È meglio vivere scommettendo su Dio che etsi Deus non daretur. Occorrono piccole comunità che vivano in tale dimensione e siano un polo d’attrazione per l’uomo disorientato del nostro tempo.
di Daniele Fazio
In una precedente riflessione, stante l’analisi sociologica del crollo dei legami significativi che caratterizza la società in cui viviamo e ponendo la necessità di una via d’uscita, animati dalla speranza cristiana, si è affermato che è fondamentale porre attenzione prioritaria all’uomo e alla formazione. In particolare, impegnarsi a costruire una società migliore vuol dire rintracciare quei principi morali sociali che possano fungere da orientamento per aprire le plurali modalità d’intervento all’interno di una società in frantumi.
Se questo è un punto non più rinviabile, un altro tassello è bene che si aggiunga a partire da una considerazione della storia del cristianesimo e dell’Impero Romano. Sotto l’Imperatore Ottaviano Augusto (27 a .C. – 14 d. C.) veniva nel mondo il Figlio di Dio, in una provincia periferica e turbolenta dell’Impero. Vigeva la pax romana, ossia un contesto in cui Roma estendeva su buona parte del mondo allora conosciuto il suo potere e il suo diritto, senza più la necessità di muovere guerra, se non per sedare rivolte interne.
La novità del cristianesimo irruppe in questo contesto e da emarginata e perseguitata diventò il seme per poter ripartire nuovamente quando ormai circa quattro secoli dopo l’Impero Romano d’Occidente a causa principalmente di un crollo valoriale nel proprio tessuto sociale e dell’invasione dei popoli barbari, si trovava, mutatis mutandis, nelle stesse condizioni in cui il nostro Occidente – supertecnologico – si trova oggi.
I cristiani costituivano quelle piccole comunità che irraggiavano non solo una dottrina nuova, ma uno stile di vita che interrogava, trascinava e diventava la via certa per una ripartenza. Del resto, già la prima comunità cristiana si segnalava agli occhi di ebrei e pagani in maniera speciale. Tutti erano ammirati dal tipo di rapporti che vigevano al proprio interno in quanto improntati all’amore, inteso come caritas.
Quando, allora, l’Impero romano crollò i semi della ripartenza erano stati posti da queste comunità che, disseminate ormai in tutto il territorio, forti della fede e animati dalla spinta missionaria, propiziarono un mondo su basi cristiane attraverso la paziente preghiera, la conversione dei popoli barbari e l’educazione umana e sociale che ne consegue. Furono capaci di una profonda e vera integrazione tra visioni diverse, elevando lo sguardo di tutti verso la meta ultima, che si deve raggiungere aiutati dalle condizioni sociali in cui l’uomo si trova. Ne nacque una cristianità.
Oggi – per effetto della scristianizzazione – i tempi sono analoghi. E quindi urge sempre – assieme alla formazione di uomini – la presenza di comunità che possano far vedere concretamente come sia possibile vivere in maniera alternativa al pensiero unico, ma non per il gusto di fare un qualcosa di estroso, ma perché un altro tipo di vita – quella che si sforza di seguire i principi naturali e cristiani e di vivere in ultimo in risposta all’amore di Dio – non solo è possibile, ma esalta la stessa umanità dell’uomo ed è l’inizio di una società migliore.
Gli ambienti – secondo quanto scrive Plinio Corrêa De Oliveira (1908-1995) – «nella misura in cui favoriscono costumi buoni o cattivi, possono opporre alla Rivoluzione le mirabili barriere della reazione, o almeno dell’inerzia, di tutto quanto è sanamente frutto di consuetudine; o possono trasmettere alle anime le tossine e le tremende energie dello spirito rivoluzionario» (Plinio Corrêa De Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, presentazione e cura di Giovanni Cantoni (1938 – 2020), Sugarco Edizioni, Milano 2009, p. 92)
Benedetto XVI, più volte, ha riflettuto sull’importanza di “minoranze creative”. La Chiesa stessa, in tale contesto, è una minoranza creativa che deve essere presente nel dibattito pubblico con tutta la freschezza e la genuinità del messaggio rigenerante di Cristo, anche sulle società. Soprattutto i laici cattolici – dall’esperienza familiare a quelle variamente associative e professionali – saldi nella sana dottrina, devono tornare ad essere quei poli d’attrazione che facciano interrogare nuovamente l’uomo “neopagano” del nostro tempo e convincerlo, con l’esempio, che è meglio vivere scommettendo su Dio che etsi Deus non daretur.
Il prossimo corso sulla Dottrina sociale della Chiesa, promosso online da Alleanza Cattolica, ha anche come obiettivo quello di attivare tale meccanismo virtuoso.
Domenica, 27 dicembre 2020