Una nuova tappa della “cultura della morte”. Nel Paese di Fatima.
di Chiara Mantovani
A pochi giorni dalla Giornata per la Vita (7 febbraio), giunge la notizia che anche il parlamento del Portogallo, dopo Olanda, Belgio, Lussemburgo e Svizzera, ha approvato una legge che depenalizza l’eutanasia: in pratica l’ammette a determinate condizioni. Sono stati 136 i voti a favore, 78 i contrari e 4 gli astenuti. C’è da attendere l’ultima parola, quella del presidente della Repubblica, Marcelo Rebelo de Sousa, che ha tre opzioni: firmarla; porre il veto; sottoporla al giudizio della Corte Costituzionale.
Sembra di ripercorrere una strada ben nota: si inizia con pochi casi circostanziati, qualche misura per evitare intromissioni egoistiche o di interesse, valutazione della volontarietà dei soggetti richiedenti.
Sono contemplate sia l’obiezione di coscienza per singoli medici e infermieri, sia la valutazione psichiatrica: sembrano le condizioni per evitarne l’obbligatorietà, la somministrazione per “male di vivere”, o per interessi egoistici, ma ancora una volta (ed è estremamente grave) non c’è alcuna indicazione di quali patologie si configurino come incurabili, quale sia l’entità del dolore e l’imminenza della morte che determinano il ricorso al suicidio assistito. Né, ed è altrettanto terribile, c’è alcun paragrafo che garantisca libertà di coscienza non ai singoli, quanto ad una struttura sanitaria che voglia prendere le distanze da qualsiasi pratica eutanasica. Un indizio, su tutti, che denuncia l’ipocrisia di fondo: non c’è mai scritto “eutanasia”, ma solo «anticipazione medicalmente assistita della morte». La guerra delle parole continua…
Esperienza e memoria, purtroppo, preannunciano la gravità di questa legge e l’inefficacia – questa sì “palliativa” – di qualsiasi tipo di apparente mitigazione: ricordiamo bene il percorso che inizia con le strumentali invocazioni pietose, conosciamo lo schema dei passettini sempre più rapidi e voraci, che ingoiano altri casi, altre presunte diseguaglianze, altre ‘eccezioni’ che diventano regola.
Sembra davvero impossibile e insipiente affidare per investitura legislativa alla morte la qualifica di liberazione, atto coraggioso, lungimiranza progressista. In piena pandemia, quando le cifre dei morti campeggiano nei titoli dei giornali, a misura della gravità della situazione, con gli ospedali portoghesi che dicono di essere al collasso, un lookdown duro che, sembra, si prolungherà ancora, arriva il paradosso della morte “buona”. Le associazioni pro-life hanno condotto, nei tre anni cha hanno portato alla legge, una battaglia per cercare di evitarla, e anche in questo caso il film è già visto e ha un finale triste.
I vescovi portoghesi hanno rivolto un forte appello al presidente affinché rimandi alla Corte Costituzionale la legge, fiduciosi che sia rispettato il dettato costituzionale che afferma: «La vita umana è inviolabile» (Art. 24.1). Hanno usato termini duri, parlano di «tristezza e indignazione», sottolineano che in questo tempo di pandemia «tutti noi stiamo cercando di salvare il maggior numero di vite, accettando restrizioni alla libertà e sacrifici economici senza pari». Sembra assurdo – proseguono – legalizzare la morte assistita «rifiutando gli insegnamenti che questa pandemia ci ha dato sul prezioso valore della vita umana, che la comunità in generale e gli operatori sanitari in particolare si battono per salvare compiendo sforzi sovrumani». Hanno denunciato quanto sia rovinosa la scorciatoia di eliminare la vita, di fronte a qualsiasi difficoltà, piuttosto che responsabilmente farsene carico: «Non possiamo mai smettere di combattere e alleviare la sofferenza, fisica, psicologica o esistenziale, e accettare che la morte causata sia la risposta a queste situazioni».
Proprio questo è il punto cruciale: eliminare vite non equivale ad eliminare sofferenza, è vero piuttosto il contrario. C’è un solo vero nemico, che si ammanta da alleato, ma che sarà sconfitto, anzi, è già sconfitto: la morte. Invocarla come rimedio ad ogni difficoltà è un atto immorale perché ingiusto e dannoso. È un atto contro l’uomo e contro Dio. È un inganno, una menzogna che si smaschera da sola, se solo la ragione si applicasse a giudicarla.
La Vergine Santa, a Fatima, ha formulato una grande promessa al Portogallo: che mai si spegnerà la fiaccola della Fede in quella Nazione. Purtroppo non ha potuto promettere che quella stessa fede non sia messa alla prova. E mai come ora vediamo da quali variegate sfide e decisive battaglie sono composte quelle prove, non solo per i lusitani, ma per tutto il mondo. La nostra fede, allora, ha il terribile, ma entusiasmante compito di non spegnersi, con l’aiuto di Dio, della Vergine e della nostra ragione. Rendere credibile e consolante l’annuncio che ogni persona umana ha diritto alla Vita è, oggi, il cuore della nuova evangelizzazione.
Martedì, 2 febbraio 2021