Reazione dell’episcopato regionale, in visita ad limina, alle recenti delibere emiliane, che vogliono introdurre l’eutanasia per via amministrativa e costituire un Comitato “regolatore”
di Chiara Mantovani
Il governo regionale dell’Emilia-Romagna, nonostante le critiche giunte da molte parti, ha in questi giorni rafforzato la propria decisione in materia di suicidio medicalmente assistito, confermando di volerlo gestire in via amministrativa, affidando ogni vaglio delle singole richieste ad un “Comitato regionale per l’etica nella clinica” (Corec) appositamente e recentemente nominato. «La Giunta ha approvato un atto integrativo ad hoc che lo esplicita», riferito alla propria già discutibile Delibera dello scorso febbraio.
Il tono e la sostanza di questa dichiarazione non lasciano spazio ad interpretazioni: in ER, la morte è decisa dalla politica. Benché persino la citatissima sentenza della Corte Costituzionale 242/2019 non dichiari ammissibile la morte su richiesta, qui, non volendo esplicitare la parola ‘eutanasia’ con tutta evidenza la si vuole introdurre nella prassi.
Non sono segnali che incoraggiano una seria riflessione e un ponderato giudizio. Con felice coincidenza, Papa Francesco, rivolgendosi ad un Convegno internazionale, venerdì 1 marzo ha, tra l’altro, fatto cenno alla necessità di «generare la speranza in un mondo sul quale incombono pesanti esperienze di morte».
Anche la Conferenza Episcopale dell’Emilia-Romagna, riunita il 29 febbraio a Roma in occasione della visita ad limina, guidata da mons. Giacomo Morandi, Presidente CEER e Vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, ha ritenuto doveroso predisporre una dichiarazione circa il fine vita. Chiara, sintetica e diretta, la riflessione dei vescovi evidenzia la necessità «di accompagnamento e di assistenza permanente verso le persone anziane e ammalate, anche quando non c’è più la possibilità di guarigione, continuando e incrementando l’ampio orizzonte delle cure». Gli oggettivi costi umani ed economici non giustificano scorciatoie di sorta: «Procurare la morte, in forma diretta o tramite il suicidio medicalmente assistito, contrasta radicalmente con il valore della persona, con le finalità dello Stato e con la stessa professione medica». Non è una questione religiosa, è una coerente persuasione «sulla base della condivisa dignità della persona e del valore della vita umana».
«Esprimiamo con chiarezza la nostra preoccupazione e il nostro netto rifiuto verso questa scelta di eutanasia», perché c’è bisogno non di morte ma di «politiche sanitarie che salvaguardino le persone fragili e indifese, e attuando quanto già è normato circa le cure palliative».
Le quali, è sempre bene ricordarlo, non sono inutili e inefficaci: anzi, sono seriamente dimostrate indispensabili ad una medicina che voglia mantenere intatto il senso del proprio agire professionale.
«La premurosa vicinanza, la continuazione delle cure ordinarie e proporzionate […] e ogni altra cosa che non procuri abbandono, senso di inutilità o di peso a quanti soffrono» sono precisamente la risposta umana, professionale, civile e politica che la dignità di ogni persona merita.
Se il nostro tempo è così colmo di litigi, astio, insofferenza, violenza e guerra – intesi anche e soprattutto come conseguenze inevitabili, personali e sociali, del disordine valoriale –, forse anche un rinnovato impegno a difendere la preziosità della vita aiuterà l’avvento di una società riappacificata, come profetizza Isaia (58,12):
«La tua gente riedificherà le antiche rovine,
ricostruirai le fondamenta di epoche lontane.
Ti chiameranno riparatore di brecce,
restauratore di case in rovina per abitarvi».
Domenica, 3 marzo 2024