450 anni fa la storica vittoria della flotta cristiana sull’Impero ottomano, che riunì l’Europa a difesa della Cristianità, come ci ricordano gli stendardi conservati a Toledo, a Gaeta e a Pisa
di Wlodzimierz Redzioch
Ci sono delle battaglie che decidono delle sorti delle nazioni, dei continenti, del mondo. Le sorti dell’Europa, che rimase cristiana, furono decise in tre storici scontri: a Poitiers, dove nel 732 i Franchi guidati da Carlo Martello (690-741) sconfissero l’esercito musulmano; nel 1571 nel Golfo di Lepanto, dove nella battaglia navale la Lega Santa vinse contro gli Ottomani; nel 1683 a Vienna, dove il re polacco Giovanni Sobieski (1629-96) riportò una grande vittoria sui Turchi che assediavano la città. Quest’anno si celebra il 450° anniversario della battaglia di Lepanto, quindi è il momento opportuno per ricordare sia la battaglia, sia i suoi simboli: gli storici vessilli delle navi.
Per molti secoli l’Europa venne minacciata dall’Impero ottomano, che riuscì a conquistare una parte consistente del nostro continente. L’Europa non è diventata musulmana grazie, tra l’altro, a quell’epica vittoria sulla flotta del sultano che è passata alla storia come la battaglia di Lepanto, cioè la battaglia navale combattuta dalla Lega Santa nel golfo di Corinto (7 ottobre 1571). Due vessilli sono i simboli di questa storica battaglia: il vessillo della nave dell’ammiraglio pontificio Marcantonio Colonna (1535-84) e il vessillo della nave di Don Giovanni d’Austria (1547-78), comandante della flotta della Lega Santa. Il vessillo di Colonna si trova attualmente nel Museo dell’Arcidiocesi di Gaeta (venne conservato per tanto tempo nella cattedrale di quella città marinara), invece il secondo è conservato nel Museo di Santa Cruz a Toledo. Ma non tutti sanno che in Italia, a Pisa, si trova anche un altro simbolo della battaglia: lo stendardo della nave del comandante in capo ottomano, Alì Pascià (?-1571).
Gli Ottomani alla conquista di Cipro
Lo scontro navale con gli Ottomani fu la conseguenza dei tentativi del sultano di impossessarsi dell’isola di Cipro, che dal 1480 apparteneva a Venezia. La conquista dell’isola di Cipro cominciò nel luglio del 1570 con lo sbarco delle forze d’invasione di circa 100 mila uomini. La capitale Nicosia cadde il 9 settembre: i Turchi massacrarono l’intera popolazione della città, risparmiando 2000 giovani fatti schiavi. Dopo la conquista di Nicosia i Turchi presero d’assedio la città portuale di Famagosta, con l’efficace e innovativo sistema difensivo fatto rinforzare dal Capitano Generale della città, il senatore Marcantonio Bragadin (1523-71), di antico e nobile casato veneziano. L’assedio durò quasi un anno: Bragadin, nel mese di luglio 1571, quando stavano per finire tutte le scorte, alla fine si arrese, concludendo un patto onorevole con il comandante ottomano Lala Mustafà (tale patto garantiva la vita e la libertà a tutti coloro che si trovavano dentro le mura). Il 1 agosto i Veneziani consegnarono la città ai Turchi, che non rispettarono i patti: durante l’incontro di Bragadin con Lala Mustafà (1500-80) i comandanti cristiani furono uccisi e allo stesso senatore furono mozzate le orecchie ed il naso. Ma questo fu soltanto l’inizio del suo supplizio. Come fu raccontato dai testimoni, il senatore fu costretto a trasportare sulla schiena enormi sacchi di terra, fu avvolto in catene sulla cima dell’albero di una galea perché tutti potessero vederlo; quindi, trascinato sulla piazza cittadina al suono di tamburo e trombe, il senatore veneziano fu scorticato vivo; la sua pelle riempita di paglia fu esposta come trofeo sull’antenna più alta della nave di Mustafà. Invece tutti i soldati cristiani furono, a tradimento, disarmati e incatenati ai remi delle galee turche.
