Cominciamo a ricostruire quanto accaduto. Indipendentemente da come andrà a finire, l’intervento della Segreteria di Stato vaticana è stato corretto e coraggioso. Se lo Stato italiano prenderà in considerazione le preoccupazioni enunciate sarà un segnale di buon senso, altrimenti Chiesa e Stato in Italia marceranno sempre più spediti verso un’inevitabile separazione
di Stefano Nitoglia
Il 22 giugno L’Osservatore Romano pubblica un breve trafiletto con scritto che il 17 giugno è stata consegnata una Nota all’ambasciatore italiano presso la Santa Sede da parte della Segreteria di Stato. Nella Nota – tecnicamente definita “nota verbale” – si precisa che nel ddl.Zan sono presenti alcuni contenuti che «“riducono la libertà garantita alla Chiesa cattolica”, in tema di organizzazione, di pubblico esercizio di culto, di esercizio del magistero e del ministero episcopale», «ovvero quelle libertà sancite dall’articolo 2, ai commi 1 e 3 dell’accordo di revisione del Concordato del 1984».
In particolare nella Nota si legge testualmente: «Al riguardo (del ddl.Zan, ndr) la Segreteria di Stato rileva che alcuni contenuti dell’iniziativa legislativa-particolarmente nella parte in cui si stabilisce la criminalizzazione delle condotte discriminatorie per motivi “fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere” – avrebbero l’effetto di incidere negativamente sulle libertà assicurate alla Chiesa cattolica e ai suoi fedeli dal vigente regime concordatario. Diverse espressioni della Sacra Scrittura, della Tradizione ecclesiale e del Magistero autentico dei Papi e dei Vescovi considerano, a molteplici effetti, la differenza sessuale, secondo una prospettiva antropologica che la Chiesa cattolica non ritiene disponibile perché derivata dalla stessa Rivelazione divina».
«Tale prospettiva–prosegue la nota–è infatti garantita dall’accordo tra la Santa Sede e la Repubblica italiana di revisione del concordato lateranense, sottoscritta il 18 febbraio 1984». In particolare, per come vedremo più specificatamente infra, la Segreteria di Stato cita espressamente l’articolo 2, comma 1 e comma 3 del Nuovo Concordato.
Il Concordato
Un Concordato viene stipulato quando due realtà istituzionali, in questo caso lo Stato di una nazione e la Chiesa di quella stessa nazione, non sono in particolare sintonia, ma hanno la necessità di garantire la pace religiosa per il popolo che guidano, rispettivamente nell’ordine temporale e in quello spirituale.
Così accadde in Italia nel 1929, dopo la nascita del Regno d’Italia nel 1861 e la conquista militare da parte dell’esercito italiano di Roma nel 1870. C’erano molte cose da aggiustare, non solo territoriali (a questo ci pensò il Trattato) ma anche riguardanti le cosiddette “materie miste”, come il matrimonio, l’educazione, la scuola. Il Concordato del 1929 stabilì diritti e doveri di due realtà, Chiesa e Stato, che decisero di collaborare per il bene comune e il vantaggio di entrambi.
Un Concordato è strettamente legato alla società e ai suoi mutamenti. Se una società cambia anche le modalità del concordare è bene che cambino. Con il passare dei decenni la società italiana (e lo Stato) si sono progressivamente scristianizzati, in particolare dopo il 1968 e le leggi su divorzio e aborto, confermate da referendum popolari nel 1974 e nel 1981. Nacque, così, l’esigenza di modificare alcuni aspetti del Concordato del 1929 e si arrivò, nel 1984, a una revisione consensuale. La Chiesa stipulò un nuovo Concordato certamente meno confessionale, ma che le permise di mantenere alcuni privilegi e di ottenere un cospicuo introito economico attraverso il cosiddetto “otto-per-mille”. Da una parte era evidente che le due realtà concordavano sempre meno su alcuni aspetti fondamentali del bene comune, dall’altra era loro intenzione non mettere a repentaglio la pace religiosa che comunque c’era stata dopo il 1929, sia durante il fascismo sia dopo, nella Prima Repubblica. E allora si scelse questa modalità, che non accontentava i laicisti più accesi e i cattolici più desiderosi di vivere in uno Stato che riconoscesse i valori portanti, quali vita, famiglia e libertà di educazione; questo Stato auspicato dai cattolici, però, era un desiderio che per diventare realtà avrebbe dovuto essere preceduto da un radicale cambiamento della cultura della società per mezzo della conversione delle persone.
