di Silvia Scaranari
Il Documento sulla Fratellanza Umana per la pace mondiale e la convivenza comune è certamente un testo di portata epocale sia per l’autorevolezza dei due firmatari, sia per i suoi contenuti ma, fuori dall’enfasi del momento, forse si possono evitare affermazioni esagerate, come quella de L’Osservatore Romano dove il direttore Andrea Monda scrive della «congiunta volontà dei musulmani e dei cattolici d’Oriente e d’Occidente» (editoriale di lunedì-martedì 4-5 febbraio) dimenticando la frammentazione del mondo musulmano che certo non si riconosce tutto nell’imam Al-Tayyeb, oppure altre voci che hanno presentato la santa messa del Papa come la prima celebrata in pubblico, affermazione facilmente contraddetta da mons. Paul Hinder, Vicario Apostolico della diocesi dell’Arabia del Sud e residente ad Abu Dhabi, che ad ottobre mi aveva dichiarato in un’intervista: «Nei momenti liturgici forti abbiamo fino a 25 sante messe per weekend in ogni chiesa. Prima di Natale i Filippini celebrano per 9 giorni, in Dubai lo fanno nel campo di calcio perché abbiamo sempre 25-30.000 fedeli».
Il documento, preparato da lungo tempo sia dalla Santa Sede, sia dal consiglio di Al-Azhar, oggetto di trattative durate mesi – come rivela lo stesso Pontefice parlando ai giornalisti in aereo durante il viaggio di ritorno – deve essere compreso come un frutto di mediazione fra soggetti portatori di prospettive esistenziali e religiose diverse. In questo senso nessuno può immaginare di trovare in questo documento un trattato di teologia o di morale cattolica o musulmana. E’ piuttosto una dichiarazione di intenti, una indicazione sul come muoversi su temi che stanno molto a cuore ad entrambi: la pace e la convivenza pacifica fra i popoli, oggi troppo spesso messe in discussione da un mondo in frantumi. Di fronte al dramma moderno della “guerra mondiale a pezzi”, della persecuzione dei fedeli da parte di diverse forme di integralismo radicale (non ultimo quello di alcuni musulmani), della violazione in diverse forme della purezza e della dignità dei bambini, del diritto alla vita soffocato da leggi inique, della negazione della dignità stessa della persona umana, additare ogni forma di violenza come una violazione del nome di Dio, come un atto contrario alla dignità umana e al volere di Dio sull’uomo, è un gesto forte che vede uniti i cattolici e una parte del mondo islamico.
Il Documento parte da una premessa importante: «La fede porta il credente a vedere nell’altro un fratello da sostenere e da amare. Dalla fede in Dio, che ha creato l’universo, le creature e tutti gli esseri umani – uguali per la Sua Misericordia –, il credente è chiamato a esprimere questa fratellanza umana, salvaguardando il creato e tutto l’universo e sostenendo ogni persona, specialmente le più bisognose e povere».
Ogni forma di dialogo deve partire da ciò che accomuna, non da ciò che divide, e quindi il punto di partenza è la certezza che l’universo e l’uomo derivano da un Creatore e in questo senso tutti i popoli sono chiamati a vivere un rapporto di fratellanza e di aiuto reciproco con particolare riguardo per i più deboli e i più poveri. Il termine “fratelli” è quindi usato nel senso generico di creati da un unico Dio, certo non nel significato propriamente teologico di “figli di Dio in Cristo Gesù attraverso il santo battesimo” che potrebbe essere applicato solo ai cristiani.
In virtù di questo la Chiesa Cattolica e Al-Azhar «dichiarano di adottare la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio», dichiarazione di intenti che riprende le linee guida del dialogo interreligioso così come lo ha impostato il Concilio Ecumenico Vaticano II e in particolare la Dichiarazione Nostra Aetate dove, al n. 2, si scrive che «Essa [la Chiesa] perciò esorta i suoi figli affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione…» e ancora al n. 3 «il sacro Concilio esorta tutti […] a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà».
E’ opportuna tuttavia una osservazione a margine. Mentre il Papa può impegnare la Chiesa Cattolica, l’Imam Ahmad Al-Tayyeb può parlare solo a nome di Al-Azhar, come chiaramente espresso dal testo, e non a nome di tutto il mondo musulmano sunnita. Al-Azhar, moschea e università islamica, è un punto di riferimento importante ma certamente non unico. Come è noto, nel mondo islamico non esiste un’autorità di riferimento e quindi nulla vieta che altri autorevoli esponenti possano prendere iniziative diverse o addirittura contrarie. Significativo è il contesto della firma del Documento, a margine di un incontro che ha visto riuniti più di 700 esponenti di comunità religiose, provenienti da ogni parte del mondo, che hanno applaudito e apparentemente condiviso.
