di Lorenzo Simonetti
Il 12 febbraio segna la nascita del naturalista britannico Charles Robert Darwin (1809-1882), padre dell’ipotesi evoluzionista più diffusa, ancorché oggi in versioni rimaneggiate e rivedute. Qualcuno addirittura celebra la ricorrenza con il nome pomposo di “Darwin Day”, ricco di un calendario di iniziative pubbliche tese ad alimentare quello che appare sempre più un vero e proprio “culto”.
Il “Darwin Day”, che nella forma attuale risale agli anni 2000-2001, nasce remotamente nel crogiuolo eterogeneo di manifestazioni celebrative promosse nel mondo anglofono già pochi anni dopo la morte del naturalista britannico. In Italia viene celebrato dal 2003 a cura dall’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti, più spesso nota con la sigla UAAR, una compagine connotata da un deciso spirito provocatorio e irriverente. Ora, in eventi così la scienza c’entra palesemente nulla, privilegiando i toni da “liturgia” miranti a confermare la “fede” dei “discepoli”.
“Fede” è del resto il termine appropriato per descrivere l’ipotesi darwiniana e neodarwinista. La scienza, infatti, è tutt’altra cosa, dato che l’evoluzionismo resta ancora e sempre una ipotesi (non una teoria scientifica) ancora bisognosa delle verifiche e delle convalide richieste inderogabilmente dal modo rigoroso di procedere del metodo scientifico (antico almeno mezzo millennio, nella sua formulazione moderna, e universalmente accettato e seguito scrupolosamente dall’intera comunità scientifica). Mancano, insomma, le prove.
Uno degli scogli maggiori dell’ipotesi evoluzionista (ma è così oramai da più di un secolo e mezzo, a far data dalle scoperte dell’abate Gregor Mendel [1822-1884]) è la genetica. Lo mostra significativamente il genetista statunitense John C. Sanford, docente per 30 anni alla Cornell University di Ithaca, nello Stato di New York, autore nel 2005 del volume Genetic Entropy, riedito in una quarta versione aggiornata nel 2014 e tradotto in italiano nel 2017 come Entropia genetica per i tipi dell’Associazione Italiana Studi sulle Origini di Milano.
Oggetto della critica di Sanford è anzitutto e soprattutto il cosiddetto «assioma primario» dell’ipotesi evoluzionista nella sua formulazione attuale, cioè l’idea secondo cui l’azione combinata di mutazioni genetiche e selezione naturale possa avere prodotto lo sviluppo continuo dalla “molecola all’uomo” nel corso di milioni e milioni di anni. Alla luce delle più recenti indagini scientifiche, il genetista statunitense dimostra infatti, con attenzione e raffinatezza, che non solo questo è indimostrato, ma che è pure errato e ultimamente impossibile. Il motivo è semplice: in natura le mutazioni genetiche avvengono sostanzialmente solo in negativo. La trasmissione di informazioni dal “libretto delle istruzioni” del DNA che dovrebbe dare origine a specie viventi nuove (speciazione) si sostanzia cioè solamente di perdite d’informazione e di “errori di battitura”, che per di più si accumulano da una generazione all’altra a un livello troppo microscopico e impercettibile perché la selezione naturale possa filtrarle (riesce infatti a eliminare gli errori più gravi).
Sanford rileva inoltre come la degenerazione genomica nella specie umana proceda a una velocità spaventosa, il che da un lato confuta l’idea di una evoluzione da forme viventi più primitive a forme più complesse (semmai si tratta di “involuzione”), dall’altro preconizza soltanto un futuro inevitabile di estinzione totale.
Al termine del suo studio, lo scienziato americano si chiede quindi come sia possibile che la comunità accademica dei genetisti resti irremovibile nel sostenere la validità dell’«assioma primario», nonostante i risultati a cui essa stessa empiricamente perviene ne richieda una revisione radicale. La risposta che Sanford propone nell’edizione più aggiornata del suo libro, su cui è stata condotta la traduzione italiana, pone l’accento sul fatto che quel tipo di revisione metterebbe a rischio la visione ideologica del mondo a cui anche buona parte della comunità scientifica aderisce, finendo per censurare la discussione scientifica libera e seria attraverso il silenzio del pregiudizio.
Entropia genetica intende insomma provocare profondamente il mondo scientifico. Finirà anch’esso nel dimenticatoio del silenzio?