di Oscar Sanguinetti
1. La vita
Il futuro imperatore di Austria e re di Ungheria — nonché futuro beato — Carlo Francesco Giuseppe Ludovico Umberto Giorgio Mario d’Asburgo-Lorena-Este, nasce nel castello di Persenbeug, a ovest di Vienna, sulle rive del Danubio, nel 1887. È figlio di Ottone Francesco Giuseppe d’Asburgo-Lorena (1865-1906), arciduca d’Austria, fratello di Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este (1863-1914) e di Maria Giuseppina di Sassonia-Wettin (1867-1944), figlia di Giorgio di Sassonia (1832-1904). L’imperatore Francesco Giuseppe I (1830-1916) è dunque suo prozio.
L’infanzia e gioventù di Carlo non hanno nulla di speciale, perché seguono l’iter tradizionale della nobiltà del sangue dell’epoca, un iter profondamente influenzato dalla intensa fede cristiana e vita di carità della madre.
Studi alla corte di Schönbrunn con precettori privati e consiglieri di alto livello; poi — cosa inusitata per un membro della famiglia imperiale — allo Schottengymnasium di Vienna retto dai benedettini. Lì e in famiglia riceve una intensa formazione religiosa improntata alla spiritualità gesuitica, come da tradizione familiare; studio delle principali lingue del poliglotta impero; addestramento all’equitazione e alle armi; giochi infantili prima e di società dopo; feste di famiglia; balli; caccie; escursioni; passatempi spensierati alla corte o nelle località di soggiorno estivo o invernale della famiglia.
Ma l’educazione religiosa ha grande presa su un’anima sensibile e di tendenza austera come quella di Carlo. Per lui la religione, la persona di Gesù Cristo, non sono solo necessarie nozioni e pratiche con cui un arciduca tiene fede esteriormente alle tradizioni cattoliche della dinastia e alle credenze di gran parte del suo popolo, ma una dimensione essenziale e lo scopo ultimo della vita. La pratica sacramentale e una vita moralmente attenta a preservarsi dalle minacce e dalle classiche forme di dissipazione della sua età e del suo rango saranno per lui un abito dalle radici profonde.
Inizia presto la carriera militare come ufficiale di cavalleria. Già nel 1903 era stato nominato tenente onorario del reggimento ulani n. 1 «Arciduca Otto» e aveva intensificato lo studio delle materie militari. Il 1° settembre 1905 entra nel reggimento dragoni n. 7 «Arciduca di Lorena e Bar» acquartierato nei pressi di Bílina e poi, fino al 1912, a Brandýs nad Labem (Brandeis sull’Elba) in Boemia. Il 1° novembre 1906 ottiene il grado di tenente; poco dopo interrompe la carriera militare per studiare come privatista per due anni materie giuridiche ed economiche all’Università Karl-Ferdinand di Praga: risiede allora nel Castello di Hradčany, antica sede dei duchi e dei re di Boemia. Nel luglio del 1908 torna al reggimento come comandante di squadrone. Dopo il 1912 è di stanza con i suoi dragoni a Kolomea, in Galizia, attuale Ucraina occidentale; poi con il grado di maggiore guida il reggimento di fanteria n. 39 a Vienna, dove risiede con Zita nel palazzo di Hetzendorf. A Vienna ha frequenti incontri con l’erede al trono, che lo mette a parte dei suoi piani di riforma dell’impero, dei quali si farà in certa misura eco una volta diventato sovrano.
Il 21 ottobre 1911, nel castello di Schwarzau nella Bassa Austria, alla presenza lieta — ce lo rivela il filmato del rinfresco — dell’anziano imperatore, sposa la futura serva di Dio Zita Maria delle Grazie Adelgonda di Borbone-Parma (1892-1989), nata in Italia, figlia del Duca di Parma e Piacenza in esilio — dal 1859 — Roberto I (1848-1907) e della sua seconda moglie, la principessa portoghese Maria Antonia di Braganza (1862-1959). Gli Asburgo soggiornavano in estate a Schwarzau, mentre Zita frequentava Villa Wartholzl, residenza di campagna della sorella della mamma, Maria Teresa di Braganza (1855-1944), che aveva sposato l’arciduca Carlo Ludovico d’Asburgo (1833-1896), fratello minore di Francesco Giuseppe e padre di Francesco Ferdinando — dunque anche nonna acquisita di Carlo —, posta a poco più di venti chilometri dal castello.
