Gian Francesco Napione, Cristianità n. 357 (2010)
Cfr. il documento — indirizzato nell’ottobre del 1791 a Giuseppe Francesco Gerolamo Perret, conte d’Hauteville (1731-1810), reggente la Segreteria di Stato per gli Affari Esteri del Re di Sardegna — in Nicomede Bianchi (1818-1886), Storia della monarchia piemontese dal 1773 al 1861, vol. III, Predominio francese. Governo provvisorio. 1799-1802, Fratelli Bocca, Torino 1879, pp. 527-548. Il testo è integrato con le note aggiunte dall’autore nel maggio del 1792 in una lettera al cavalier Damiano di Priocca (1749-1813), ambasciatore sabaudo presso la Santa Sede. Le note, inserite nel corpo, sono contraddistinte da una lettera dell’alfabeto e la fine è segnalata con richiami corrispondenti. Le inserzioni fra parentesi quadre sia nel testo che nelle note sono redazionali. Sull’autore e sulla problematica, cfr. Francesco Verna, Nota su Gian Francesco Galeani Napione e il federalismo italico nel secolo XIX, in questo numero di Cristianità, pp. 33-37.
I. Pretensioni delle Corti di Francia e di Vienna di disporre delle cose d’Italia
La bilancia politica degli Stati, di cui si ebbe prima un modello nel fine del secolo XV in Italia, si estese, come è noto, a tutta l’Europa nel secolo XVI seguente. Vi diedero origine le famose controversie tra Carlo V [d’Asburgo (1500-1558)] e Francesco I [di Valois (1494-1547)], che divisero l’Europa a un dipresso in due partiti eguali, Francia ed Austria, collegandosi per più di due secoli le altre Corti, o contro gli Austriaci, o contro la Francia, secondo che vedevano che l’una o l’altra di queste due Potenze aspirasse alla tanto temuta Monarchia universale: così a tempi più antichi furono più frequenti le leghe contro l’Austria, e regnando Luigi XIV [di Borbone (1638-1715)] quelle contro la Francia. Le nuove Potenze nate nel Settentrione, la civilizzazione della Russia, e lo spirito intraprendente di Federico II [Hohenzollern (1712-1786)] re di Prussia, fecero cambiar l’aspetto politico di Europa. La linea politica, a dir così, che rispetto agli interessi delle Corti, la divideva in Orientale ed Occidentale, è cangiata, e la divide al presente in Settentrionale e Meridionale. Si vide perciò verso la metà di questo secolo con esempio inaudito la Francia unirsi colla Corte di Vienna in vigor del trattato di Versailles del 9 maggio 1756. Il signor di Peyssonel [Claude Charles de (1727-1790)] (1) credé quest’alleanza pregiudicievole oltremodo alla Francia, ed intraprese un’opera a nient’altro diretta che a mostrarne le dannose conseguenze, chiamandola nullameno che mostruosa, perché si oppone di fronte, secondo lui, al primo assioma della politica, “[…] che non vi può essere alleanza sincera e solida tra nemici naturali” (2). Certamente le Leghe tra Stati troppo estesi è difficile che partoriscano buon effetto, non solo perché i popoli sono di natura diversa, ma inoltre perché è difficile che l’interesse particolare d’uno degli alleati non prevalga agli interessi communi ad entrambi, onde nasce la diffidenza e la poco buona armonia. Con tutto ciò, se si fosse mantenuto il buon ordine in Francia, mancato non avrebbe il trattato del 1756 di bilanciare, in vantaggio della Francia medesima, la potenza delle Corti del Settentrione. Si potrebbe dire bensì essersi il Peyssonnel affrettato a cercar pretesti per chiamarlo dannoso, perciocché si può dire che i torbidi attuali di quel Regno, l’anarchia e gli attentati contro la Sovranità e contro la persona stessa del Monarca abbiano già una siffatta Lega totalmente annichilata e distrutta.
(a) La recente dichiarazione di guerra [20 aprile 1792] della Francia contro l’Austria ha espressamente e formalmente sciolta l’alleanza contratta tra quelle due Corti in vigore dal Trattato di Versailles del 1756 (3).
Tra le ragioni che si allegano dal Peyssonel contro la mentovata Lega, è degna di particolar considerazione quella che mediante di essa siasi impegnata la Francia gratuitamente a dar valore e consistenza alle pretensioni chimeriche della Corte di Vienna sopra l’Italia (4) a danno grandissimo dei rami della Casa di Borbone in essa stabiliti, ed abbia perduto la sua preminenza sui potentati d’Italia, ed il dritto che avea di accordar loro la sua protezione contro chiunque volesse ingerirsi negli affari d’Italia; preponderanza che il Trattato d’Aquisgrana [18 ottobre 1748] e quello di Genova [Versailles, 15 maggio 1768], la consanguinità del suo Re con quello di Napoli e col Duca di Parma, e la sua qualità di protettrice della Chiesa Romana, assicuravano alla Francia. Dov’è notabile, che la dipendenza degli altri Stati d’Italia dall’una o dall’altra delle due Corti si considera quasi come un patrimonio che debba appartenere ad alcuna, di modo che mancando per ragion del Trattato anzidetto la protezione interessata di Francia, non possa a meno di ricader sotto il dominio della Corte di Vienna, e che le principali Potenze italiane non possano esimersi dal lasciarsi signoreggiare da una delle prenominate Corti, né possano aver vigore sufficiente da governarsi da per sé stesse (5).
