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I cristiani sono quelli che «non gettano i neonati»

1 Maggio 2018 - Autore: Pierluigi Grassi

di Pierluigi Grassi

La vicenda di Alfie Evans (2016-2018) ha mosso molti cuori. Un intero popolo si è stretto attorno alla famiglia, ha pregato, sperato e fino all’ultimo ha provato a scongiurare l’accanimento per la morte portato avanti da chi dovrebbe difendere il diritto alla vita. Ma la storia di Alfie, come quella di Charlie Gard (2016-2017), è stata anche evangelicamente “segno di contraddizione” (cfr. Lc 2, 34-35): ha svelato “i pensieri di molti cuori” testimoniando l’eccezionalità e la novità del cristianesimo a un mondo che l’ha dimenticata. Perché mai, si sono chiesti in molti, un tale dibattito su una vita già segnata? Perché lottare tanto per un bambino così gravemente malato, in un tentativo che l’ospedale ha definito «futile»?

Una risposta si trova nella Lettera a Diogneto, il documento del secolo II in cui un anonimo autore cristiano greco si propone d’illustrare all’amico pagano Diogneto l’unicità del cristianesimo. Un paragrafo della lettera è dedicato al mistero del cristianesimo. Nel tentativo di spiegare l’amore che i cristiani “si portano tra loro”, lo scrittore osserva che apparentemente i seguaci di Cristo sono indistinguibili dai pagani. Non vivono in comunità chiuse, non parlano una sola lingua, mangiano e vestono come gli altri; eppure con la loro vita offrono una testimonianza paradossale. Il mondo, infatti, stava scoprendo il Vangelo specialmente osservando la cura dei cristiani verso i più deboli, compresi neonati e malati. In una società ancora legata all’usanza di sopprimere i figli malati per separare “gli esseri inutili dai sani” (cfr. Seneca [4 a.C-65], De Ira 1, 15c), la prima cosa che l’autore rimarca è che i cristiani «non gettano i neonati»: amano tutti e per questo da tutti vengono perseguitati; osservano le leggi stabilite, ma vivono la vita di chi ha cittadinanza in Cielo.

C’è qualcosa di spaventoso nell’ostinazione con cui chi avrebbe dovuto prendersi cura di Alfie e di Charlie ha invece fatto di tutto per accelerare la loro morte. Ed è ancora più inquietante confrontare la barbarie di chi non aveva conosciuto Cristo con quella di un mondo che lo ha rifiutato. Ancora una volta, come ripetuto da tutti i Pontefici del nostro tempo, è chiaro che oggi la sfida è anzitutto antropologica e ha a che fare con l’idea che si ha e che si comunica della persona umana e della sua dignità. Ma se Cristo ha vinto la morte, i cristiani per mezzo della carità vissuta hanno trasfigurato il mondo e continueranno a farlo in nome della cura per il povero e il sofferente.

Martedì, primo maggio 2018

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