Fu proprio per colmare questa situazione di secolarismo diffuso che si cominciò (o meglio si continuò con più convinzione) a parlare di una “nuova evangelizzazione”, soltanto grazie alla quale, se e quando ci fossero dei cambiamenti reali, sarebbero potute cambiare anche le istituzioni.
L’intervento della Segreteria di Stato
E’ dentro questo contesto storico che si arriva all’intervento della Segreteria di Stato presso il governo italiano con la consegna di una “nota verbale” all’ambasciatore italiano presso la Santa Sede. La società ha continuato a scristianizzarsi, ma la Chiesa italiana è rimasta una realtà importante sia per il numero dei battezzati sia per il compito che svolge nel campo educativo, assistenziale e culturale. Il Concordato, rivisto nel 1984, continua a essere in vigore e quindi una “nota verbale”, consegnata alla controparte di fronte al rischio di un progetto di legge che potrebbe ledere la libertà di evangelizzare della Chiesa, non rappresenta nessuna ingerenza.
Cosa sancisce l’art 2, commi 1 e 3 del “Nuovo Concordato”
Il cosiddetto Nuovo Concordato fu siglato il 18 febbraio 1984, a Villa Madama, da Bettino Craxi, in qualità di presidente del Consiglio italiano, e dal cardinale Agostino Casaroli (1914-1998), quale Segretario di Stato vaticano.
Si tratta di un Accordo di revisione del Concordato lateranense del 1929, con il quale si è dato forma a un nuovo tipo di convenzione concordataria, incentrata sulla garanzia della libertà religiosa, intesa non solo come libertà negativa, ma anche come libertà positiva; con un testo più snello di quello del 1929, contando solo 14 articoli rispetto ai 45 del precedente, che però, nonostante questo, esplicita meglio alcuni principi.
L’ art. 2, comma 1, invocato dalla Segreteria di Stato, recita: «La Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica».
Il termine “riconosce”, usato dall’Accordo del 1984, rispetto a quello “assicura”, adoperato dal Concordato del 1929, dice qualcosa in più. Il termine “riconoscere”, infatti, significa che la libertà religiosa della Chiesa è un diritto originario e non derivato da una legge positiva dello Stato; è un diritto naturale, e come tale non può essere revocato né conculcato dal potere civile.
Il comma 3 del citato articolo 2, pure invocato dal Vaticano, recita: «È garantita ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».
Cosa è una “nota verbale”?
La “nota verbale” è una comunicazione diplomatica scritta in terza persona e non firmata e viene utilizzata per comunicare tra ambasciate oppure tra ambasciate e ministeri. Essa è contemplata dal cerimoniale diplomatico, che cura i rapporti tra gli Stati e regola la forma di tutti gli atti della vita internazionale.
Secondo la loro forma gli atti internazionali si distinguono in: comunicazioni orali, negoziati, promemoria, memorandum, nota verbale, nota, dichiarazione, lettere credenziali, lettere di pieni poteri, lettere di richiamo, allocuzioni di presentazione di credenziali o di richiamo, ecc., lettere politiche di capi di stato, lettere di cerimonia (che rispetto al contenuto sono di partecipazione, di felicitazione, di condoglianza, ecc.), manifesti, proclami, istruzioni, rapporti, ecc., trattati, convenzioni, accordi, concordati, scambî di note, protocolli d’adesione, di ratifica, ecc.
La Nota verbale è uno strumento molto utilizzato in ambito internazionale e ha un fine non di minaccia ma collaborativo, per prevenire possibili contrasti.
Tale fine è stato ribadito dal Segretario di Stato card. Parolin in una intervista a Vatican News del 24 giugno:«Avevo approvato la Nota Verbale trasmessa all’ambasciatore italiano e certamente avevo pensato che potevano esserci reazioni. Si trattava, però, di un documento interno, scambiato tra amministrazioni governative per via diplomatica. Un testo scritto e pensato per comunicare alcune preoccupazioni e non certo per essere pubblicato (…) si è scelto lo strumento della Nota Verbale, che è il mezzo proprio del dialogo nelle relazioni internazionali».
Si è trattato di una forma di garanzia previa. Il prof. Mirabelli, già Presidente della Consulta, dice che è meglio che ciò avvenga “prima” che “dopo”, perché «una “reazione” diplomatica dopo la violazione sarebbe stata certamente più grave e avrebbe irrigidito di più i rapporti tra i due Stati».