II. Confederazione delle Potenze d’Italia. Ragioni per cui non si conchiuse sinora
Sembra per altro che lo stato attuale d’Europa, e le circostanze presenti, nel mentre che persuadono ogni Sovrano a cercar modo di assicurar la pubblica tranquillità, rendere debbano meno difficile la conclusione di un trattato tra le diverse Corti d’Italia; il quale unirebbe la Nazione contro gli inimici esterni, ne farebbe un tutto, ne estenderebbe la gloria e la prosperità, e la porrebbe in grado di poter comparir sul teatro politico delle grandi Nazioni d’Europa da per se stessa, e senza aver bisogno di cercar appoggi stranieri. Questo sarebbe un trattato di alleanza ben concepito tra le Potenze italiane, e massimamente tra quelle che hanno Sovrani naturali — e per tali riguardar si possono i Papi e Venezia — trattato che li unisse in una confederazione consimile a quella del Corpo Germanico. Son più di due secoli che i politici zelanti del bene d’Italia van ripetendo che il cattivo destino di questa famosa contrada, per cui non poté salire in grandezza, deriva dalla politica de’ Papi, che non avendo tanta forza per impadronirsi di tutta l’Italia, n’ebbero però sempre quanta basta per impedire che si riunisse tutta sotto di un solo Principe. Per altro, se si riflette bene, non sarebbe una sciagura per l’Italia il trovarsi divisi in tanti e parecchi Stati, ogniqualvolta le diverse Corti avessero un modo facile di riunirsi per gli interessi a tutti communi. Anzi in questa guisa si congiungerebbe il vantaggio della retta amministrazione interna, principale prerogativa degli Stati mediocri, con quello della forza, della potenza, della sicurezza e della considerazione politica di uno Stato grande.
La lega dei Principi e delle Città lombarde [1167] contro l’Imperator Federico I [Hohenstaufen (1122-1190)] sin dai tempi più antichi presentò un saggio di una confederazione di tal natura. Ma il tentar cose più grandi, e il darsi a credere di possederle ancora, mentre non ne rimaneva più che un’ombra, fece sì che si trascurò di promuovere sì fatto vantaggioso sistema. Durante lunghissimo tempo si considerò l’Italia non solo come sede del Pontificato, ma eziandio come arbitra dell’Impero; e con queste grandiose idee si trascurò di stringere una unione insieme più salda e vantaggiosa, e più reale tra i suoi Potentati. Di fatto, sebbene molti Principi e Città si dichiarassero per l’Impero, ed altre per la Chiesa, e sebbene i Principi reali di Francia come capi de’ Guelfi, sempre tenessero per li Papi, e ciò per impedire che la fazione contraria imperiale dominasse, ognuno con tutto ciò portava opinione a que’ tempi che il fonte della podestà Imperiale fosse in Italia, e procedesse dal Papa, così che gli Imperatori medesimi non si riputavano tali, se almeno da un Antipapa od in altro modo non si facevano coronare in Roma (6).
E questa potenza ed autorità de’ Papi nel temporale fu potenza e grandezza reale degli Italiani dal Mille sino al Millecinquecento. Da ogni provincia d’Italia partivano legati con podestà amplissima. Tra il 1100 ed il 1200 tre ne uscirono dal solo Piemonte (7), che disposero quasi a loro senno dell’Inghilterra. Nel secolo XVI era ancora tale opinione così altamente radicata, che non solo i Prelati (8) adoperati dalla Corte di Roma, ma persino i Principi protestanti, e gli stessi Imperatori, mostravano di riconoscere l’Impero come dipendente dalla Chiesa. In certo modo vi ebbe qualche deferenza lo stesso Leibnizio [Gottfried Wilhelm von Leibniz (1646-1716)] in fine del secolo scorso, sebbene anche protestante (9). Ma dopo Carlo V gli Imperatori pretesero superiorità sull’Italia senza nemmeno compir più il cerimoniale di farsi riconoscere col prender la corona in Italia; ed i Sommi Pontefici non spiegarono più giurisdizione temporale al di là dei proprii Stati, massimamente dopo variato il sistema degli studi di Diritto Pubblico Ecclesiastico.
III. Necessità di una Confederazione degli Stati d’Italia, Capi principali che dovrebbe contenere
Ma se per una parte nessuno tra i pubblicisti accorda più ora ai Papi l’ingerirsi nella elezione degli Imperatori, sembra d’altro canto che l’Imperador medesimo non dovrebbe più vantare diritti che annessi erano e dipendenti da un sistema di cose affatto diverse, e che forse non tanto a torto il Sig. Peyssonel chiama chimerici e prescritti (10). Pare che il sistema feudale, anche rispetto agli Stati, sia andato fuori d’uso: si preferiscono Confederazioni, e nella stessa Germania, all’antico Gotico Corpo Germanico, che co’ suoi Circoli, Diete, e Principati e Repubbliche, e in politica ciò ch’era in astronomia il sistema di Tolomeo. Il defunto Re di Prussia [Federico II] avea contrapposto la Confederazione Germanica.
(b) La Confederazione Germanica fu ideata dal defunto Re di Prussia, non solo per correggere i difetti e la lentezza del Corpo Germanico, per contrappesare la potenza della Casa d’Austria, massime allora che sussisteva l’alleanza colla Francia, per impedire il vantaggiosissimo cambio della Baviera, con cui avrebbe fatto un grande accrescimento di potenza, ma eziandio per mettersi egli alla testa di una nuova Lega, diversa da quella di cui sono capi gli Imperatori. Un Principe valoroso, possessore di uno Stato alquanto esteso ed armigero, entrando in una Lega, acquista in certo modo un predominio sempre maggiore quanto più saranno questi deboli. Non in altro modo Filippo di Macedonia [382 a.C.-336 a.C.], a cui venne da taluno paragonato Federico II, arrivò a dominare in Grecia (11).
Ad ogni modo, una confederazione tra gli Stati d’Italia per assicurare la tranquillità di ciascuno di essi, si rende di giorno in giorno più necessaria in vista dei torbidi della Francia. Perciocché, o le fazioni si dichiarano una volta in quel Regno, e scoppia la guerra civile, ed allora il partito popolare farà ogni sforzo, come già fa attualmente, per accendere il fuoco nelle altre Nazioni, e massimamente nelle confinanti, onde non possano prender parte nelle loro controversie; o con inaudito esempio si stabilisce solidamente in quel Regno la nuova costituzione senza spargimento di sangue, ed in questo secondo caso, ancorché ciò seguisse con qualche modificazione, vi ha maggiore pericolo che il male divenga contagioso, qualora non si usino per tempo le opportune precauzioni.
Sì fatta confederazione sarebbe per altro nelle attuali circostanze più facile a conchiudersi, e potrebbe produrre più vantaggiosi effetti.