Tutti hanno messo in evidenza l’importanza del Documento come appello alla pace e alla fratellanza fra gli uomini e come rimedio alla violenza dei nostri giorni, ma mi sembra molto più significativo porre ancora più attenzione alle cause che vengono individuate e ai rimedi che vengono indicati.
Le cause dei conflitti e delle ingiustizie oggi tanto diffuse sono, secondo il Documento, «una coscienza umana anestetizzata e l’allontanamento dai valori religiosi, nonché il predominio dell’individualismo e delle filosofie materialistiche che divinizzano l’uomo e mettono i valori mondani e materiali al posto dei principi supremi e trascendenti». Nonostante gli indubbi valori dello sviluppo moderno, tuttavia oggi «si verifica un deterioramento dell’etica, che condiziona l’agire internazionale, e un indebolimento dei valori spirituali e del senso di responsabilità. Tutto ciò contribuisce a diffondere una sensazione generale di frustrazione, di solitudine e di disperazione, conducendo molti a cadere o nel vortice dell’estremismo ateo e agnostico, oppure nell’integralismo religioso, nell’estremismo e nel fondamentalismo cieco, portando così altre persone ad arrendersi a forme di dipendenza e di autodistruzione individuale e collettiva».
Sono affermazioni che sembrano far eco a punti importanti dell’enciclica Fides et Ratio (1998) di san Giovanni Paolo II, che sottolineava come «diverse forme di umanesimo ateo, elaborate filosoficamente, […] hanno prospettato la fede come dannosa e alienante per lo sviluppo della piena razionalità. Non hanno avuto timore di presentarsi come nuove religioni formando la base di progetti che, sul piano politico e sociale, sono sfociati in sistemi totalitari traumatici per l’umanità.
Nell’ambito della ricerca scientifica si è venuta imponendo una mentalità positivista che non soltanto si è allontanata da ogni riferimento alla visione cristiana del mondo, ma ha anche, e soprattutto, lasciato cadere ogni richiamo alla visione metafisica e morale. La conseguenza di ciò è
che certi scienziati, […] consapevoli delle potenzialità insite nel progresso tecnologico, sembrano cedere, oltre che alla logica del mercato, alla tentazione di un potere demiurgico sulla natura e sullo stesso essere umano» (n. 46) o analoghi richiami presenti nell’enciclica Caritas in Veritate (2009) di Benedetto XVI.
Per agere contra, sempre secondo il Documento, «È evidente a questo proposito quanto sia essenziale la famiglia, quale nucleo fondamentale della società e dell’umanità, per dare alla luce dei figli, allevarli, educarli, fornire loro una solida morale e la protezione familiare. Attaccare l’istituzione familiare, disprezzandola o dubitando dell’importanza del suo ruolo, rappresenta uno dei mali più pericolosi della nostra epoca». A ciò fa immediato seguito la necessità della rinascita del senso religioso per ricordare a ogni uomo che «questo universo dipende da un Dio che lo governa, è il Creatore che ci ha plasmati con la Sua Sapienza divina e ci ha concesso il dono della vita per custodirlo. Un dono che nessuno ha il diritto di togliere, minacciare o manipolare a suo piacimento, anzi, tutti devono preservare tale dono della vita dal suo inizio fino alla sua morte naturale. Perciò condanniamo tutte le pratiche che minacciano la vita come i genocidi, gli atti terroristici, gli spostamenti forzati, il traffico di organi umani, l’aborto e l’eutanasia e le politiche che sostengono tutto questo».
Richiamo forte a favore della famiglia dunque, contro aborto, eutanasia, traffico di organi, genocidi e terrorismo, ma per poter fare questo occorre che il mondo della politica si sensibilizzi, che chi governa riconosca il valore che la famiglia ricopre nella società e l’urgenza di leggi buone che sostengano la vita invece di annientarla.
La religione liberamente praticata deve diventare fermento di pace, giustizia (senza cui la pace non è possibile come già spiegava sant’Agostino), libertà di ogni individuo contro ogni forma di discriminazione, persecuzione o, peggio ancora, costrizione. Importante anche il richiamo alla dignità della donna, tema spesso messo in discussione nel mondo islamico, e alla tutela dell’infanzia soprattutto dai nefasti influssi dei mass media e dei sempre più invasivi strumenti digitali.
Non mancano tuttavia alcuni punti del Documento potenzialmente ambigui, come ha ammesso con tutta sincerità lo stesso Papa Francesco nel rispondere ai giornalisti: «Le dirò, ho visto una frase [del Documento] e mi sono detto: “Ma questa frase, non so se è sicura…». Non ci ha rivelato a quale frase stesse pensando, ma le perplessità più ovvie sono state sollevate dall’affermazione «Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi».
Letto sic litterae sonant, le diverse religioni, poste alla stregua della diversità di sesso (frutto questa sì della volontà all’atto della creazione), o della diversità di colore della pelle (aspetto congenito e non mutevole di un individuo), sarebbero volute direttamente da Dio. Da qui perplessità per noi cattolici ma ancor più per i musulmani.
