di Francesco Pappalardo
1. Dalla letteratura alla storia attraverso la politica
Giacinto de’ Sivo, scrittore e storico napoletano, nasce a Maddaloni, in Terra di Lavoro, il 29 novembre 1814, da una famiglia di militari devota alla dinastia borbonica. Il nonno, pure di nome Giacinto, aveva armato a proprie spese soldati per la difesa del regno in occasione dell’aggressione giacobina e francese, e lo zio Antonio era stato fra gli ufficiali del card. Fabrizio Ruffo (1744-1827), che nel 1799 aveva animato e guidato l’impresa della Santa Fede; anche il padre, Aniello, era stato un valoroso ufficiale dell’esercito napoletano, ma aveva dovuto lasciare il servizio attivo a causa di un infortunio.
Il giovane Giacinto preferisce l’arte della penna a quella delle armi e frequenta a Napoli la scuola del marchese Basilio Puoti (1782-1847), maestro di lingua e di elocuzione italiana. Di tale insegnamento si possono riconoscere le tracce in tutti i suoi scritti, in prosa o in versi: la classica armonia delle strutture, la purezza delle voci e le preziosità lessicali, che rendono il suo stile non sempre agevole, ma denso e caustico. Nel 1836, poco più che ventenne, dà alle stampe un volumetto di versi, cui segue, quattro anni dopo, la prima di otto tragedie, alcune delle quali saranno rappresentate con discreto successo e stampate più volte; quindi pubblica un romanzo storico, Corrado Capece. Storia pugliese dei tempi di Manfredi. Nel 1844, sposa Costanza Gaetani dell’Aquila d’Aragona, figlia del conte Luigi, maresciallo di campo e aiutante generale del re, dalla quale avrà tre figli.
Parallelamente all’attività letteraria, entra a far parte della Commissione per l’Istruzione Pubblica e, nel 1848, è nominato consigliere d’Intendenza della provincia di Terra di Lavoro. L’anno seguente è capitano di una delle quattro compagnie della Guardia Nazionale di Maddaloni, fino allo scioglimento di questa milizia, quindi comanda per alcuni mesi la ricostituita Guardia Urbana. Gli avvenimenti del biennio rivoluzionario 1848-1849, che recano le prime gravi minacce all’integrità dell’antico Stato napoletano, turbano il giovane letterato e lo inducono a dedicarsi alla riflessione storica per comprendere le ragioni dell’immane tragedia che sconvolge l’Europa. Sospende per qualche tempo la composizione tragica e comincia a scrivere una monografia sugli avvenimenti recenti, che non pubblica immediatamente “[…] per non parer di percuotere i vinti e inneggiare a’ vincitori”, e che rappresenterà il nucleo generatore della Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861. I tristi presentimenti diventano presto realtà e, nel 1860, aggredito dalle bande garibaldine e dall’esercito sardo, il Regno delle Due Sicilie cessa di esistere dopo una storia sette volte secolare.
De’ Sivo, fedele alla dinastia legittima, è destituito dalla carica di consigliere d’Intendenza e imprigionato. Scarcerato alcune settimane dopo, è nuovamente arrestato il 1° gennaio 1861; finalmente liberato due mesi dopo, vuole sperimentare la “vantata libertà della parola” e inizia la pubblicazione di un giornale legittimista, La Tragicommedia. Il vessillo del giornale è il “prepotente amore” alla patria, che non è la “Patria” astratta e letteraria dei rivoluzionari, bensì “idea semplice cui ciascuno intende senza dimostrazione; è il suolo ove siam nati, ove stan l’ossa degli avi, la terra de’ padri”. La Tragicommedia, che nasce anche con l’intento di “[…] ricordar le ricchezze dileguate, l’armi perdute, fra’ rimbombi de’ cannoni, e i gemiti de’ fucilati, e i lagni de’ carcerati”, viene soppresso dalle nuove autorità dopo i primi tre numeri. Imprigionato per la terza volta, lo storico napoletano sceglie la via dell’esilio e il 14 settembre 1861 parte per Roma, da dove non farà più ritorno. Gli ultimi anni della sua vita sono dedicati alla difesa, spesso polemica, dell’identità nazionale del paese – appartengono a questo periodo gli opuscoli Italia e il suo dramma politico nel 1861 e I Napolitani al cospetto delle nazioni civili – e, soprattutto, alla riflessione e alla ricostruzione storica. Dà alle stampe una Storia di Galazia Campana e di Maddaloni e porta a termine la Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, che rappresenta il culmine della sua produzione letteraria e storica. Il primo volume è recensito su La Civiltà Cattolica dal gesuita Carlo Maria Curci (1809-1891), che lo giudica lavoro di “altissimo pregio” quanto “a sanità di principii, a nobili sentimenti di onestà e di religione, a coraggiosa franchezza nel qualificare le cose e le persone coi proprii loro nomi, e, per ciò che noi possiamo giudicarne, eziandio quanto a veracità di fatti narrati”.