Sarebbe più facile a conchiudersi per l’interesse grandissimo, commune a tutte le Potenze d’Italia, e che prevale ad ogni interesse particolare, quale si è quello di assicurare la tranquillità interna di ciascuno Stato contro il fermento che tentano spargere da per tutto i Francesi fanatici. Sarebbe poi più vantaggiosa, perché nella declinazione delle cose de’ Francesi si potrebbe far prosperare i diversi rami di pubblica opulenza, regolar meglio il commercio interno, e soprattutto estendere la sfera de’ traffici marittimi, e far rinascere l’antica potenza e l’antica gloria navale dell’Italia, segnatamente nelle scale del Levante, dove dicesi che sieno ora scarsi i bastimenti, e scaduto il credito de’ Francesi, e che non si voglia eziandio in qualche porto riconoscere il Padiglione riformato dell’Assemblea Nazionale. Gli oggetti principali adunque che pare che fornir dovrebbono la materia degli articoli di una confederazione tra le Potenze d’Italia, sono i seguenti:
I. La guarentigia reciproca dell’attuale Costituzione e Leggi fondamentali di ciascuno Stato, tanto rispetto al pieno ed assoluto esercizio dell’autorità sovrana, quanto rispetto all’ordine di successione.
(c) Un patto consimile a questo proposto, formò poi un articolo del Trattato di alleanza conchiuso ultimamente [febbraio 1792] tra l’Austria e la Prussia (12).
II. La difesa comune contro chiunque intendesse mover guerra ad alcuno degli Stati confederati.
III. La protezione del Commercio contro ogni Nazione che infestasse i mari, e specialmente contro i Corsari Barbareschi; Convenzioni intorno alla Moneta, al corso di essa, ai Dazii e gabelle, e generalmente intorno a tutti i mezzi propri a far fiorire il Commercio.
IV. Lo stabilimento di un Lazzaretto comune a tutte le Nazioni in qualche isoletta rimota del Mediterraneo, dove si ricevessero e si spurgassero i bastimenti infetti di qualunque Nazione eziandio infedele e corsale, e come tale scacciati dagli altri luoghi, per evitar che la peste vada liberamente vagando per il mare, minacciando e spaventando tutti, colle regole, e nella conformità che il propone lo sperimentato Negoziante napolitano Carlo Broggia [1698-1767] (13).
(d) Se è vero quanto ho sentito assicurare (da persone informatissime) in Roma, che l’esteso litorale dello Stato Pontificio resti con poca o niuna difesa, con pericolo continuo di peste, grandissimo vantaggio ricaverebbe il Papa da questi due articoli III e IV, massime ora che mancando le altre sorgenti di ricchezza, sono costretti i popoli della Stato Ecclesiastico a rivolgersi ai veri fonti dell’opulenza pubblica, l’agricoltura ed il commercio (14).
V. Un congresso o Dieta di Ministri di ciascuno degli Stati confederati stabilmente residente in una determinata Città per trattar gli interessi di ciascuno de’ Co-Stati, ed i comuni di tutti, principalmente quelli riguardanti il Commercio.
VI. Le regole per terminare in essa Dieta, ove sia fattibile, amichevolmente le differenze che sorgessero per qualunque oggetto tra Stato e Stato.
VII. La facoltà di accordarsi a ciascuno Stato confederato, di far Patti, Alleanze, e Trattati con qualunque Potenza, purché tali Alleanze non sieno contrarie al bene universale degli Stati confederati.
VIII. La reciproca obbligazione di consegnarsi i delinquenti di qualunque delitto, che secondo le Leggi dei rispettivi Stati porti pena afflittiva, e di mettere in opera tutti i mezzi per l’estirpazione de’ malviventi.
IX. La libertà a ciascun individuo di contrattare, trafficare, comprar beni, e stabilirsi, e partecipare a tutti i dritti di Cittadino in ciascuno degli Stati Confederati.
IV. Spiegazioni ed osservazioni intorno ai Capi della Confederazione
Tutti i sopraccennati Capi principali si potrebbero spiegare più ampiamente con articoli subalterni. A cagion d’esempio, al Capo II, si vorrebbe aggiungere il contingente di truppe, o di denaro, che dovrebbe fornire ciascuno Stato ogni qual volta venisse assalita alcuna delle Potenze Confederate; esprimere le circostanze, e i requisiti necessarii perché una determinata guerra venisse dichiarata guerra della Nazione; e qual Potenza in tal caso dovesse avere il comando supremo delle armi. Rispetto al Capo III, converrebbe dichiarar l’ordine dell’armata di mare, tanto da tenersi continuamente in pronto per la difesa del Litorale e per la protezione del commercio, quanta per li casi straordinarii.
Si farebbe un vantaggio immenso all’umanità quando colle forze riunite dell’Italia, e continuamente in azione, riuscisse di costringere i Corsari Barbareschi a lasciare la lor professione, cosicché dovessero diventar coltivatori, con molto maggior profitto loro, di una delle più fertili regioni del mondo che lasciano deserta. Era questa una delle massime della falsa politica francese, prestar aiuto e favore a que’ Corsari, per impedire il commercio marittimo delle Potenze d’Italia. Uno (15) de’ più famosi loro politici non ebbe ribrezzo di pubblicare, anzi quasi di vantarsi di una condotta politica così perversa. Del resto, i trattati di pace che diverse Potenze d’Italia hanno conchiusi colle Reggenze dell’Affrica non sono mai stati stabili, essendo impossibile ottenerne l’osservanza, eccetto mediante la forza. E per questo probabilmente non ebbe luogo il progetto di un Trattato consimile di pace, stato proposto circa dieci anni sono alla nostra Corte. All’ultimo, una marineria militare farebbe nascere una marineria mercantile, darebbe sfogo ed occupazioni a tante persone senza partito, ed anche torbide, farebbe rinascere lo spirito mercantile, nello stesso tempo che manterrebbe in vigore in tempo di pace gli spiriti guerrieri, e forse in queste circostanze presenti potrebbe attrarre all’Italia gran parte del commercio di Levante. Colla facoltà, di cui al Capo VII, di far Patti ed Alleanze con Potenze straniere — purché colla condizione ivi espressa —, facoltà consimile a quella di cui godono i Co-Stati del Corpo Germanico (16), non resta escluso alcuno de’ modi di giusta ampliazione, come successioni, permute, compre, e di far eziandio valere colla forza i propri diritti, ogni qualvolta non riesca di terminare amichevolmente le controversie.
