Il caso di Tiziano Ferro, che “divorzia” dal suo “compagno” e finisce nella classica bega divorzista sui figli, evidenzia ancora una volta l’enorme mistificazione mediatica che supporta le “famiglie arcobaleno”. Quanto ci vorrebbero giornalisti ancorati al principio di realtà!
di Oscar Sanguinetti
Il Corriere della Sera del 2 ottobre regala un’ampia finestra in prima pagina e dedica tutta la pagina 22 al “divorzio” del cantante Tiziano Ferro, che afferma: «l’ho fatto per difendere i miei figli».
Ora, ogni divorzio è un evento infausto, ma quello che il Corriere non si sogna di dire è che il suddetto non è né sposato — quindi di divorzio non ha senso parlare —, né ha figli, e quelli che “ha” li detiene grazie a un accordo commerciale con terzi e non li ha generati, come milioni di uomini e di donne fanno. Ha invece convissuto con un uomo, insieme al quale ha comprato sul mercato due creature di Dio: il matrimonio same sex nel suo Paese non esiste e l’acquisto di bambini da noi è un grave reato.
Due osservazioni: sino a quando si dovrà tollerare questa pratica crudele, che produce alla lunga — e l’episodio-Ferro ne è un’ennesima riprova —per chi ne è vittima solo dei plus d’infelicità? E può un organo di stampa di livello nazionale sottacere così pacificamente che comprare i bambini è un’azione disumana e quindi di fatto legittimarla? Può il primo quotidiano italiano — da anni in prima fila nel “tifo” per ogni e qualunque tematica o episodio di segno LGBTQ+ — propalare, con un tale risalto e con una tale nonchalance, due menzogne, due falsificazioni del reale così smaccate e inescusabili, come il fatto che due uomini siano “sposati”, che sia lecito loro comprare bambini e dolersi della loro separazione chiamandola “divorzio”, tacendo completamente la tragedia di due piccoli già privati della madre e ora abbandonati a una sorte mal definita, ma ben diversa da quella di chi nasce in seno a una famiglia vera?
Compito del giornalista non dovrebbe essere quello di riportare i fatti nella loro verità? Non pare grottesco che la categoria della stampa, nelle sue varie organizzazioni, si rechi spesso ad ascoltare con deferenza la parola del Papa, cioè di colui che è il primo, potremmo dire per “ragione sociale”, a condannare la prassi del “matrimonio” omosessuale e la tratta dei bambini (taccio del divorzio perché non applicabile alla fattispecie)? Non più tardi del 26 agosto scorso Papa Francesco ha detto ai professionisti delle news: «La speranza è questa: che oggi, in un tempo in cui tutti sembrano commentare tutto, anche a prescindere dai fatti e spesso ancora prima di essersi informati, si riscopra e si torni a coltivare sempre più il principio di realtà […]: la realtà dei fatti […], per non correre il rischio che la società dell’informazione si trasformi nella società della disinformazione. La disinformazione è uno dei peccati del giornalismo, che sono quattro: la disinformazione, quando un giornalismo non informa o informa male; la calunnia […]; la diffamazione, che è diversa dalla calunnia ma distrugge; e il quarto è la coprofilia, cioè l’amore per lo scandalo, per le sporcizie, lo scandalo vende. La disinformazione è il primo dei peccati, degli sbagli — diciamo così — del giornalismo». Sentito ciò, come non pensare che il Corriere, facendo impudentemente della disinformazione, venga meno alla sua etica?
Martedì, 3 ottobre 2023