
Le regole e i riti del conclave
di Michele Brambilla
Tra pochi giorni 133 cardinali elettori valicheranno la soglia della Cappella Sistina per decidere chi di loro dovrà diventare il 267° Successore di Pietro.
Non sempre, per eleggere un Papa, si è utilizzata la stessa procedura. Nei primi secoli della Cristianità l’elezione papale avveniva per acclamazione e il clero di Roma era sovente affiancato e condizionato dagli umori della folla. Il X secolo fu il momento in cui questo sistema palesò tutte le sue disfunzioni, con la Cattedra romana in balia degli umori di poche famiglie aristocratiche. Nel 1059 Papa Niccolò II (1059-1061) stabilì una volta per tutte che l’elezione del Pontefice era prerogativa dei soli cardinali. I cardinales non erano altro, in origine, che i rettori delle chiese stazionali (cioè sede di una periodica processione) dell’Urbe: ancora oggi ogni porporato riceve un titolo corrispondente ad una parrocchia di Roma.
Il primo conclave stricto sensu si svolse nel Palazzo dei Papi a Viterbo tra il 1268 e il 1271. La popolazione, stanca di non avere un Papa dopo quattro anni di riunioni, chiuse i cardinali nell’edificio e razionò il cibo, costringendoli a prendere una decisione. L’idea, però, piacque e, a partire dal 1274, la parola “conclave” (cum clave, cioè “a chiave”) e la relativa procedura entrarono definitivamente nel diritto canonico.
I conclavi si sono tenuti quasi sempre, con poche eccezioni, nel Palazzo apostolico in Vaticano. La procedura attuale di elezione del Romano Pontefice prevede tre momenti.
Il primo si sovrappone ai Novendiali, ovvero ai nove giorni di lutto ufficiale per il Papa defunto. Dal punto di vista liturgico, i Novendiali iniziano con i funerali del Pontefice e prevedono ogni giorno una Messa solenne di suffragio, presieduta da un cardinale a turno. Nel frattempo, si svolgono le congregazioni generali, riunioni plenarie di tutti i cardinali, elettori e non elettori (il discrimine per entrare in conclave sono gli 80 anni di età, ma possono darsi differenti impedimenti dal punto di vista canonico, come nel caso, discusso in questi giorni, del card. Angelo Becciu), in cui si fa il punto della situazione della Chiesa. In questa fase i cardinali non sono ancora “sotto chiave”, ma le riunioni sono comunque preziosissime per approfondire la conoscenza reciproca tra i porporati e cominciare a fare un po’ di “vita comune”.
La mattina dell’ingresso nel conclave vero e proprio, che è la seconda fase dell’elezione pontificia, si tiene in S. Pietro la Messa pro eligendo Pontifice, presieduta dal cardinale decano, cioè il più anziano del collegio cardinalizio. Questi è anche colui che, al pomeriggio, chiude la processione di ingresso nella Cappella Sistina, che parte rigorosamente dalla vicina Cappella Paolina. All’interno della Cappella Sistina i cardinali trovano il posto loro assegnato, pronunciano il giuramento che li obbliga al segreto sulle procedure di elezione, dopo di che il maestro delle celebrazioni pontificie intima l’extra omnes per tutti coloro che non hanno diritto di voto. L’ultimo a lasciare la clausura del conclave è lo stesso cerimoniere, in compagnia del cardinale non elettore chiamato a predicare, appena chiuse le porte della Sistina, l’ultima esortazione ai porporati.
In base alle regole vigenti, si può raggiungere un massimo di 34 scrutini, dopo di che si procede al ballottaggio tra i due candidati più votati. Nelle votazioni ordinarie, ogni porporato segna il nome dell’eletto su un cartoncino, che depone su una patena davanti ai tre cardinali scrutatori, invocando la SS. Trinità a testimone. I cartoncini, man mano che vengono scrutati, sono uniti con un filo per tenerne il conto. Se il Papa non è eletto, sono gettati nella celebre stufa della Sistina aggiungendo un additivo scuro per fare la “fumata nera”. Ogni giorno ci sono quattro scrutini e due fumate, una a mezzogiorno e l’altra verso le 19.00. Se la fumata dovesse avvenire al termine di uno degli scrutini “intermedi” (metà mattina o metà pomeriggio), essa sarebbe certamente bianca, perché non ci sarebbe la necessità di procedere all’altra votazione prevista.
La terza fase del conclave inizia quando l’elezione è ormai di fatto avvenuta. Il cardinale decano (o il secondo più anziano nell’aula, in caso sia proprio il decano ad aver raggiunto il massimo dei voti) si avvicina all’eletto e gli chiede se accetta di diventare Papa. Una volta ottenuto il consenso dell’eletto, gli si chiede quale nome pontificale intende assumere. Il nuovo Pontefice si reca quindi nella “Stanza delle lacrime” (la sacrestia della Sistina), dove può sfogare i suoi sentimenti e indossare una delle vesti bianche predisposte secondo le taglie standard. Ritorna, poi, nella Sistina, dove riceve l’obbedienza dei cardinali.
Si forma, quindi, la processione verso la loggia centrale di S. Pietro, da dove l’eletto deve impartire la sua prima benedizione solenne. Il cardinale protodiacono esce sulla loggia con la croce astile e pronuncia l’Habemus Papam. Compare allora il Pontefice, subito acclamato dalla folla. A partire da san Giovanni Paolo II, il Papa ha facoltà di rivolgere ai fedeli anche alcune brevi frasi di circostanza. Il conclave è ufficialmente sciolto il giorno dopo l’elezione con la prima Messa pontificale nella Sistina davanti ai cardinali elettori.
Domenica, 4 maggio 2025