La Lega Santa contro gli ottomani
L’eroica e lunga difesa di Famagosta diede tempo per organizzare una Lega Santa, la coalizione cristiana voluta da Pio V (1566-72) per combattere l’espansionismo dell’Impero ottomano. I turchi minacciavano non soltanto Cipro, ma anche le coste spagnole e della penisola italiana, attaccate dai pirati musulmani, che divennero padroni del Mediterraneo occidentale. In questo momento drammatico il Papa si spese per coalizzare in una Lega Santa le forze cristiane, spesso divise, in uno spirito di Crociata e per creare coesione intorno all’iniziativa.
Il simbolo di questa benedizione papale all’iniziativa fu lo stendardo di damasco rosso con le figure di Cristo crocifisso tra gli apostoli Pietro e Paolo, consegnato all’ammiraglio pontificio Marcantonio Colonna, che doveva comandare la flotta cristiana, nella basilica di san Pietro l’11 giugno 1570. Purtroppo i dissidi legati all’assegnazione del comando fecero sì che il comando fu affidato a Giovanni d’Austria, rimanendo il Colonna suo Luogotenente Generale. In questa situazione un altro stendardo, di seta cremisina con l’immagine del Crocifisso, fu consegnato solennemente dal Viceré di Napoli e delegato apostolico, il cardinale Antoine Perrenot de Granvelle (1517-86), a Don Giovanni d’Austria, nella basilica di Santa Chiara a Napoli il 14 agosto 1571.
Le navi della flotta cristiana confluirono a Messina, il porto di raduno, a partire dal luglio 1571 e ai primi di settembre erano pronte per partire verso la Grecia al comando di Don Giovanni d’Austria. Il 6 ottobre le navi si trovarono già nel golfo di Corinto. Il giorno successivo, la domenica del 7 ottobre 1571 Don Giovanni fece schierare le navi cristiane davanti a quelle ottomane, pronto per la battaglia. Le forze schierate sul mare furono imponenti: la flotta della Lega era composta da 204 galee e 6 galeazze, con a bordo circa 36mila combattenti più circa 30 mila rematori non schiavi, che potevano prendere parte negli scontri sui ponti delle galee. Invece la flotta turca era composta verosimilmente da più di 170 galee e più di 20 galeotte, cui si aggiungeva un imprecisato numero di fuste e brigantini corsari. Sulle navi turche si trovavano circa 25mila combattenti, tra cui i temibili giannizzeri.
La flotta turca era comandata dall’ammiraglio Mehmet Shoraq (1525-71), chiamato “Scirocco”, dal comandante supremo Alì Pascià, detto “il Sultano” (si trovava sulla nave ammiraglia “Sultana”, su cui sventolava il vessillo della flotta), e dall’ammiraglio Uluc Alì (1519-87), un apostata di origini calabresi convertito all’Islam. Invece le navi delle retrovie erano comandate da Murad Dragut, figlio di uno dei più pericolosi pirati barbareschi.