Qui i due giovani si erano conosciuti fin da bambini: si ritroveranno nel 1909 a Brandeis, dove Carlo è di stanza e inizieranno a frequentarsi con regolarità. La corte premeva allora su Carlo — diventato secondo nella linea di successione a Francesco Giuseppe dopo i forfait del padre e del nonno — morti di vecchiaia — e dopo il suicidio a Mayerling (Bassa Austria) del figlio di Francesco Giuseppe e di Elisabetta «Sissi» di Wittelsbach (1837-1898), arciduca Rodolfo (1858-1889) —, perché si ammogliasse, avendo l’erede designato, Francesco Ferdinando, contratto un matrimonio morganatico che ne escludeva i figli dalla successione imperiale. Anche per questa ragione — oltre al fatto che i due giovani si piacquero subito — il fidanzamento ufficiale durò solo dal giugno all’ottobre del 1911.
Anche Zita è di profonde convinzioni religiose e di assidua pratica caritativa. I due pensano subito di unire i loro destini per l’eternità, promettendosi di essere l’uno per l’altro un aiuto il più possibile forte per andare in cielo. Entrambi pongono il loro matrimonio sotto l’egida della Madonna: all’interno delle fedi di nozze — e Carlo anche nell’elsa della sciabola — faranno incidere «sub tuum praesidium», l’inizio della omonima preghiera mariana.
La loro unione sarà strettissima e straordinariamente — ma le proli numerose erano una tradizione, che continua fino ai nostri giorni, della famiglia Asburgo — feconda: ben otto figli allieteranno la coppia imperiale. L’ultimogenita nascerà dopo la morte del padre.
Il suo posizionamento nella linea successoria fa sì che Carlo, nonostante la giovane età, specialmente quando si trova davanti il solo Francesco Ferdinando, inizi a «studiare da imperatore», nella duplice veste di possibile sovrano e di possibile comandante in capo degli eserciti austro-ungarici.
2. La guerra
Il 28 giugno 1914, durante una visita a Sarajevo, in Bosnia, l’erede al trono imperiale, Francesco Ferdinando, e sua moglie Sofia Chotek von Chotkow (1868-1914), sono assassinati per mano di un giovane terrorista e irredentista bosniaco-serbo, Gavrilo Princip (1894-1918).
Come si sa, l’attentato di Sarajevo sarà la scintilla che — anche per l’ostinata intransigenza austriaca nell’imputare l’omicidio alla Serbia — farà deflagrare il primo, micidiale, conflitto mondiale. Esso, dopo il 1915, vedrà contrapposte la Triplice Alleanza — o ciò che ne resta dopo la clamorosa defezione italiana a pochi mesi dallo scoppio della guerra —, formata da Austria-Ungheria e Secondo Reich guglielmino, e la Triplice Intesa, alleanza fra Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda, Repubblica Francese e, dopo il 1915, Regno d’Italia.
3. Il trono
La tragica morte dell’arciduca Francesco Ferdinando fa sì che Carlo venga a trovarsi al primo posto nella linea di successione: egli è il Thronfolger ufficiale e come tale inizia a essere trattato.
Scoppiato il conflitto, l’arciduca Carlo entra prima nello Stato Maggiore Generale, rappresentando più volte l’anziano imperatore nelle occasioni pubbliche. Poi, nominato maggiore-generale, passa nella ristretta cerchia di consiglieri militari diretti dell’imperatore. Quindi, il 12 marzo 1916, assume il comando di un corpo d’armata di montagna — il XX Corpo Edelweiss (stella alpina) dell’XI Armata, schierato sulle Alpi sotto il generale conte Viktor Dankl von Krásnik (1854-1941) —, che guiderà durante l’offensiva del maggio del 1916, la cosiddetta Strafexpedition (spedizione punitiva). Poi, nell’estate, Carlo per qualche mese passerà al fronte russo- rumeno.
Quando il 21 novembre del 1916 il vecchio sovrano muore, Carlo gli subentra automaticamente nel ruolo d’imperatore d’Austria, re apostolico d’Ungheria e re di Boemia. La guerra però impedirà che il nuovo giovanissimo sovrano riceva una incoronazione formale e solenne: gli riuscirà solo di rivestire, il 30 dicembre, la Corona di Santo Stefano re di Ungheria con il nome di Károly IV: anche Zita sarà contemporaneamente incoronata regina del popolo magiaro.