V. Negoziazioni che si propongono, per conchiudere la Confederazione di cui si tratta
Una sì fatta confederazione si potrebbe proporre prima di tutto a quelle Corti dove il Governo ha maggior interesse di mantenere la tranquillità pubblica, ed è quasi per costituzione pacifico, come Roma e Venezia. Quando non riuscisse di conchiuderla se non con alcune Corti, sarebbe sempre una Lega particolare: e lasciandosi per un articolo espresso di essa campo aperto alle altre Potenze d’Italia d’entrarvi, una tal clausula non solamente toglierebbe ogni motivo di gelosia, ma inviterebbe le altre Potenze ad unirvisi per goderne de’ vantaggi.
Il Re di Napoli, che non ha voluto entrare nel Patto di famiglia de’ Borbonici del 1761 (17), è da credere che si risolverebbe più facilmente a far lega co’ Principi d’Italia suoi alleati naturali, e coi quali può avere, ed ha interessi comuni. La Corte di Roma facilmente potrebbe persuadere a quella di Napoli di entrare in sì fatta confederazione quando si disponesse di rinunciare al preteso omaggio feudale pel Regno solennemente, omaggio da cui non cavò, né caverà mai la Corte di Roma un’utilità diretta e reale, la quale utilità d’altronde verrebbe in ogni caso abbondantemente controbilanciata dai buoni effetti, che produrrebbe la buona armonia tra le principali Potenze dell’Italia, mediante la mentovata Confederazione.
(e) Il dotto cardinale Borgia [Stefano, 1731-1804] provò, con un’opera eruditissima, l’antico e mai interrotto possesso della Santa Sede di esigere l’omaggio feudale del Re di Napoli. Forse se ne potrebbe fare una egualmente voluminosa, che comprendesse i mali che cagionò allo Stato Pontificio il dovere spedire investiture a questi vassalli troppo potenti, ed i danni che ne ebbero a soffrire i Papi. I Re di Spagna, vassalli per lo Regno di Napoli della Santa Sede, si può dire che comandarono in Roma da Carlo V insino alla estinzione della linea degli Austriaci di Spagna in fine dello scorso secolo. Le guerre per la successione di Spagna [1701-1714], e per conseguente anche del Regno di Napoli, ognuno sa di quanti disturbi furono cagione ai Papi, sin quasi alla metà di questo secolo, di quante devastazioni allo Stato della Chiesa. Inoltre, l’autorità dei Papi sebbene illimitata nel temporale, resta però per mille motivi inceppata nel suo esercizio. I principali sono l’essere il Papa principe elettivo, e che deve avere troppi riguardi, la potenza de’ Cardinali e de’ Nobili. Un’alleanza colle altre Potenze d’Italia, e col rinunciare a certe pretensioni vuote di sostanza, porrebbe in grado i sommi Pontefici di poter esercitar più liberamente ne’ proprii Stati ed in Roma stessa l’autorità loro, e sradicare gli abusi favoriti dai Grandi (18).
I Toscani, ed il Toscano ministero certamente, è da supporre che volentieri abbraccerebbero una occasione per ordinare le cose in modo che quello Stato non corra mai più rischio di diventare Stato di Provincia, intento che potrebbero più facilmente ottenere mediante la Confederazione medesima, e ciò oltre agli altri vantaggi che verrebbero da essa alla Toscana, massime rispetto al Commercio.
(f) Vivendo tuttora l’Imperator Leopoldo, fu cosa facile il ravvisare che il Governo di Toscana, dopo che ne aveva preso le redini il nuovo Gran-Duca [Ferdinando III d’Asburgo-Lorena (1769-1824)], non camminava più colle massime del di lui padre. È da credere perciò a più forte ragione, che dipenderebbe anche meno al presente dagli interessi della Corte di Vienna. Certamente quel Ministero, è da credere che prenderebbe ogni occasione per prevenir che la Toscana non ricadesse in istato di Provincia, il che potrebbe succedere, quando non avesse successione l’attuale Gran-Duca. Una Confederazione degli Stati d’Italia potrebbe assicurarli da siffatto timore col stabilirsi che mai non potesse riunirsi la Toscana ai dominii della Casa d’Austria. Si potrebbe piuttosto convenire che mancando la discendenza dell’attuale Gran-Duca, dovesse succedervi chi avrà il Ducato di Modena, e quello Stato potrebbe allora unirsi a quello di Milano (19).
L’Imperatore, come Duca di Milano e di Mantova, e Potenza Italiana, ma Potenza tale che per via degli altri amplissimi suoi Stati di Germania non rimoti, ben lungi dall’abbisognare di Confederazioni per assicurarsi, secondo il Peyssonel, aspira a predominare in Italia.
Un grave e giudicioso politico italiano (20) osservò che gli Imperatori occupati dalle guerre di Alemagna abbandonarono nei tempi antichi le cose d’Italia, che separatasi a poco a poco dall’Imperio, rimase soggetta ai proprii e particolari signori.
Se è vero che nel recentissimo Trattato di Pilnitz [1791] il Re di Prussia [Federico Guglielmo II 1744-1797] abbia promesso d’impiegar tutto il suo credito per cooperare al cambio della Baviera coi Paesi Bassi Austriaci in favore dell’Imperator regnante (21) — progetto, l’esecuzione del quale venne a tutto potere impedita dal Re di Prussia defunto, al qual effetto mise in campo la Lega Germanica —, si può congetturare che l’Imperator medesimo, per non metter in allarme tutti i Principi della Germania, abbraccerebbe l’occasione di mostrar moderazione in Italia, per estendere più sicuramente la sua potenza al di là delle Alpi. In questo caso potrebbe convenirgli entrar in essa Confederazione come Principe Italiano per assicurarsi de’ suoi Stati che vi possiede, prevenir le diversioni, ed impiegar le sue forze altrove. Del resto, conviene assaissimo alla Real Casa di Savoia che lo Stato di Milano continui ad essere Stato di Provincia, perché in tal modo non è perduta la speranza di farne acquisto in una occasione favorevole col mezzo di una ben guidata negoziazione a titolo di permuta, od in altra maniera. Non è vana lusinga il congetturar che l’Imperatore rinuncierebbe di buon grado agli Stati d’Italia ogniqualvolta ciò contribuir potesse a renderlo più grande in Germania.
