Il Medioevo era molto più inclusivo di quanto lo siano i nostri contemporanei, che hanno ideologizzato l’inclusione tradendone la sostanza con l’aborto e l’eutanasia
di Silvia Scaranari
Il Medioevo è un’epoca che non smette di sorprendere chi si accosta alla sua scoperta senza pregiudizi e senza chiusure mentali. Grande epoca di santi e di peccatori, vi splendono alcune stelle che illuminano i suoi secoli e che possono insegnare a noi, uomini moderni e spesso presuntuosi, il senso profondo della vita.
Grazie ad un romanzo, non recentissimo, dello scrittore e poeta Davide Rondoni (Hermann. Una storia storta e santa puntata alle stelle, edito dalla BUR), è emersa la figura di un monaco, Hermann (Ermanno) di Reichenau, noto nell’XI secolo con l’appellativo di miraculum saeculi.
Hermann nacque come sesto figlio di Eltrude e Wolverad (Goffredo) Althsausen, capo di una potente famiglia della Svevia, imparentata con l’imperatore Enrico II, nel 1013. La sua nascita fu percepita come una disgrazia, quasi un “castigo divino”, perché il piccolo è deforme, probabilmente affetto da palatoschisi, paralisi cerebrale e spina bifida. Il padre visse una profonda tragedia che gli lacera l’anima: i migliori pronostici davano poca vita e le usanze del tempo, ancora un po’ paganeggianti, consigliavano di sopprimere la creatura il più presto possibile, perché «i dolori di una cancrena, se non si procede con l’amputazione, possono solo aumentare». Angosciato dalla decisione da prendere, Wolverad ha però la risposta pronta: «Mio figlio non è una cancrena» (Davide Rondoni, op. cit., p. 14).
Prendere una decisione è pesante, ma Dio non approva le usanze degli antenati e quindi Hermann vivrà. Non a corte, ma affidato all’abbazia benedettina di Reichenau, fondata nel 724 dal monaco san Pirmino sull’omonima isoletta del lago di Costanza. Qui resterà tutta la vita, ricevendo amorevoli cure ed eccellente educazione. Se il suo corpo è deforme tanto da essere soprannominato “il contratto”, la mente è brillante e fin dai primi anni dimostra grande interesse e curiosità, con una predisposizione per la musica e un grande amore per le stelle.
Una prima osservazione, che sorge spontanea, riguarda proprio l’XI secolo, per alcuni uno dei secoli bui dell’Età di Mezzo, epoca di barbarie e superstizioni, di crudeltà e di potere. Il caso di Hermann mostra, invece, quanto il Medioevo sapesse essere accogliente e partecipe delle sofferenze e difficoltà dell’uomo. Le abbazie benedettine, che hanno svolto un ruolo determinante nell’evangelizzare l’Europa, non si sono limitate alla predicazione, ma, guardando l’opera del Creatore, l’hanno organizzata, hanno svolto un’opera immensa di organizzazione agricola, di allevamento, di canalizzazione delle acque, in una parola si sono presi cura della terra. Seguendo il motto Ora et labora, hanno lavorato, insegnato a lavorare e conservato la cultura greco-latina nelle sempre più ampie biblioteche, accompagnando la raccolta e la custodia dei testi con il loro studio, la loro interpretazione, la loro copiatura in centinaia di esemplari, e insegnando a migliaia di giovani, popolani e aristocratici, a fare altrettanto.
Dal VI secolo in poi hanno cambiato il volto di una Europa devastata dalle ultime guerre romane e poi dalle invasioni barbariche, trasformando quel caos in una compagine ordinata. Con lo sguardo volto a Dio hanno dato buona economia, cultura diffusa e soprattutto fede. Inoltre i monasteri sono stati luoghi di vero esercizio della carità cristiana. Le mense dei poveri non sono un’invenzione moderna, già nel Medioevo i più poveri sapevano di trovare una pagnotta o una minestra dai monaci. La carità si esercita, però, non solo nelle opere materiali, ma anche nell’assistenza, nell’accoglienza, nella guida, nell’educazione verso le persone in difficoltà, ed è questo il caso del giovane Hermann.
Le sue difficoltà fisiche erano molto invasive: gambe debolissime per sorreggerlo, impossibilità a stare col busto eretto, parola lenta e sempre faticosa, ripetute crisi respiratorie, ma il saggio abate Breno (o Bernone), che fu abate di Reichenau dal 1008 alla morte nel 1048, esperto musicologo, autore di testi quali il De officio missae, un Tonarius, due scritti De varia psalmorum atque cantuum modulatione e il De consona tonorum diversi tate, si rende presto conto che in quel corpo “contratto” brilla una mente eccezionale. Lo affida alle cure dei confratelli Kerung e Burcardo, famosi studiosi dell’epoca, che gli insegnano la matematica, l’astronomia, la musica, la poesia, la storia e la liturgia. Hermann apprende tutto e memorizza con una facilità sorprendente, diventando presto autonomo nello studio. Il suo carattere gioviale, nonostante le costanti sofferenze, gli garantisce l’amicizia e la solidarietà di molti altri giovani ospiti dell’abbazia, che lo circondano con premure, tanto che con ingegno riusciranno a costruire una sedia speciale per permettergli di stare seduto. Tra questi un ruolo speciale ha Bertold, un po’ più vecchio e di umili origini, ma che sarà accanto a lui fino alla fine. Lo sostiene durante le crisi notturne, trascrive le sue scoperte e riflessioni, riuscendo a seguirne la faticosa esposizione, segue con lui il noviziato ed entrambi diventano monaci. Davide Rondoni, nel suo romanzo, con un tocco di vera poesia sintetizza la situazione del giovane Hermann dicendo che «il carattere con cui Dio ha scritto la figura di Hermann sembra adeguato al corpo sgrammaticato che ha. Dolore laminato d’oro» (D. Rondoni, op. cit,, p.33).