De’ Sivo intraprende quindi un nuovo lavoro, una difesa storica del Papato contro le calunnie rivoluzionarie, ma la morte lo raggiunge a cinquantadue anni, il 19 novembre 1867, proprio nei giorni in cui – come fu scritto nel necrologio apparso su Il Veridico. Foglio popolare, il settimanale antirisorgimentale la cui prima serie venne pubblicata a Roma dall’agosto del 1862 all’11 settembre 1870, sotto la direzione di monsignor Giuseppe Troysi – “la gloriosa vittoria di Mentana gli allegrava la magnanima ira e il settenne dolore d’ingiusto esilio e gli stenti di morbo rincrudito”.
2. La “damnatio memoriae”
Il trattamento inflitto all’opera di de’ Sivo è conseguenza dello sforzo compiuto dalla cultura dominante per manipolare o per cancellare la memoria storica del popolo italiano attraverso l’inquinamento del patrimonio culturale della nazione e l’abbandono nell’oblio di avvenimenti e di personaggi particolarmente significativi.
Per circa sessant’anni sull’opera dello storico di Maddaloni ha gravato una coltre di silenzio, sollevata da Benedetto Croce (1866-1952) – partenopeo di adozione ma privo di una comprensione adeguata della storia napoletana, a causa dei suoi pregiudizi storicistici – con un breve saggio, Uno storico reazionario: Giacinto De Sivo, che ne offre però un’interpretazione riduttiva e deformante. Soltanto nel secondo dopoguerra viene data alle stampe, un secolo dopo la prima edizione, la Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861; e vede la luce la prima biografia dell’autore, scritta con affettuosa “compassione” dallo storico Roberto Mascia, scomparso nel 1972. Seguono quindi le riedizioni de I Napolitani al cospetto delle nazioni civili e dell’Elogio di Ferdinando Nunziante, e la ristampa dei tre numeri del periodico La Tragicommedia.
3. L’insegnamento storico e morale
L’opera storica di de’ Sivo non si esaurisce nello sterile rimpianto del passato e nella difesa incondizionata della dinastia borbonica, ma costituisce un’aperta denuncia della malizia e della strategia rivoluzionarie, nonché dell’inettitudine e dell’impreparazione di quanti avrebbero dovuto opporre prima una resistenza e poi, eventualmente, una reazione agli accadimenti.
Anche quando prevalgono lo sdegno per la violazione del diritto e la protesta contro l'”iniquo servaggio” che grava sulle contrade napoletane, non viene meno la consapevolezza del carattere rivoluzionario dell’aggressione al Regno delle Due Sicilie, che è soltanto un episodio – anche se macroscopico – dello scontro gigantesco in atto fra la religione e l’ateismo. La “cruenta e atrocissima” lotta che contrappone italiani a italiani passa in secondo piano di fronte a un male più grave, cioè il “dileggio” che lo Stato unitario fa del diritto, della morale e della religione. L’unità politica, dunque, non è sempre un bene, anzi è un male quando viene realizzata contro la Chiesa e le autorità legittime, a danno dei valori spirituali e civili della nazione. In opposizione al piano rivoluzionario, che vuole “l’unità geografica e la disunione morale”, egli prospetta l’ipotesi di una confederazione, sul modello di quella svizzera e degli Stati germanici, affinché possano sopravvivere le autonomie, le leggi, le tradizioni di ciascun popolo della penisola “[…] e l’Italia cristiana riederà al suo naturale primato”, alla sua vocazione storica, che è quella di accogliere e di proteggere la Cattedra di Pietro.