Il Duca di Modena, in cosa riguardante il sistema politico di tutta Italia, non potrebbe a meno di non seguire le determinazioni che prenderebbe l’Imperatore pel Milanese; ed il Duca di Parma seguir dovrebbe quelle del Re di Napoli. Quanto alla Repubblica di Genova finalmente, non v’ha dubbio che se conoscesse il suo vero interesse, dovrebbe farsi premura di entrare in tale Confederazione, sia per assicurar meglio la tranquillità interna, sia per estendere, e rendere più fruttuoso il suo commercio marittimo. In tal caso, si potrebbe con un articolo espresso salvar le ragioni del nostro Sovrano sui diversi luoghi della Riviera, e prefiggere un termine per l’ultimazione delle differenze vertenti già da sì lungo tempo sul fatto dei confini.
VI. Buoni effetti che produrrebbe la Confederazione d’Italia,
specialmente per la Real Casa di Savoia
Qualora riuscisse di formare delle Potenze Italiane una Confederazione nella maniera suddivisata, gli Stati uniti dell’Italia potrebbono, al pari del Corpo Germanico, avere influenza diretta nelle negoziazioni che riguardano gli affari generali di Europa, e trattar alla pari colle Potenze più grandi senza aver bisogno dell’appoggio sempre interessato di Potenze Estere, e potrebbe eziandio la Confederazione unita conchiudere trattati vantaggiosi a tutta la Nazione.
Tali sarebbero un Trattato difensivo colla Spagna contro i Corsari Barbareschi, e contro chiunque infestasse i mari, ed un altro Trattato parimenti difensivo cogli Svizzeri, che già, sono i più antichi Alleati della Real Casa di Savoia, contro ogni Potenza che intendesse assalire qualunque degli Stati Confederati.
(g) Dicesi che il Gran Cancelliere Gubernatis [Gian Battista de Gubernatis (1774-1836)] abbia fatto un progetto di unir la Savoia intimamente cogli Svizzeri. Io non ho mai veduto questo scritto: ma sicuramente, se si trovasse modo di affidarne a quella bellicosa Nazione la difesa senza pregiudicio della sovranità de’ nostri Monarchi, si risparmierebbero spese infinite, e si provvederebbe meglio alla sicurezza di un paese aperto, e senza fortezze (22).
Oltre a questi due Trattati di alleanza colla Spagna per mare, e cogli Svizzeri per terra, forse sarebbe opportuno, e più facile a conseguirsi, qualora tutta la Nazione fosse riunita in un sol corpo, l’intavolare un Trattato, mediante di cui si ottenesse dall’Impero Germanico una solenne rinuncia ad ogni preteso diritto sopra l’Italia. La cosa non è senza esempio. Nei tempi passati vi furono Potenze che, a poco a poco si levarono dalla suggezione dell’Impero, o ad un tratto da per sé stesse si dichiararono libere da ogni dipendenza per le provincie acquistate.
Delle vaste provincie che formavano il Regno di Borgogna, del Delfinato, della Provenza, del Lionese, e della Bressa medesima ceduta dalla Real Casa di Savoia alla Francia, si riguardavano que’ Regnanti come Padroni assoluti senza voler dipendere in modo nessuno dall’Impero Germanico, sebbene taluno de’ moderni più riputati giuspubblicisti Tedeschi pretenda che i Re di Francia possiedano senza titolo il dominio diretto di esse Provincie (23).
Lo stesso fecero quando s’impadronirono, ed occuparono alcuna parte d’Italia. Luigi XII [di Valois-Orléans (1462-1515)], impadronitosi di Genova, con editto del mese di maggio del 1507 unì totalmente quella città al suo dominio, e secondo che narra il Guicciardini [Francesco (1483-1540)], fece rimovere dalle monete Genovesi i segni antichi, ed ordinò che vi fossero impressi i suoi, per dimostrazione di assoluta superiorità (24). Lo stesso praticarono i Re di Francia (25) rispetto al Marchesato di Saluzzo ed alla Signoria di Pinerolo durante l’occupazione di quei dominii a pregiudicio della Real Casa di Savoia, per modo che, dopo il cambio del Marchesato colla Bressa, e la restituzione di Pinerolo, vi ha chi asserisce che per quelle Provincie non abbia il Re nostro Monarca dipendenza nessuna dall’Impero (26), anche per lo motivo (per ciò che appartiene al Marchesato di Saluzzo), che l’Imperatore e l’Impero abbandonarono i Duchi di Savoia, e segnatamente i Duchi Emanuele Filiberto [1528-1580] e Carlo Emanuele I [1562-1630], allorché furono assaliti dai Re di Francia per ragion di esso Marchesato, che i detti Re pretendevano appartener loro, onde il Duca Carlo Emanuele fu costretto a cedere buona parte del suo patrimonio per riaverlo. I Veneziani sono riconosciuti per indipendenti totalmente dall’Impero dal precitato Mascovio, anche rispetto a Padova, Vicenza, e Verona, una volta immediatamente sottoposte al Regno d’Italia, a Brescia, a Bergamo smembrate dal Ducato di Milano, e ad una parte del Friuli, una volta sottoposto agli Austriaci (27).
