Si, e con certezza, anche quando non ci esaudisce come vorremmo o sembra prendersi del tempo
di Michele Brambilla
C’è una domanda, dice Papa Francesco durante l’udienza generale del 26 maggio, che assilla chiunque preghi: ma Dio mi ascolterà? «C’è», infatti, «una contestazione radicale alla preghiera, che deriva da una osservazione che tutti facciamo: noi preghiamo, domandiamo, eppure a volte le nostre preghiere sembrano rimanere inascoltate». Di fronte ai “ritardi” di Dio molti si scoraggiano, o perdono persino la fede.
Come spiega il Papa, «il Catechismo ci offre una buona sintesi sulla questione. Ci mette in guardia dal rischio di non vivere un’autentica esperienza di fede, ma di trasformare la relazione con Dio in qualcosa di magico. La preghiera non è una bacchetta magica: è un dialogo con il Signore. In effetti, quando preghiamo possiamo cadere nel rischio di non essere noi a servire Dio, ma di pretendere che sia Lui a servire noi»: vogliamo “tutto e subito”, esattamente come desideriamo. «Gesù invece ha avuto una grande sapienza mettendoci sulle labbra il “Padre nostro”», perché «è una preghiera di sole domande, come sappiamo, ma le prime che pronunciamo sono tutte dalla parte di Dio. Chiedono che si realizzi non il nostro progetto, ma la sua volontà nei confronti del mondo. Meglio lasciar fare a Lui: “Sia santificato il tuo nome, venga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà” (Mt 6,9-10)».
«E l’apostolo Paolo», aggiunge il Pontefice, «ci ricorda che noi non sappiamo nemmeno cosa sia conveniente domandare (cfr Rm 8,26)». Presentiamo a Dio le nostre necessità e le nostre aspirazioni, ma il Signore vede sempre più lontano di noi. Pertanto, «quando preghiamo dobbiamo essere umili, perché le nostre parole siano effettivamente delle preghiere e non un vaniloquio che Dio respinge. Si può anche pregare per motivi sbagliati: ad esempio, per sconfiggere il nemico in guerra, senza domandarsi che cosa pensa Dio di quella guerra».
Può capitare, però, che anche la preghiera più legittima possa tardare ad avere effetto. Francesco esorta a riprendere in mano i Vangeli e a notare come Gesù non sempre esaudisca immediatamente ogni richiesta. Il Papa fa l’esempio dell’episodio della cananea (Mt 15,21-28), ma «anche nella nostra vita, ognuno di noi ha questa esperienza. Abbiamo un po’ di memoria: quante volte abbiamo chiesto una grazia, un miracolo, diciamolo così, e non è accaduto nulla. Poi, con il tempo, le cose si sono sistemate ma secondo il modo di Dio, il modo divino, non secondo quello che noi volevamo in quel momento. Il tempo di Dio non è il nostro tempo».
Persino la preghiera di Gesù nell’Orto degli Ulivi sembra inascoltata: Cristo viene arrestato e non può evitare la Passione, ma dopo il Venerdì e il Sabato Santo c’è il mattino di Pasqua: «il male mai è un signore dell’ultimo giorno, no: del penultimo, il momento dove è più buia la notte, proprio prima dell’aurora. Lì, nel penultimo giorno c’è la tentazione dove il male ci fa capire che ha vinto: “Hai visto?, ho vinto io!”. Il male è signore del penultimo giorno: l’ultimo giorno c’è la risurrezione». Il Risorto impedisce al male di avere l’ultima parola, e sarà così anche alla fine dei tempi, quando tutto sarà ricapitolato proprio in Cristo.
Il Papa ricorda che «si celebra oggi la memoria liturgica di san Filippo Neri, comunemente chiamato il “santo della gioia”. La letizia rasserenante, dono del Signore, accompagni e arricchisca il cammino di ciascuno di voi».
Giovedì, 27 maggio 2021