, occorre che ciascun cristiano cominci da se stesso, sforzandosi di riflettere in tutti i propri pensieri e nei propri atti l’immagine di Cristo.
Questo non è certo un programma facile. È piuttosto un atto di fede impegnativo, perché seguire Cristo significa intraprendere una via che porta al rinnegamento di se stessi per donarsi a Dio ed ai fratelli.
Nel Messaggio per la […] Giornata Mondiale della Gioventù […] ho scritto che Cristo “è un Messia al di fuori di ogni schema e di ogni clamore, che non si riesce a capire con la logica del successo e del potere, usata spesso dal mondo come criterio di verifica dei propri progetti”. Ed ho spiegato che mettersi al seguito di un Maestro così comporta il coraggio di un “sì” pieno alla sua chiamata: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc. 9, 23). Queste parole esprimono la radicalità di una scelta che non ammette indugi e ripensamenti. È un’esigenza dura; questa parola suona ancor oggi scandalo e follia (cfr. 1 Cor. 1, 22-25). Eppure è con essa che ci si deve confrontare.