Sempre Mirabelli sottolinea che «la nota verbale è la forma di comunicazione più semplice nei rapporti tra gli Stati (…) un elemento di chiarezza in cui si esprime la valutazione di uno dei due Stati su quanto sta accadendo. È un invito a riflettere, insomma. Non è una minaccia, è un’informazione “formalizzata”, per dire, “io la vedo così, vedo il rischio che questa legge violi il nostro accordo pattizio”».
Si tratta di una invadenza oppure di una domanda di intervenire su una presunta violazione?
Non si tratta di invadenza, ma dell’esercizio, da parte della Chiesa, dei diritti che le sono garantiti dai Patti Lateranensi, richiamati dalla Costituzione italiana all’art. 7, nella forma della revisione del 1984.
L’Accordo del 1984 è una convenzione assimilabile a un trattato internazionale ed è pacifico che ogni misura che vada a incidere su situazioni garantite dai trattati internazionali deve essere presa bilateralmente nel rispetto delle regole e delle procedure stabilite dalla normativa pattizia e internazionale, secondo il principio del diritto internazionale consuetudinario “pacta sunt servanda”; come, del resto, sottolineato dallo stesso card. Parolin nella intervista citata, quando ha detto di aver «apprezzato il richiamo fatto dal Presidente del Consiglio al rispetto dei principi costituzionali e agli impegni internazionali», ribadendo che: «In questo ambito vige un principio fondamentale, quello per cui pacta sunt servanda». Questo è garantito anche dalla Costituzione, perché lo Stato, nell’esercitare la sua potestà legislativa, deve rispettare «i vincoli derivanti dagli obblighi internazionali» (art. 117, c. 1, Cost.).
Va inoltre specificato che con l’Accordo del 1984 si è operato un rafforzamento pattizio dei diritti di educazione, di manifestazione del pensiero e di parola, di esercizio del magistero ecclesiastico, già garantiti alla Chiesa e ai cattolici dalla stessa Costituzione. In particolare, la Chiesa rivendica i suoi diritti quanto all’esercizio del Magistero e del ministero spirituale, che potrebbero essere messi in discussione nel caso di approvazione del Ddl.Zan. Si pensi, ad esempio, come paventato nella citata Nota, alla riaffermazione della dottrina morale della Chiesa sulla differenza sessuale, oppure all’esclusione delle donne dal sacerdozio, atti che potrebbero essere considerati, nel caso il ddl venisse approvato, discriminatori e, quindi, sanzionabili. Si pensi, ancora, alla possibile limitazione della libertà di riunione e di pensiero dei singoli cattolici e delle loro associazioni, garantita dal citato comma 3 dell’art. 2 del Nuovo Concordato
Il Segretario di Stato card. Parolin nella intervista citata lo dice chiaramente: «La nostra preoccupazione riguarda i problemi interpretativi che potrebbero derivare nel caso fosse adottato un testo con contenuti vaghi e incerti, che finirebbe per spostare al momento giudiziario la definizione di ciò che è reato e ciò che non lo è. Senza però dare al giudice i parametri necessari per distinguere. Il concetto di discriminazione resta di contenuto troppo vago. In assenza di una specificazione adeguata corre il rischio di mettere insieme le condotte più diverse e rendere pertanto punibile ogni possibile distinzione tra uomo e donna, con delle conseguenze che possono rivelarsi paradossali e che a nostro avviso vanno evitate, finché si è in tempo. L’esigenza di definizione è particolarmente importante perché la normativa si muove in un ambito di rilevanza penale dove, com’è noto, deve essere ben determinato ciò che è consentito e ciò che è vietato fare». L’esercizio del ministero ecclesiale verrebbe sottoposto al sindacato di un magistrato italiano, che giudicherebbe della sua legittimità e liceità. Inoltre, nel caso di dichiarazioni e/o atti emanati direttamente dalla Santa Sede un magistrato che volesse intervenire a seguito di una denuncia di parte verrebbea intromettersi nell’esercizio degli atti di uno Stato estero (la Santa Sede lo è), che gode, in quanto tale, dell’immunità giurisdizionale.
Queste riflessioni iniziali possono servire a cominciare a comprendere qualcosa in più di una situazione in continuo divenire, complessa e carica risentimento anticattolico, una tappa di un rapporto che è sempre stato difficile fra la Chiesa italiana e lo Stato nazionale.
Venerdì, 25 giugno 2021