L’epica battaglia navale nel Golfo di Corinto
Don Giovanni decise di cominciare lo scontro con l’intervento di sei imponenti galeazze veneziane, che avevano una grande forza di fuoco: il cannoneggiamento veneziano causò gravi danni alla flotta ottomana. In quella situazione Alì Pascià decise di non abbordare le navi veneziane, ma, superandole, cercò uno scontro frontale, mirando all’abbordaggio della nave di Don Giovanni per ucciderlo. All’inizio i Turchi avevano il vento a favore e potevano eseguire un assalto alle navi cristiane, ma verso mezzogiorno il vento cambiò direzione e le vele turche si afflosciarono. Quando le navi si trovarono a tiro di cannone, i cristiani ammainarono tutte le loro bandiere e Giovanni d’Austria innalzò sulla sua nave lo stendardo con l’immagine del Redentore crocifisso, che passò alla storia come “stendardo di Lepanto”. Su ogni galea venne levata una croce e i combattenti ricevettero l’assoluzione secondo l’indulgenza concessa da Pio V. Le sorti della battaglia furono incerte fino a quando il comandante ottomano, Alì Pascià, cadde combattendo. La sua nave ammiraglia fu abbordata dalle galee toscane Capitana e Grifona, il suo cadavere fu decapitato e la sua testa esposta sull’albero maestro dell’ammiraglia spagnola. La morte dell’ammiraglio ottomano minò il morale dei Turchi: verso le quattro del pomeriggio le navi ottomane abbandonavano il campo e il loro ritiro segnava la vittoria della Lega cristiana. I Turchi persero 80 galee affondate e 117 catturate; inoltre le perdite umane furono imponenti: 30mila uomini tra morti e feriti, più 8000 catturati. La Lega cristiana, invece, perse 17 navi e 7656 uomini morti (7 784 furono feriti). Inoltre,furono liberati 15 mila cristiani, schiavi-rematori. I cristiani liberati dalle navi ottomane si recarono a Porto Recanati e andarono in processione alla Santa Casa di Loreto, dove offrirono le loro catene alla Madonna (da quelle catene furono fatte le cancellate delle cappelle del santuario).
Pio V attribuisce la vittoria alla Madonna
La battaglia di Lepanto ebbe un profondo significato religioso. Lo stesso Pontefice, Pio V, fu artefice della creazione dell’alleanza cattolica, la Lega Santa, e benedisse gli stendardi delle navi dell’ammiraglio Marcantonio Colonna e del principe Don Giovanni d’Austria. Prima della battaglia i combattenti cristiani si unirono in una preghiera di intercessione a Gesù e alla Vergine Maria. L’annuncio ufficiale della vittoria, portato da messaggeri del principe Colonna, giunse a Roma 23 giorni dopo, ma il Papa, lo stesso giorno della battaglia, a mezzogiorno ebbe in visione l’annuncio della vittoria ed esclamò: «Sono le 12.00, suonate le campane, abbiamo vinto a Lepanto per intercessione della Vergine Santissima». Così è nata la tradizione cattolica di far suonare le campane delle chiese alle 12.00. Siccome la vittoria fu attribuita all’intercessione della Vergine Maria, san Pio V decise di dedicare il giorno 7 ottobre a Nostra Signora della Vittoria e aggiunse il titolo Auxilium Christianorum (Aiuto dei cristiani) alle Litanie Lauretane. Successivamente Gregorio XIII (1572-85) trasformò tale festa nella memoria liturgica della Madonna del Rosario: i cristiani attribuivano la vittoria alla protezione di Maria, che avevano invocato recitando il Rosario prima della battaglia.
Gli stendardi della flotta cristiana di Lepanto
Pio V fece consegnare degli stendardi al generalissimo della Lega Santa, don Giovanni d’Austria, e all’ammiraglio della flotta pontificia, Marcantonio Colonna. Il primo, di damasco turchese, con gli stemmi dei partecipanti alla Lega Santa (Spagna, Chiesa, Venezia) e l’immagine del Crocifisso. Questo vessillo della Lega Santa si trova a Toledo in Spagna, invece il vessillo che sventolava sulla nave dell’ammiraglio Colonna, un altro simbolo della epica vittoria dell’Europa cattolica, aveva al centro la figura del Crocifisso, ai lati le immagini di san Pietro e san Paolo e, sotto, una scritta: «IN HOC SIGNO VINCES». La pittura fu eseguita su seta, probabilmente da Girolamo Siciolante da Sermoneta, pittore che fu al servizio dei Colonna. Il vessillo fu donato alla cattedrale di Gaeta probabilmente dai reduci della battaglia, su richiesta o con il consenso di Marcantonio Colonna. Come attestano gli storici, l’ammiraglio pontificio visitò Gaeta prima e dopo la battaglia: il 23 giugno 1571, quando la flotta pontificia venne passata in rassegna prima della partenza per Napoli, e il 23 maggio 1572, circa sette mesi dopo Lepanto.
