Che scegliere tra uno sfogo classista e un richiamo a forme di cortesia in via di estinzione?
Forse è necessario ricostruire l’orizzonte di senso da cui tali forme scaturivano e proporre ai giovani il desiderio del Cielo, sapendo che tutto il resto viene dato in sovrappiù.
di Daniela Bovolenta
Trovo interessante che l’articolo di Alain Elkann, intitolato Sul treno per Foggia con i giovani ‘lanzichenecchi’ e apparso su Repubblica del 23 luglio 2023, abbia scatenato un dibattito appassionato, e a volte anche scanzonato – davvero i ragazzi hanno usato l’espressione «andiamo a cercare ragazze nei night»? Mi pare un fraseggio fuori uso da almeno una quarantina d’anni -, tra chi ritiene l’autore un classista fuori dal mondo, pieno di sé e del proprio privilegio, non al passo con i tempi, e chi invece vede in lui qualcuno che ha potuto finalmente dire quello che a molti è capitato di pensare, e cioè che i rapporti sociali sono sempre più deteriorati, che le forme di educazione che permettevano una convivenza civile in molte situazioni sono svanite, che Elkann si sia fatto latore di qualche briciola di stile, cultura, eleganza, tutti retaggi di un tempo migliore.
Forse sono vere entrambe le cose, ma vorrei provare a trarre spunto da questo episodio per fare una piccola riflessione.
A fine lettura a me rimane l’impressione che Elkann sia peggio dei ragazzi che chiama “lanzichenecchi”: spocchioso, irritato perché in treno sale anche il resto dell’umanità, colpito nell’orgoglio per non essere stato salutato (ma soprattutto, per non essere stato riconosciuto). Non voglio usare il facile argomento dei costumi dei familiari stretti di Elkann, ma osservo che il pezzo è uscito su Repubblica, quotidiano sponsor di ogni imbarbarimento: dalle droghe libere al sesso libero, dalla lotta a ogni forma di tradizione alla demolizione degli “stereotipi” del passato. Mi pare il frutto di un tic “radical chic”, di gente che non sa come vive il prossimo, che ama i poveri immaginari, ma schifa quelli reali.
L’autore non sceglie neppure di denunciare lo stato in cui versano alcune tratte ferroviarie locali e stazioni di periferia, dove le donne rischiano di essere molestate a ogni viaggio e gli uomini di essere aggrediti da individui raramente autoctoni, no: gli danno fastidio dei ragazzini che vanno in vacanza un po’ allegri e mettono le lattine di Coca-cola (non coca e basta) nell’apposito cestino. Sono tentata di dire che tutta la mia simpatia va ai ragazzi.
Ma potrebbe essere un errore, forse ci siamo talmente abituati ai cattivi costumi che ci sembrano normali? Me lo sono chiesta, e la risposta è no. Non è questo il punto: il punto è che il bene, la civiltà, le forme di cortesia, non sono gusci vuoti che stanno in piedi da soli. Sono il frutto di una visione del mondo, di una speranza di bene, di occhi puntati in alto. Perché un mondo che a quei ragazzi non propone che la soddisfazione immediata di ogni istinto, un individualismo estremo, il consumismo più sfrenato, l’azzeramento di ogni retaggio del passato nella “cancel culture”, nessuna grandezza né umana né divina, dovrebbe aspettarsi che questi si diano una forma dall’esterno, che coltivino un orizzonte fatto di penne stilografiche, completi di lino e forme di cortesia, come dei novelli “cavalieri inesistenti” del romanzo di Italo Calvino, con una lucente corazza ancorata sul nulla?
Forse bisognerebbe chiedersi da dove venivano quelle forme di cortesia che rimpiangiamo, forgiate nei monasteri da barbari convertiti alla ricerca di Dio, in una cultura cristiana che chiedeva all’uomo di governare i propri istinti e tenere a bada il male che è in lui, promettendogli però in cambio il Paradiso. Un mondo dove le regole del vivere in società avevano prevalentemente la funzione di tutelare l’aspetto comunitario dell’uomo, le relazioni tra i singoli e il gruppo di cui facevano parte, proteggendo il gruppo dagli egoismi del singolo. Oggi invece le nuove regole che da decenni ci propone Repubblica sono fatte per difendere il singolo dalla società, per permettergli di fare indisturbato quel che gli pare, senza bene né male, purché non si inquini e si sia “inclusivi”.
Come a tutti, è capitato anche a me di avere momenti di irritazione per la maleducazione che mi circondava, e tuttavia mi chiedo se non sia necessario guardare a questi ragazzi con altri occhi, vedere il bene che c’è in loro, promettere loro orizzonti di senso, di fede, di salvezza, dai quali – sono certa – scaturirebbero anche forme più cortesi, modi più urbani, toni più pacati. Impossibile invece ingannarli, pretendendo che adottino forme esteriori che per loro sono ormai insensate, per amore di qualche vecchio trombone che si lamenta che non ci sono più i giovani di una volta e che vorrebbe viaggiare in treno senza gli impicci del resto dell’umanità…
Giovedì, 27 luglio 2023