di Daniele Fazio
In questo ultimo periodo, i cortei dei centri sociali e parte dell’intellighenzia radical chic italiana hanno gridato nuovamente al pericolo fascista. Ma il fascismo è un fenomeno storico ben delimitato, sostanzialmente finito con l’uccisione del suo fondatore Benito Mussolini (1883-1945). La successiva rinascita dello Stato italiano si è voluta dichiaratamente antifascista e le forze che hanno caratterizzato l’egemonia politica della cosiddetta “prima repubblica” – a partire dall’Assemblea Costituente (1946-1948) – sono derivate dall’assetto del Comitato di Liberazione Nazionale e, quindi, si sono connotate anch’esse per antifascismo. Lo stesso Movimento Sociale Italiano si è integrato nella dinamica democratica e repubblicana, senza pensare minimamente di riproporre l’esperienza del Ventennio mussoliniano; e comunque quel partito non ha mai avuto il benché minimo ruolo di guida del Paese, eccetto per la piccola esperienza, abortita sul nascere, di appoggio al governo guidato dal democratico-cristiano Ferdinando Tambroni Armaroli (1901-1963), in carica dal 26 marzo al 27 luglio 1960.
Negli anni del secondo dopoguerra, lo storico Renzo De Felice (1929-1996) ha offerto un’analisi puntuale e seria del fenomeno storico del fascismo e di Mussolini, affermandone le origini socialiste e rivoluzionarie, cosa che fu, ed è, molto sgradita alla cultura di sinistra. Gli studi di De Felice mantengono ancora una importanza insuperata nel ricondurre il fascismo al contesto storico, spiegando come quel fenomeno non tornerà più, nonostante qualche gruppuscolo sparuto possa farvi ancora riferimento, spesso in modo soprattutto folcloristico.
Eppure, parallelamente, la cultura di sinistra, sempre più egemone nel tessuto sociale italiano, non ha mai smesso di gridare al “fascista”, soprattutto negli anni della contestazione. È una operazione culturale spiegata dal filosofo cattolico Augusto Del Noce (1910-1989) e descritta attraverso l’uso criminalizzante di quell’espressione, usata fuori contesto, messa in atto dall’allora Partito Comunista Italiano per colpire tutti coloro che – pur non avendo alcun legame né ideologico né storico con il fascismo – non si sono voluti e non si vogliono omologare al verbo marxista. Il termine “fascista” viene così esagerato rispetto al suo significato storico e arruolato dalla neolingua rivoluzionaria come marchio infamante.
Se da un lato, tutte le esperienze ideologiche del Novecento sono da condannare, come insegna il Magistero della Chiesa Cattolica, dall’altro è necessario decostruire l’operazione culturale furbesca della Sinistra che, magari oggi prendendo le distanze da alcuni suoi aspetti storici, rivendica un cosiddetto primato morale del comunismo per togliere diritto di parola per esempio ai cattolici dichiaratamente pro life e pro family, marchiando l’avversario col solito termine “fascista”.
Davanti a questo scenario, va ricordata sempre la sostanziale unità progettuale delle ideologie novecentesche – fascismo, nazionalsocialismo e socialcomunismo –, scaturite remotamente dalla Rivoluzione Francese (1789-1799), quali momenti fondamentali della scristianizzazione dell’Europa e della fine di un’epoca. Sul piano storico, occorre, invece, tornare a squarciare il silenzio vergognoso che copre molti crimini del socialcomunismo avvenuti anche in Italia – dalle foibe agli eccidi nel cosiddetto “Triangolo rosso” emiliano – per dare dignità a troppi morti considerati di “serie B” e ricucire una memoria comune, fondamentale per l’identità della nazione. Sul piano dell’attualità, bisogna quindi combattere le nuove “colonizzazioni ideologiche” che si esprimono soprattutto in campo antropologico e che oggi, come sempre, piegano la realtà a un pensiero preordinato che violenta la natura e che calpesta la dignità dell’uomo.
Mercoledi, 28 febbraio 2018, Santi Martiri di Alessandria