Ora le sorti dell’immenso e scricchiolante impero in guerra cadono sulle sue giovani spalle. Carlo ha idee diverse da quelle del vecchio ceto dirigente: da buon ascoltatore delle tesi dello zio Francesco Ferdinando, che voleva l’evoluzione della monarchia secondo paradigmi più aggiornati ed efficaci, coltiverà fino all’ultimo il disegno di una monarchia rinnovata, basata sull’idea federalistica e più aperta alle libertà costituzionali e parlamentari. Ma soprattutto, e soprattutto dopo avere ricevuto sul capo, con un antico sacramentale, la corona magiara, si renderà conto che il suo ruolo è indissolubilmente legato e mirato al bene comune di tutti i suoi popoli, nessuno escluso e nessuno privilegiato. E si prodigherà oltre ogni misura per alleviare i danni tremendi del conflitto e per dare alle battaglie un volto più umano o meno barbaro.
Se sul primo fronte giungerà, quando le sorti della guerra volgeranno al peggio e la fame — a causa del blocco navale alleato — inizierà a infierire anche nella capitale, a far macellare i cavalli della corte per darne le carni ai viennesi; sull’altro si opporrà spesso all’ostinazione germanica nel perseguire la vittoria con qualunque mezzo, per esempio limitando i bombardamenti dal mare e dall’aria sulle città nemiche e ponendo un freno alla guerra sottomarina e all’uso dei gas asfissianti: queste armi saranno impiegate sul fronte italiano, a Caporetto, nell’ottobre del 1917, ma ne faranno uso gli alleati tedeschi e non l’esercito imperial-regio. Soprattutto si renderà conto dell’immane e assurdo massacro di popoli che Sarajevo ha scatenato e ascolterà con docilità gli appelli alla tregua e alla pace a più riprese formulati dal pontefice Benedetto XV (1914-1922). Nell’estate del 1917, l’anno in cui le stragi arrivano al culmine, sarà il solo sovrano a tradurre in fatti la denuncia dell’«inutile strage» elevata dal Papa, tentando di stabilire contatti con l’Intesa.
La devozione al suo popolo non sarà sempre apprezzata dall’opinione pubblica: le destre lo accuseranno di essere troppo inesperto e di eccessiva moderazione, quando non, più tardi, addirittura di intesa con il nemico. I fratelli di Zita saranno incolpati di avere fatto da mediatori fra la corte viennese e gli Alleati, nel cosiddetto «Affaire Sixtus» — dal nome di Sisto di Borbone-Parma (1886-1934) — per una pace separata con gli Alleati, e all’«Italiana» s’imputerà non solo questa iniziativa, ma anche di frenare il consorte nei confronti dei compatrioti transalpini. Le sinistre, dal canto loro, attente a sfruttare la guerra e le crescenti tensioni nazionali per rovesciare la monarchia, gl’imputeranno invece una eccessiva ostinazione nel procrastinare il massacro. Soprattutto quando la guerra si farà più dura e i conflitti sociali e nazionali più acuti la stampa scandalistica monterà ogni sorta di campagna calunniosa — i contenuti si possono facilmente immaginare — contro il virtuoso imperatore e la sua bella consorte straniera.
Carlo cercherà fino allo stremo di mantenere unito il suo multiforme impero e il 16 ottobre 1918 pubblicherà un Völkermanifest (manifesto ai popoli) in cui concede la massima autonomia alle varie nazionalità, almeno a quelle più legate all’Austria che non all’Ungheria, ma è troppo tardi.
Anche se il trapelare delle iniziative di pace separata di Carlo creerà parecchie tensioni con i vertici militari dell’alleato tedesco, gli eserciti degli Imperi centrali «terranno», fino all’autunno del 1918, conseguendo anche notevoli successi come lo sfondamento del fronte a Caporetto del novembre 1917. Poi, l’entrata in campo di circa un milione di soldati americani e la definitiva decomposizione su base nazionale dell’impero austro-ungarico, faranno crollare il fronte italiano e indurranno i tedeschi a ritirarsi da quello francese.
In Germania finisce il Secondo Reich bismarckiano e nasce una repubblica federale, ma, a meno dell’Alsazia e della Lorena, passate alla Francia, i confini rimangono quelli del 1914. La resa farà invece deflagrare la doppia monarchia: in Austria, presto ridotta ai soli domini storici della casa Asburgo — secondo il disegno massonico emerso nel convegno tenutosi a Parigi nel giugno del 1917, bicentenario di fondazione della Gran Loggia di Londra —, sarà proclamata la repubblica e — come a Budapest, a Berlino e in Baviera — s’instaurerà per qualche tempo anche un governo «popolare», ossia bolscevico.