De’ Sivo apporta alla cultura cattolica contro-rivoluzionaria un contributo non trascurabile sia per la comprensione della dinamica delle ideologie, che si affermano nella storia – come ebbe a scrivere Papa Giovanni Paolo II nel messaggio per la XVIII Giornata Mondiale della Pace, dell’8-12-1984, al n. 6 – attraverso “disegni nascosti” – accanto ad altri “apertamente propagandati” – “miranti a soggiogare tutti i popoli a regimi in cui Dio non conta”, sia per la conoscenza dei meccanismi di tale dinamica, messi in moto soprattutto da circoli settari di origine massonica, che – dopo avere sradicato la religione dalle classi dirigenti nel corso del secolo XVIII – perseguono l’obiettivo della “democratizzazione dell’irreligione”. Anche la dinastia borbonica e le classi dirigenti del regno hanno gravi colpe, la cui “confessione” non è meno utile della denuncia delle manovre settarie. Le calamità del secolo XIX sarebbero incomprensibili senza gli errori del secolo precedente: l’adesione degli intellettuali all’illuminismo, la decadenza colpevole della Nobiltà, il contributo decisivo dato dalla monarchia assoluta all’opera di laicizzazione dello Stato e di secolarizzazione della società, hanno indebolito il regno, che nel momento decisivo non seppe resistere all’aggressione interna ed esterna.
4. “Tacito della tirannide settaria”
Poiché la Rivoluzione – cioè l’opera plurisecolare tesa alla distruzione della Cristianità e alla costruzione di una realtà storica a essa diametralmente opposta nei princìpi e nei fatti – ha potuto procedere solo grazie all’occultamento del suo volto e dei suoi fini ultimi, il mezzo più efficace per combatterla – secondo la lezione del pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995) nell’opera Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, del 1959 – consiste nel denunciarne lo spirito e la strategia: “Strapparle, dunque, la maschera significa sferrarle il più duro dei colpi”. Ebbene, de’ Sivo ha svolto tale compito con efficacia, meritando l’appellativo di “Tacito della tirannide settaria” – attribuitogli dall’anonimo estensore del citato necrologio – per aver “strappato coraggiosamente all’ipocrita la rossa camicia e il tricolore paludamento, disvelando sott’esso di che lagrime grondi e di che sangue”. Inoltre, insegna a Napoli e a tutto il Mezzogiorno d’Italia che l’attesa rinascita religiosa e civile può essere perseguita e conseguita soltanto compiendo un profondo esame di coscienza nazionale e ricuperando le proprie radici storiche e spirituali, da tempo conculcate e disprezzate, non solamente da parte di allogeni.
Per approfondire: fra le opere principali di Giacinto de’ Sivo, ripubblicate negli ultimi decenni, vedi Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, Berisio, Napoli 1964; I Napolitani al cospetto delle nazioni civili, Borzi, Roma 1967, e, con una introduzione di Silvio Vitale, Il Cerchio Iniziative Editoriali, Rimini 1994; Storia di Galazia Campana e di Maddaloni, La Fiorente, Maddaloni (Caserta) 1986; Elogio di Ferdinando Nunziante, presentato e pubblicato da Bruno Iorio con il titolo Un “eroe” borbonico, Galzerano, Casalvelino Scalo (Salerno) 1989; e il periodico La Tragicommedia, ristampato – a cura di Francesco Maurizio Di Giovine e di Gabriele Marzocco – dall’Editoriale il Giglio, Napoli 1993; di Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861 vedi due recensioni su La Civiltà Cattolica, una al primo volume, a firma di padre Carlo Maria Curci S. J. (anno XV [1864], serie V, vol. X, fasc. 340, pp. 444-463), e l’altra al terzo volume, a firma di padre Francesco Berardinelli S. J. (1816-1892) (anno XVII [1866], serie VI, vol. VII, fasc. 392, pp. 200-212); l’unica biografia completa dello storico napoletano è Roberto Mascia, La vita e le opere di Giacinto de’ Sivo (1814-1867). Il narratore – Il poeta tragico – Lo storico, Berisio, Napoli 1966; il saggio di Benedetto Croce, Uno storico reazionario: Giacinto De Sivo, Tipografia Giannini, Napoli 1918, è ora in Idem, Una famiglia di patrioti ed altri saggi storici e critici, Laterza, Bari 1949, pp.147-160.