E finalmente, per quanta appartiene ai Cantoni Elvetici, questi nella pace di Westfalia furono dichiarati totalmente liberi, ed esenti da ogni giurisdizione dell’Impero (28). E quanto alla Toscana, varia fu la condizione di quello Stato, quanta alla relazione che si avesse coll’Impero (29). I primi de’ Medici, sebben Principi nuovi arricchiti dai Papi, e fatti potenti coi privilegi imperiali, vantarono indipendenza sin dal secolo XVI, e fu soltanto all’estinzione della linea di que’ Principi che si fecero rivivere i diritti dell’Impero nel Trattato della quadruplice alleanza [stipulata il 2 agosto 1718 fra Regno Unito, Sacro Romano Impero, Regno di Francia e Repubblica delle Province Unite]. Quello Stato passò poi, come ognun sa, in potere della Casa di Lorena, ed è cosa singolare che durante che fu posseduto dall’attuale Imperatore regnante [Leopoldo II d’Asburgo-Lorena (1747-1792)], vivendo Giuseppe II [1741-1790] suo fratello, si sostenesse da tutti pubblicamente l’indipendenza della Toscana dall’Impero, ed ora sì fatta indipendenza sia stata posta per condizione — per quanto si dice — del matrimonio fra il Gran-Duca [Ferdinando III (1769-1824)] e la Principessa di Napoli [Maria Luisa di Borbone (1773-182)]. Quanto alla Casa d’Este, l’esser feudataria per Ferrara, ne produsse la perdita: e dopo, la total dipendenza dall’Austria condusse le cose al punto di veder terminare quello Stato in mani degli Austriaci. Più funesta fu la catastrofe dei Duchi di Mantova, il cui dominio venne nel 1708 confiscato dall’Imperatore [Giuseppe I d’Asburgo (1678-1711)] in odio del Duca Ferdinando Carlo [di Gonzaga-Nevers (1652-1708)], per preteso delitto di fellonia (30), quantunque i Gonzaghi sempre fossero stati ben affetti all’Impero, ed in tempo prossimo avessero date due Imperatrici del lor sangue alla Germania, e sebbene n’esistessero allora i rami dei Duchi di Guastalla, e di altri Agnati di quella famiglia. Lo stesso intervenne al Duca della Mirandola, e ad altri Principi minori. In tempo di guerra viva, è troppo facile che un Principe debole sia costretto a contrarre alleanze con Potenze ragguardevoli, diverse dall’Impero, massime mancando la difesa del Padron diretto, che è remoto. Facendosi poi la pace, è troppo facile che l’alleato debole sia abbandonato dal potente, ed allora il pretesto di fellonia non manca mai. Il sistema feudale non pare pertanto adattato ai Principati motivo per cui Napoli (31), Parma, del pari che Venezia, e Toscana, non vogliono più riconoscere per superiore diretto né il Papa né l’Imperadore.
VII. Vicariato Imperiale della Real Casa di Savoia, e conclusione
Di diversa natura invero è il Vicariato Imperiale della Real Casa di Savoia, ed in vigor di esso due accreditatissimi Giureconsulti (32) chiamarono eguale l’autorità de’ Sovrani nostri (33) negli Stati loro, e quella degli Imperatori. Tuttavia resterebbe a determinarsi se al presente non sarebbe da preferirsi che si dichiarasse che ogni diritto dell’Impero, non in forza di Vicariato, ma per diritto proprio assolutamente si esercitasse dal nostro Monarca, e se una più intima Confederazione cogli altri Stati d’Italia non sarebbe migliore di questa relazione colla Germania. Lo stesso Eineccio [Johann Gottlieb Heinecke (1681-1741)] pare che ammetta che il Vicariato solennemente concesso dall’Imperatore possa sopprimersi dall’Imperio, quando vi sia cagione creduta giusta (34). Tutti i Principi procurano a’ dì nostri di togliersi ogni ombra di dipendenza che in tempi di minorità, di Reggenza, o di guerra sfortunata può produrre maggior male di quello che sieno i vantaggi che partorisce in tempi quieti e prosperi. Perciò il Re di Prussia procurò di liberar il suo dominio da ogni reliquia di dipendenza dalla Polonia. Inoltre, i Giureconsulti Tedeschi pretendono che l’autorità de’ Vicari Imperiali Germanici (35), che sono il conte Palatino e l’Elettore di Sassonia, si estenda eziandio all’Italia ed alle reliquie del Regno di Borgogna, vale a dire, secondo essi, alla Savoia. E sebbene il Vicariato Imperiale de’ Principi di Savoia sia di ragione più antico che non quelli di Germania, perciocché l’atto con cui l’Imperador Federico II constituisce il Conte Tommaso [II] di Savoia [1199-1259] Vicario Generale Imperiale per tutta la Lombardia è dell’anno 1249 (36), quandoché il primo Diploma in cui trovasi fatta menzione del Vicariato Imperiale del conte Palatino in Germania è dell’anno 1279 (37), con tutto ciò resterebbe ad esaminarsi se abbia prodotto tal officio vantaggi reali, massime dopo lo stabilimento del Diritto pubblico d’Europa: anzi sembra che con detti Diplomi Imperiali altro non si facesse che concedere in certo modo ciò che i nostri Sovrani gia possedevano. Di fatti, l’Imperator Carlo IV [di Lussemburgo (1316-1378)] avendo accordato al Conte Amedeo VI [1334-1383] nel 1365 ed a’suoi successori il privilegio di suo Vicario Generale in parecchie Diocesi, e segnatamente in quelle di Lione, Macon, e Grenoble, l’Imperator Massimiliano I [d’Asburgo (1459-1519)] limitò tale autorità alle sole porzioni di dette Diocesi, che si stendevano nel Ducato di Savoia (38). Tutti questi riflessi potrebbono dar materia di disamina se nello stato attuale delle cose non sarebbe preferibile, per la Real nostra Corte, una salda e più intima alleanza colle altre Potenze d’Italia ai vincoli colla Germania, da cui troppo è difficile ottener soccorso in caso di bisogno, e che anzi in certe occasioni potrebbon dare pretesto ad indebite pretensioni.