Il testo tuttavia deve essere inserito nell’insieme dei discorsi pronunciati in questi giorni e nel contesto del Magistero della Chiesa. Durante il discorso pronunciato il 4 febbraio di fronte ai leader religiosi al Founder’s Memorial, il Papa ha ripetutamente sottolineato, a proposito della pluralità delle forme religiose, che «In tale contesto il giusto atteggiamento non è né l’uniformità forzata, né il sincretismo conciliante: quel che siamo chiamati a fare, da credenti, è impegnarci per la pari dignità di tutti». Si parla quindi di dignità, non di verità.
Il Documento firmato parte da una premessa importante. I firmatari si impegnano a una cultura del dialogo ma allo stesso tempo chiedono «ai Leader del mondo, agli artefici della politica internazionale e dell’economia mondiale, di impegnarsi seriamente per diffondere la cultura della tolleranza, della convivenza e della pace; …».
L’appello è quindi rivolto a chi detiene le leve del potere a cui si chiede di rispettare le diverse religioni. In questo senso, il parlare di diversità religiosa non si riferisce a una volontà specifica di Dio (affermazione che né i cattolici né i musulmani potrebbero accettare), ma, stante la diversità di religione, Dio vuole che venga rispettato dal potere civile il diritto naturale che protegge un pluralismo di fatto.
Sul fatto che il pluralismo non debba portare a un atteggiamento di indifferentismo è intervenuta con chiarezza una Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione della Congregazione per la dottrina della fede, del 3 dicembre 2007, dove si legge che «Oggi, tuttavia, l’annuncio missionario della Chiesa viene “messo in pericolo da teorie di tipo relativistico, che intendono giustificare il pluralismo religioso, non solo de facto ma anche de iure (o di principio)”. Da molto tempo si è venuta a creare una situazione nella quale, per molti fedeli, non è chiara la stessa ragione d’essere dell’evangelizzazione. Si afferma addirittura che la pretesa di aver ricevuto in dono la pienezza della Rivelazione di Dio nasconde un atteggiamento d’intolleranza ed un pericolo per la pace. Chi ragiona così ignora che la pienezza del dono di verità che Dio fa, rivelandosi all’uomo, rispetta quella libertà che Egli stesso crea come tratto indelebile della natura umana: una libertà che non è indifferenza, ma tensione al bene. Tale rispetto è un’esigenza della stessa fede cattolica e della carità di Cristo, un costitutivo dell’evangelizzazione e, quindi, un bene da promuovere in modo inseparabile dall’impegno a far conoscere e abbracciare liberamente la pienezza di salvezza che Dio offre all’uomo nella Chiesa. Il dovuto rispetto per la libertà religiosa e la sua promozione “non devono in alcun modo renderci indifferenti verso la verità e il bene. Anzi lo stesso amore spinge i discepoli di Cristo ad annunciare a tutti gli uomini la verità che salva”. Tale amore è il sigillo prezioso dello Spirito Santo che, da protagonista dell’evangelizzazione, non cessa di muovere i cuori».
Tornando al Documento, sembra chiaro dal contesto che si tratta della libertà sociale e civile. Dio non ha voluto l’opposizione in campo religioso, ma la permette come conseguenza della libera scelta dell’uomo e, in quanto tale, è necessario che anche lo Stato ne garantisca la libera espressione privata e pubblica.
In conclusione, il Documento è molto importante perché, con l’autorevole firma del Santo Padre, si conferma come frutto di un dialogo intrapreso da anni secondo le indicazioni che da decenni la Chiesa offre per il dialogo interreligioso (dalla Dichiarazione Nostra Aetate del 1965 alle indicazioni del documento Dialogo e Annuncio del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso del 1991). Il confronto fra le religioni non è mai facile, i punti di dottrina sono necessariamente inconciliabili e quindi occorre sempre cercare di condividere i problemi della vita quotidiana e i valori non negoziabili che accomunano in questo caso islam e cattolicesimo: valore della famiglia eterosessuale, valore della vita umana da difendere – dal suo concepimento fino alla conclusione naturale –, l’educazione dei figli e la loro salvaguardia da ogni forma di corruzione esterna, la protezione dei poveri e dei più deboli, il rifiuto della violenza come soluzione dei problemi.
La firma del Documento è il risultato di un percorso, di un confronto durato mesi e che ha prodotto un appello, rivolto a politici, governanti, intellettuali, giornalisti, affinché tutti collaborino a favorire un clima di convivenza pacifica e, soprattutto di ricostruzione del tessuto sociale che in ogni parte di questo povero mondo si presenta profondamente lacerato. Il Papa, ripercorrendo strade già intraprese da san Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI, e il Gran Imam hanno dato un segno forte che adesso ha bisogno della buona volontà dei singoli e delle società per diventare realtà.