In quella fine di anno 1918 Carlo, nominalmente ancora nel pieno delle prerogative sovrane, si troverà letteralmente solo nella reggia di Schönbrunn e poi nel palazzo di campagna di Eckartsau: nell’aprile seguente, dovrà imboccare la via dell’esilio. Ma sarà solo deposto: non abdicherà infatti né alla corona imperiale, né a quella reale ungherese. Semplicemente, con la famiglia e qualche fedele dignitario, il 24 marzo si trasferirà, con tutti gli onori, in Svizzera, dove risiederà al castello di Wartegg, nel cantone di San Gallo, nei pressi del Lago di Costanza, e più tardi a Prangins, nel cantone di Vaud, vicino a Nyon e al Lago Lemano: la Repubblica intanto, per punire Carlo di non avere abdicato, ha sequestrato tutti i beni della Corona e anche quelli della famiglia Asburgo.
Carlo sa di avere ricevuto la regalità sugli ungheresi dalla volontà di Dio e mediante una unzione sacra: egli si sente così investito di una missione non meramente politica, che lo lega indissolubilmente al popolo di Santo Stefano e ritiene non solo suo diritto, ma anche suo dovere cristiano, ricuperare la corona. Dalla Svizzera, per ben due volte negli anni successivi tenta di tornare sul trono. La prima volta — anche se gl’inglesi non vedono di cattivo occhio il ritorno degli Asburgo a Budapest — gli Stati post-asburgici lo impediranno: dopo un soggiorno di una settimana, visti inutili i tentativi, Carlo torna in Svizzera, dove prende dimora con la famiglia allo Schlosshotel di Hertenstein vicino al Lago dei Quattro Cantoni, nei pressi di Lucerna. Poi, la seconda volta, trasportato insieme a Zita da un aeroplano Junkers F13 a Sopron nell’ovest del Paese, tenta poi di arrivare Budapest in treno, con l’appoggio di un piccolo reparto di militari rimastigli fedeli. Ma, il 23 ottobre, il convoglio sarà arrestato a Budaörs, alle porte della capitale, dopo una scaramuccia con qualche vittima, dalle truppe regolari del governo austriaco, sul quale hanno avuto ancora una volta influsso determinante i malumori degli Stati balcanici: davanti al rischio di una guerra civile Carlo si ferma. Entrambe le volte, l’ammiraglio Miklós Horthy de Nagybánya (1868-1957), autonominatosi reggente il 1° marzo 1920 — quindi nominalmente al servizio del sovrano legittimo — dopo avere sconfitto e abbattuto la Repubblica comunista guidata da Ábel Kohn, detto «Béla Kun» (1886-1938), terrà un contegno ambiguo e ingannerà Carlo, insabbiando di fatto i suoi sforzi di restaurazione.
Dopo l’insuccesso dell’autunno del 1921, Carlo con i suoi è virtualmente prigioniero dell’Intesa, sotto la custodia dell’esercito inglese, che lo tiene prima ostaggio in Ungheria, poi, portatolo scendendo il corso del Danubio sulle rive del Mar Nero, lo imbarca sull’incrociatore Cardiff e lo invia in definitivo esilio nell’isola atlantica portoghese di Madeira, dove arriva il 19 novembre 1921.
4. L’esilio e la morte
A Funchal la famiglia Asburgo occupa prima Villa Victoria nel complesso alberghiero Reid della capitale, poi, per mancanza di denaro — hanno subito il furto degli ultimi gioielli di famiglia —, deve ripiegare su una semplice villetta posta sulla collina che sovrasta la città, la Quinta do Monte, messa a disposizione di Carlo da un banchiere locale. Attorno a Carlo e Zita sono rimasti ben pochi fedeli servitori. Anche a Madera Carlo brilla per la sua indefessa devozione e regolarità di partecipazione al culto cattolico. Il clima tropicale però non è dei più favorevoli. Il 9 marzo del 1922 Carlo scende in città a piedi per acquistare un giocattolo per il primogenito Carlo Lodovico (1918-2007) che compie quel giorno gli anni. La sudata che la camminata gli costa, lo farà cadere ammalato di polmonite. L’isolamento e l’assenza di medicine faranno aggravare le sue condizioni in maniera irreparabile, fino a provocarne la prematura morte il 1° aprile successivo. Carlo spira cristianamente come ha sempre vissuto, munito dei sacramenti e alla presenza della moglie — che poco dopo darà alla luce l’ultimogenita, Elisabetta (1922-1993) — e del maggiore dei figli. Sarà sepolto nella chiesa della Madonna del Monte a Funchal. Da allora la Cripta dei Cappuccini di Vienna, dove riposano le spoglie degli Asburgo, sovrani e principi, attende l’arrivo dell’ultimo imperatore. Il suo cuore, accanto a quello di Zita — «serva di Dio» dal 2009 —, è conservato dal 1971 dietro l’altare della Loretokapelle nella chiesa dell’antico monastero benedettino di Muri, nel cantone svizzero di Argovia — a meno di trenta chilometri da lì si trova il castello di Hapsburg (o Habichtsburg, letteralmente rocca dell’astore, uccello rapace), luogo di origine della famiglia Asburgo-Lorena —, dove dal 1027 al 1260 erano sepolti gli avi e dove, nella cripta, durante il lungo bando inflitto a Carlo e ai suoi dalla Repubblica, hanno scelto di riposare i suoi discendenti diretti e acquisiti: sette — fra cui tre dei figli — sono già arrivati alla meta.
