Il rogo del Corano e quello delle vetrine parigine sono figli del relativismo permissivista
di Silvia Scaranari
Cosa lega i recenti fatti di Francia con il Corano bruciato in piazza a Stoccolma la scorsa settimana? Sembrano lontani, eppure sono lo stesso identico fenomeno: la difficoltà della presenza islamica in Europa. A Nanterre un ragazzo musulmano viene freddato ad un posto di blocco: incidente? Paura del poliziotto? Fraintendimento? Provocazione? Lo chiarirà l’inchiesta in corso, ma il fatto ha generato una sollevazione inattesa di proteste, di vandalismi, di violenze.
L’opinione pubblica viene orientata a pensare che sia il risultato dell’esasperazione di musulmani emarginati, discriminati, disoccupati… che trovano motivo di protestare. Il problema è ben diverso. È l’emersione di quelle banlieu, di quei quartieri in cui si è perso il controllo dell’ordine pubblico, è la dimostrazione di un fallimento politico e culturale che non si vuole prendere in considerazione, perché è più comodo dare la colpa al razzismo e all’intolleranza, che alla fine generano la protesta.
A Stoccolma il gesto è compiuto da un signore di origini siriane, che contesta il “contenuto del Corano” o almeno così dichiara. E le autorità, dopo un po’ di dibattito, concedono la manifestazione. Razzismo da un canto e rispetto della libertà di espressione dall’altra? Forse, ma non credo che basti come spiegazione. Mi sembrano due facce della stessa medaglia, la difficoltà della coscienza europea ad avere dei principi e ad avere il coraggio di mettere paletti.
Sia la Svezia che la Francia danno una grande importanza alla laicità dello Stato e alla libertà religiosa, senza porre in discussione i contenuti né della laicità né della religione. Sia in Svezia che in Francia la presenza islamica è forte, tanto da far pronosticare al Pew Research Centre percentuali a due cifre entro il 2050 e questo avrebbe da tempo dovuto porre problemi di gestione sul lungo periodo. L’Europa ha sempre ragionato in base ai propri sacrosanti principi di libertà della persona, ma forse non ha valutato a sufficienza l’impatto che la creazione di comunità coese e di diversa matrice culturale potevano avere.In alcune zone della Francia, come della Germania o della Gran Bretagna, l’inserimento sociale è fallito perché la presenza islamica è diventata maggioritaria o, peggio, esclusiva.
In alcuni casi, per fortuna ancora sporadici, il controllo che leader religiosi o gruppi di estremisti esercitano sui fedeli, e soprattutto sulle donne, si è trasformato in un peso maggiore di quanto non fosse nel Paese d’origine. La comunità tende a irrigidire le norme e i costumi per non rischiare di perdere la propria identità e il proprio senso di appartenenza alla Umma e per marcare una distinzione dal mondo occidentale infedele e “satanico”. E così emergono casi di matrimoni combinati, anche con minori se non addirittura con bambine, controlli sistematici sul rispetto del digiuno o dell’abbigliamento in alcuni quartieri dove le stesse forze dell’ordine si rifiutano di entrare per i pericoli in cui potrebbero incorrere. Sono le aree che in Francia chiamano “zone urbane sensibili” o “zone franche”, dove governano gang di giovani musulmani e che, secondo l’ex-membro dei servizi di intelligence Alain Chouet, ammonterebbero a 1514 quartieri in 859 comuni. Circa quattro milioni di francesi che vivono con una legge “diversamente legale”, come il politically correct imporrebbe di dire.
L’integrazione non può avvenire dove i quartieri vedono crescere la presenza di un gruppo fino a diventare maggioranza. Invece dell’integrazione, si cade nell’esclusione reciproca e quindi scoppia la violenza, che vediamo in questi giorni, e neanche l’appello della nonna del giovane ucciso riesce a fare breccia. Un’Europa che non ha il coraggio di gestire le differenze preferisce dire che non esistono. E allora l’altra faccia della medaglia. L’adulto, responsabile, siriano naturalizzato svedese che ha sviluppato una profonda critica nei confronti della religione islamica e che,seguendo tutte le procedure burocratiche, chiede di svolgere una manifestazione di protesta di fronte alla moschea di Stoccolma.
Legittima espressione delle proprie opinioni, ma lo vuol fare bruciando il Corano. E le autorità lasciano fare, non hanno il coraggio di porre limiti, di dire che la libertà di espressione si deve fermare nel rispetto della sacralità religiosa dell’altro. La critica sì, l’offesa no. E perché no? Perché questa nostra Europa dovrebbe avere il coraggio di mettere paletti, la libertà religiosa è un bene primario della persona umana e quindi va rispettata, ma con dei paletti che rimandano alla dignità della persona.
Chi brucia il Corano e chi incendia le auto e sfascia le vetrine è il comune risultato di un relativismo che non ha il coraggio di dire dei no.
Mercoledì, 5 luglio 2023