(h) Oltre alle considerazioni toccate nella nota (b) è da notarsi che una Confederazione nel modo divisato renderebbe più facili alla Real Casa di Savoia le successioni, e le vantaggiose permute degli Stati de’ nostri Sovrani. La Sardegna, la Savoia e Nizza potrebbe forse col tempo riuscire di cambiarle utilmente con Stati di Lombardia, compreso il Ducato di Milano. Nelle Diete della Nazione sarebbe di grandissimo peso l’influenza del Principe più antico, più riputato per forze militari, ed anche per arti di Governo, che sia in Italia. E se sin d’oggi sussistesse una sì fatta Confederazione, non sarebbe stato difficile d’ottenere aiuti di uomini e di denari per le spese grandiose del cordone delle truppe in Savoia e nel Contado di Nizza, cordone diretto a difendere non meno il Piemonte che tutto il rimanente d’Italia dalla più perniciosa guerra che sia stata mai, come quella che tende a far ribellare i Popoli contra i loro legittimi Sovrani (39).
Ad ogni modo, quando la Nazione Italiana riunita fosse disposta a dichiarar prescritti i succennati pretesi dritti dell’Impero, l’Imperador regnante, per le ragioni dette di sopra, procurerebbe per avventura di trar partito da una preventiva volontaria rinuncia, per poter ottenere di estendere maggiormente la sua potenza in Germania, senza eccitar maggiore gelosia. Vi potrebbe anche avere un interesse diretto col dichiararsi in questa guisa indipendenti dall’Imperio i Ducati di Milano e di Mantova.
Una Confederazione così fatta è certamente cosa nuova ed insolita in Italia, ma a’ dì nostri, non già ne’ tempi antichi; ma non nell’Europa moderna, che anzi le Confederazioni, quando composte di Stati di una Nazione medesima, quando ristrette alla difesa, quando il principale loro scopo fu diretto alla sicurezza ed alla prosperità commune, furono durevolissime, e produssero buoni effetti. Per lasciar tanti esempi che ne somministra la storia antica, è notabile che siffatte Confederazioni ebbero buonissima riuscita in nazioni di natura affatto diverse, e non ostante che si opponessero ostacoli gravissimi. Qual differenza non passa tra gli Svizzeri, alpigiani, e gli Olandesi, marittimi, e ricchi trafficanti? Tra i principati e le republiche che compongono il Corpo Germanico, e gli Stati Uniti d’America? E nelle Confederazioni medesime succennate entrarono Stati di natura molto più tra loro diversa, che non il sieno gli Stati principali d’Italia. Nella Confederazione de’ Cantoni Elvetici vi sono repubbliche aristocratiche e repubbliche democratiche. Nel Corpo Germanico vi è ogni specie di governo. Ma quello che è più, tanto nell’una quanta nell’altra di queste due famose Confederazioni entrano Stati di religioni diverse; laddove in una Confederazione degli Stati d’Italia si riunirebbero popoli non solo della stessa Nazione, ma eziandio tutti della stessa Religione, annoverando inoltre tra i suoi potentati il Capo medesimo della Religione Cattolica.
Note
(1) [Cfr. Claude-Charles de Peyssonnel,] Situation politique de la France, et ses rapports actuels avec toutes les Puissances de l’Europe, tomo I, Neuchatel 1789, p. 19.
(2) [Ibid., pp. 15-16].
(3) [Fine della nota del 1792].
(4) Cfr. ibid., p. 227.
(5) Cfr. ibid., p. 231.
(6) Il passo d’Arnolfo Milanese [m. 1085], Rerum italicarum scriptores, tomo IV, p. 15, citato dal Mascovio [Johann Jakob Mascov (1689-1761)], Principia iuris publici imperii Romano-Germanici ex ipsis legibus, actisque publicis eruta et ad usum rerum accomodata, Lipsia, 1738, pp. 133-134, dove parla della coronazione degli Imperatori, è del tenor seguente: “Certum est quidem (parla lo stesso imperator Corrado [di Franconia (990 ca.-1039)] al popolo) […] quia sicut Privilegium est apostolicae sedis consecratio imperialis, ita ambrosianae sedis Privilegium est electio et consecratio regalis. Unde ratum videtur, ut manus quae benedicit […] repraesentet regem ad Imperium promovendum sancto Petro et eius vicario” [“È certo che […], così come la consacrazione imperiale è privilegio della Sede Apostolica, parimenti è privilegio della Sede Ambrosiana l’elezione e la consacrazione regale. Perciò appare evidente che la mano che benedice […] indica a san Pietro e al suo Vicario il re da promuovere all’Impero”].
(7) Sant’Anselmo [d’Aosta (1033/1034-1109)], il Cardinal Enrico [di Susa (1210-1271)], ed il Cardinal Guala [Bicchieri, (1150 ca. -1227)] vercellese.
(8) Il Cardinal Commendone [Giovanni Francesco (1523-1584)], famoso negoziatore della Corte di Roma a’ tempi del Concilio di Trento [1545-1563], in un intervallo d’ozio aveva intrapresa un’opera di diritto pubblico fondata sui diplomi e trattati esistenti nella Biblioteca Vaticana, opera diretta a mostrare l’autorità dei Papi sull’Impero Romano Germanico. Il medesimo Commendone sostenne la causa dell’indipendenza del Gran-Duca di Toscana dall’Impero (cfr. Antonio Maria Graziani [1537-1611], De vita Ioannis Francisci Commendoni cardinalis, Parigi, 1669, trad. fr. di Esprit Fléchier [1632-1710] Parigi 1671, lib. I, cap. XVII, e lib. III, cap. VIII). Lo stesso Prelato trovandosi Legato in Germania, disse un tratto all’Elettore di Brandeburgo Gioachino [1505-1571], che l’Imperio aveva ricevuta tutta la sua autorità dal Papato; e l’Elettore, cavatosi il cappello, subito rispose: “Ego hoc non diffiteor” [“Io non contesto ciò”] (cfr. Giulio Poggiani [1522-1568], Epistolae et orationes olim collectae ab Antonio Maria Gratiano nunc ab Hieronymo Lagomarsinio e Societate Jesu adnotationibus illustratae ac primum editae, tomo III, Roma 1757, p. 126). In una lettera del Cardinal Borromeo [san Carlo (1538-1584)] scritta nel 1563 a Zaccaria Delfino [1527-1583], nunzio presso l’Imperatore Ferdinando [d’Asburgo (1503-1564)], si dice nulla l’elezione in Re de’ Romani di Massimiliano [II d’Asburgo (1527-1576)] per diversi motivi ivi addotti, e principalmente per la futura successione nell’Impero, la quale non può esser concessa dagli Elettori, ma solo da Sua Santità, soggiungendosi che Carlo V, quando volle far Re de’ Romani suo fratello, lo aveva prima partecipato al Papa, come appariva per molti Brevi e lettere. Con altra lettera poi del 5 febbraio 1564 avvisa che il Papa aveva approvata l’elezione del Re de’ Romani, ed aveva con quell’atto supplito a tutti i difetti della elezione (Cfr. ibidem, p. 184).
