di Domenico Airoma
Giovanni Cantoni è stato il capo. Ma chi è un capo? Anzi, cos’è che fa di un capo il capo?
L’attitudine a farsi obbedire, certamente. Ma qualcosa di più: la capacità di suscitare il desiderio di essere ricercati per avere un consiglio, un’indicazione, una direttiva di azione. La sua affidabilità, indubbiamente. Ma ancor più: la credibilità incarnata dalla sua stessa vita, nel suo scorrere quotidiano, senza clamori ed ostentazioni.
L’appello alla verità, tutta intera. Ma di più: la verità vissuta con la sofferenza dell’umanità, fronteggiando il dramma dell’errore; a testa alta. La sua umiltà, autentica, senza eccezioni. E di più: la disponibilità a farsi terra perché chi si affidi a lui possa crescere e fiorire.
La costante ricerca del senso delle cose e del tempo. E più ancora: della luce che non muore, in grado di vincere ogni tenebra. L’instancabile interrogarsi sui disegni della Provvidenza. E ancor più: il desiderio di aderire a questi per divenire in qualche modo parte dell’ordito, rimanendo fermi nel posto assegnato da Dio.
L’amore per l’Autorità, e quell’amore ancora più forte quando l’autorità sembra vacillare.
La capacità di aprire gli occhi e far respirare le menti. Ma molto di più: la capacità di conquistare i cuori. Perché solo conquistando il cuore si può convincere a portare la croce.
Il modo in cui si affronta la morte. E soprattutto quella morte che ti sfinisce lentamente, ti sfigura, ti altera il sembiante, ti fa dipendere dagli altri. Perché così viene fuori ciò che si è dentro.
Cantoni è stato tutto questo. E molto di più.
È stato il capo, è stato il mio capo. E di tutti coloro che hanno sfilato, fisicamente e idealmente, dietro il suo feretro e dietro gli stendardi di Alleanza Cattolica. Fieri e grati.
Ma ancor più. Pieni di speranza in Colui che quel capo ci ha donato. Che non ci deluderà anche se la storia degli uomini dovesse decretare una temporanea sconfitta.
Giovedì, 23 gennaio 2020