All’inizio lo stendardo veniva trattato come una vera reliquia: le vecchie testimonianze parlano del vessillo, ripiegato e protetto da un vetro, conservato nel coro della cattedrale di Gaeta. Successivamente avvenne una trasformazione radicale del vessillo in una pala d’altare del presbiterio della cattedrale, incollata su un supporto di lino grezzo. Il vessillo, trasformato in una tela d’altare, rimase integro fino al bombardamento alleato di questa importante città portuale, che ebbe luogo nella notte tra l’8 e il 9 settembre 1943 e lo danneggiò gravemente. Dopo un accurato restauro venne trasferito ed esposto nel Museo Arcidiocesano di Gaeta.
I vessilli della galera dell’ammiraglio Alì Pascià, simbolo della disfatta ottomana
Così come il vessillo della nave ammiraglia di Marcantonio Colonna è il simbolo della vittoria della flotta cristiana, lo stendardo della nave del comandante in capo ottomano Alì Pascià è diventato simbolo della disfatta dei Turchi. Non tutti sanno che tale stendardo si trova a Pisa, nella chiesa di Santo Stefano dei Cavalieri. La sua storia è legata all’Ordine di Santo Stefano. Tale ordine fu creato da Cosimo I de’ Medici (1519-74). Il 1 febbraio 1562 Pio IV (1559-66), con la bolla His quae pro Religionis propagatione,approvò gli statuti e il 15 marzo consacrò l’Ordine con la regola benedettina e sotto la protezione di santo Stefano Papa e martire, conferendo a Cosimo I e ai suoi discendenti il titolo e l’abito di Gran Maestro. A Firenze furono redatti degli statuti simili a quelli dell’Ordine di Malta, adottandone la croce ottagonale, ma invertendone i colori, cioè la croce rossa sullo sfondo bianco. In questo modo Cosimo realizzò il suo ambizioso progetto di creare un Ordine equestre, sacro, militare e marittimo fedelissimo alla dinastia dei Medici. I suoi cavalieri erano «nobili, militari, cavalieri di giustizia, serventi e fratelli d’armi» e per essere ammessi dovevano dimostrare quattro gradi di nobiltà paterna e materna.
In quei tempi il Mediterraneo non era sicuro a causa delle scorrerie ottomane: l’ordine fu chiamato a combattere la pirateria islamica e a liberare i cristiani dalla schiavitù ottomana. Fu creato un avamposto insulare fortificato all’Isola d’Elba per impedire assalti ottomani alle coste italiane. E proprio Portoferraio, sull’Elba, fu la prima sede dell’Ordine, che successivamente fu trasferita, in modo definitivo, a Pisa. La famosa piazza dei Cavalieri prende il proprio nome da quest’ordine.
I Cavalieri di Santo Stefano già nel 1565 parteciparono a fianco della Spagna in difesa di Malta, ma sei anni più tardi presero parte con dodici galee ad una battaglia ancora più importante, la battaglia di Lepanto. Durante questo epico scontro la galera “sultana” fu abbordata dalle galee toscane Capitana e Grifona e in quell’ccasione i cavalieri si impossessarono dello stendardo generale della nave e delle altre bandiere. Oggi il vessillo e le bandiere ottomane che sono il simbolo di questa storica battaglia, che salvò l’Europa dall’invasione dei Turchi: si possono vedere a Pisa, nella chiesa di Santo Stefano dei Cavalieri, come ho già ricordato.
Gli stendardi della battaglia di Lepanto ci ricordano il prezzo pagato dai nostri antenati per difendere l’identità cristiana del nostro continente, difesa che spesso ha richiesto l’azione militare di un’Europa unita.
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L’articolo in polacco è stato pubblicato sul settimanale Sieci.
Mercoledì, 6 ottobre 2021