L’affascinante figura di padre di famiglia amante della vita, l’integrità come sovrano, l’affetto paterno dimostrato ripetutamente per i suoi popoli e per i suoi soldati, anche quelli più sfortunati, l’austera umiltà e la morte esemplare ben presto creano intorno a Carlo una fama di santità e, prima i maiderensi, poi, anche per impulso di Zita, gli europei, senza distinzione di nazione, inizieranno a pregare perché la Chiesa la riconosca in maniera formale. La Gebetsliga, l’Unione di Preghiera internazionale che si costituirà dopo la morte — e che tuttora vive — raggiungerà — non senza avere subito la persecuzione durante il regime di Adolf Hitler (1889-1945), che, pur austriaco, odiava l’imperatore — il suo scopo, quando, come tappe del lungo processo di beatificazione iniziato nel 1949 — posto sotto la protezione della Madonna di Fatima —, nel 2003 sarà dichiarata l’eroicità delle virtù e poi, lo stesso anno, riconosciuta la realtà del miracolo avvenuto per sua intercessione: la guarigione inspiegabile, nel 1960, di una suora polacca residente in Brasile. Il 3 ottobre 2004, quando sulla facciata del massimo tempio della cristianità si srotolerà l’enorme arazzo con l’effigie di Carlo in divisa militare ed egli sarà proclamato beato da san Giovanni Paolo II (1978-2005) — il cui padre, Karol Wojtyła (1879-1941), aveva combattuto come sottufficiale del 56° reggimento di fanteria Wadowice dell’esercito imperial-regio e aveva dato al futuro papa il nome Karol anche in commosso omaggio al suo imperatore — in piazza San Pietro a Roma. La sua festa liturgica è stata fissata per il 21 ottobre, ricorrenza delle sue nozze con Zita.
Pare che Carlo abbia compiuto anche un secondo miracolo, nel 2004, negli Stati Uniti, ancora una guarigione, e che quindi abbia «diritto» — ma questo lo può stabilire e riconoscere solo la Chiesa — anche alla canonizzazione.
Carlo d’Austria è stato un esempio non solo di uomo che ha praticato le virtù della fede cristiana fino all’eroismo, ma anche di uomo politico illuminato dalla fede, privo di pregiudizi ideologici, dalle vedute ampie e proiettate al futuro, austero nella vita privata e nell’esercizio della regalità, nonché di sposo e di padre consapevole e gioioso: un modello per i nostri tempi travagliati, soprattutto — come sottolineato da san Giovanni Paolo II nell’omelia del giorno della beatificazione — per l’impegno politico dei cristiani.
Oscar Sanguinetti
Per approfondire
IVO MUSAJO SOMMA E OSCAR SANGUINETTI, Un cuore per la nuova Europa. Appunti per una biografia del beato Carlo d’Asburgo, invito alla lettura di mons. Luigi Negri, D’Ettoris Editori, Crotone 2004.
ARTHUR POLZER-HODITZ UND WOLFRAMITZ, L’ultimo degli Asburgo: l’imperatore Carlo, Mondadori, Milano 1930.
GIUSEPPE DALLA TORRE, Carlo d’Austria. Ritratto spirituale, 2a ed. riv. e agg., Àncora, Milano 2004.
MARIO CAROTENUTO, Carlo I d’Austria e la pace sabotata. Ragioni e conseguenze del fallimento delle trattative di pace nella Grande Guerra, Fede & Cultura, Verona 2010.