(9) Cfr. [Bernard le Bovier de (1657-1757)] Fontenelle, Èloge de Leibnitz [sic] [, in Jean François Thurot (1768-1832), Oeuvres de (John) Locke (1632-1704) et Leibnitz [sic]: contenant l’essai sur l’entendement humain, Firmin-Didot, Parigi 1879, pp. 479-48].
(10) Cfr. C. C. de Peyssonnel, op. cit., tomo II, p. 56.
(11) [Fine della nota del 1792].
(12) [Fine della nota del 1792].
(13) [Cfr. Carlo Antonio Broggia, in Idem, Trattato de’ tributi, delle monete, e del governo politico della sanità, Napoli 1743, cap. IX, Trattato politico della Sanità, pp. 498-503].
(14) [Fine della nota del 1792].
(15) Cfr. Charles-Louis de Secondat, barone de La Brède et de Montesquieu [1689 -1755], De l’esprit des loix, Ginevra 1748 [trad. it., Lo spirito delle leggi, a cura di Sergio Cotta (1920-2007), 2 voll., UTET, Torino 2005].
(16) Stabilì chiaramente tale diritto il Trattato di Vestfalia [1648], e fu inserito per la prima volta nella Capitolazione di Giuseppe I [d’Asburgo (1678-1711)] nel 1689. Cfr. Christian Conrad Wilhelm von Dohm [1751-1820], L’alliance des Princes de l’Empire Germanique, P.F. Gosse, La Haye 1786, p. 13 ss.
(17) Cfr. C.C. de Peyssonel, op. cit., tomo II, p. 105 e 179.
(18) [Fine della nota del 1792].
(19) [Fine della nota del 1792].
(20) Cfr. Discorsi politici di Paolo Paruta [1540-1598] nobile vinetiano caualiere e procurator di San Marco, libro II, dis. IX, p. 285.
(21) Cfr. C.C. W. Dohm, op. cit., p. 31 e seg.
(22) [Fine della nota del 1792].
(23) Cfr. J.J. Mascov, op.cit., libro II, cap. IV, par. 18, p. 68.
(24) Cfr. François Le Blanc [1648-1698], Traité historique des monnoyes de France, Amsterdam 1692, p. 262.
(25) Cfr. Francesco Guicciardini, La Historia d’Italia, Venezia 1563, libro VII, p. 196.
(26) Cfr. Recherches des titres qui ont acquis à la Royale Maison de Savoie les Etats qu’elle possède, pp. 82 e 89.
(27) Cfr. J.J. Mascov, op.cit., libro II, cap. V, par. 63-66, p. 91.
(28) Cfr. ibidem, cap. IV, par. 33, p. 71.
(29) Cfr. Galluzzi [Iacopo Riguccio (1739-1801)], Istoria del Granducato di Toscana sotto il governo della Casa Medici, Cambiagi, Firenze 1781, passim.
(30) Cfr. J.J. Mascov, op.cit., libro II, cap. V, par. 48-49, p. 88.
(31) Rispetto a Napoli, vedi l’opera del prefato [Michele Maria Vecchioni,] Del preteso dominio diretto della Santa Sede in ragion feudale sul Reame di Napoli, Napoli 1788.
(32) Il Menocchio [Giacomo (1532-1607)], nel consiglio per la causa del Monferrato, n° 158, Dux Serenissimus Sabaudiae in suo Ducatu Imperii, et omnimodae potestatis jura habet, citando Giacobino [Jacopino (sec. XV, 2a metà)] da San Giorgio ed il Porporato [Gian Francesco (1484-1544)], il qual ultimo nella rubrica ff. De iis cujus mandata est jurisdictio, n° 20, scrisse Ducem. Sabaudiae in suo Ducatu aequiparari Imperatori in suo Imperio.
(33) Questa autorità sopra gli Stati d’Italia probabilmente deriva dal Marchesato d’Italia (Cfr. De la supériorité sur le ville de Gênes [Mémoires touchant la supériorité impériale sur les villes de Gênes et de San Remo ainsi que sur toute la Ligurie, Ratisbonne 1768, 3 tomi], tomo I, cap. IV, p. 35; e Pièces justificatives, n. XI, p. 31. Thomas Comes Sabaudiae, totius Italiae Legatus, et Marchio ejusdem, così si sottoscrive quel Principe in un diploma di Federico II Imperatore in favore di Enrico del Carretto [XVII-XVIII sec.], in data del 6 luglio 1220. Diploma esistente negli Archivi di Genova).
(34) Johann Gottlieb Heinecke, Responsum de quaestionibus quibusdam ad feuda Langharum, pot. Sardiniae regi cessis pertinentibus, in Operum Omnium supplementum, Genevae, 1771, par. 22, p. 33. Prima edizione Responsa iuris super feudis Langharum pot. Sardin. regi cessis et super tabulis supremis Usimbardianis ex schedis paterni, Vratislaviae 1744.
(35) Cfr. J.J. Mascov, op.cit., libro III, cap. VIII, par. 22, p. 200.
(36) Cfr. Samuel Guichenon [1607-1664], Histoire généalogique de la royale maison de Savoie, tomo I, volume II, Torino 1778, p. 301.
(37) Cfr. Pseffel [Christian Friedrich Pfeffel von Kriegelstein (1726-1807)], Abrege chronologique de l’histoire et du droit public d’Allemagne, contenant les guerres, les traites de paix, les loix[, Parigi 1754, pp. 374-386].
(38) Cfr. S. Guichenon, op. cit., Tomo II, p. 468.
(39) [Fine della nota del 1792].