Innamorato del cielo stellato, non smette di osservare, studiare, e dona ai posteri opere di astronomia, purtroppo in parte andate perdute (si è salvato il De mensura astrolabii). Dal poco che ancora oggi si conosce dei suoi scritti di astronomia, si deduce che conosceva il De compositione astrolabii dell’astronomo Masha’allah ibn Athari (740-815) e che probabilmente aveva una rudimentale conoscenza dell’arabo. Questo elemento è di fondamentale importanza, perché attesta la conoscenza di testi arabi in Germania già nell’X secolo, retrodatando le prime traduzioni di oltre un secolo. Anche se incerto, la tradizione gli attribuisce la suddivisione delle ore in minuti.
Amante anche della storia, scrive cronache del suo tempo e racconti di gesta eroiche del popolo germanico, ma soprattutto ha una sensibilità particolare per la musica e la liturgia. Nell’Opuscula musica (De musica e De monochordo) introduce un nuovo sistema di scrittura per le note e i loro intervalli.
Tutti conoscono la Salve regina, una delle preghiere mariane più diffuse, più recitate e cantate nel mondo, ma forse pochissimi sanno che fu proprio il monaco Hermann a comporre le parole e a musicarla, inizialmente con lo stesso esordio di Ave Regina caelorum,poi modificato unitamente all’Alma Redemptoris Mater.
Per nulla geloso del suo sapere, si prodiga nel formare decine di discepoli, a cui trasmette amorevolmente amore per la cultura. Per tutto questo e forse altro che non conosciamo, venne soprannominato miraculum saeculi e la sua fama superò i confini del monastero, tanto da arrivare alla corte papale e alla corte imperiale. Al monastero arrivavano nobili e gente comune per avere da lui consigli di vita spirituale, ma anche di condotta politica. Anche l’imperatore Enrico III, durante la visita a Reichenau nel 1048, ne elogiò la saggezza e la prudenza, imitato un anno dopo dal Papa san Leone IX, anche lui ospite del monastero.
Hermann morì a Reichenau nel 1050, colpito da una pleurite che gli «brucia il fiato» e venne sepolto a Altshausen, presso la casa paterna. Dopo dieci giorni di sofferenze, l’amico Bertold racconta che Hermann, pensando all’Hortensius di Cicerone, concluse che «tutto il mondo presente e tutto ciò che ad esso appartiene, questa stessa vita mortale era divenuta meschina e tediosa e, d’altra parte, il mondo futuro, che non avrà termine, e quella vita eterna, sono divenuti indicibilmente desiderabili e cari, così che io considero tutte queste cose passeggere non più dell’impalpabile calugine del cardo» (Berthold von Reichenau, Annales, in «Monumenta Germaniae Historica Scriptores (MGH SS)» V, 268, Hannover, 1826)
Subito si diffuse la fama della sua santità e divenne oggetto di devozione popolare, nonostante la contrarietà del vescovo locale. Beatificato dal beato Pio IX nel 1863, la Chiesa cattolica ne fa memoria liturgica il 24 settembre. La sua tomba è andata dispersa, ma alcune reliquie sono conservate ad Altshausen e a Zurigo.
La vita di Hermann è stata una vita dolorosa e faticosa, ma di lui di dice che fosse sempre gioioso e aperto all’aiuto verso gli altri. Nonostante le sue indicibili difficoltà, era illuminato interiormente da una granitica fede e fiducia in Dio, che lo aiutavano a vedere il bene che c’era in lui, il deforme, il “contratto”: la grazia che il Signore gli elargisce ogni giorno per vivere una vita interiore profonda che supera i suoi limiti fisici. Esempio di quanto Dio sappia usare le fragilità umane per un bene superiore ed esempio, ancora oggi, per tutti di cosa possa portare la fede e il fiducioso abbandono alla volontà del Padre.
La vita di Hermann è anche l’occasione per un salto nel Medioevo, quello vero, non quello dei pregiudizi e della leggenda nera. In un’epoca come la nostra, che parla tanto di rispetto per le diversità, di accoglienza per i diversamente abili e poi si macchia di terribili delitti nei confronti dei non nati o delle persone più fragili, la vita di Hermann ricorda che ci fu un tempo in cui si sapeva veramente accogliere e accompagnare il più fragile, perché era un tempo in cui l’amore di Dio e per Dio non era messo in discussione, un tempo in cui anche con terribili colpe, gli uomini sapevano riconoscere il vero dal falso, il giusto dall’errore e che la persona umana era opera di Dio e non un capriccio dell’uomo.
Martedì, 15 ottobre 2024