Una riflessione dopo i funerali di Silvio Berlusconi
di Marco Invernizzi
La vicenda terrena di Silvio Berlusconi si è conclusa, la sua eredità rimane e la folla che lo ha accompagnato per l’ultimo saluto durante i funerali di Stato è la conferma che è morto un uomo importante, che ha dato un’impronta alla storia italiana dell’ultimo mezzo secolo costruendo “qualcosa” che è molto di più del partito che ha fondato e che rimane presente nel sentire comune della nazione italiana.
Che cosa sia questo “qualcosa” è quanto si dovrà indagare e scoprire nei prossimi mesi e anni, studiando la storia del berlusconismo e appunto ciò che ne rimane e rimarrà nel tempo.
Fino a oggi chi si è più avvicinato a comprenderlo credo sia stato Giovanni Orsina, con i suoi libri e articoli, le sue analisi profonde e lontane dall’ossessione odiosa degli antiberluscones e anche dall’esaltazione “a prescindere” dei suoi sostenitori.
Credo necessaria una premessa. In queste ore, il ricordo di Berlusconi è ancora troppo vivo per originare un giudizio distaccato come sarebbe necessario per un’analisi politica seria. Vorrei soltanto indicare la necessità che questa analisi si faccia e si faccia con cura perché riguarda milioni di persone e non soltanto il suo artefice principale. Necessariamente dovrà essere distaccata e fare emergere pregi e difetti dell’uomo sia pubblico che privato nella misura in cui le sue scelte personali hanno influito sulla sua comunicazione pubblica.
Cominciando a riflettere in questa direzione, non posso trascurare il mio atteggiamento di fondo di fronte a Silvio Berlusconi e al berlusconismo, che non è di distacco come sarebbe adatto a un analista.
Pur non rientrando nella categoria dei tanti suoi fan, che ho conosciuto e anche apprezzato, ho sempre difeso la sua figura di uomo pubblico. L’ho fatto soprattutto all’interno del mondo cattolico, dove è prevalsa dal 1994 in poi, più fra i membri dell’associazionismo che tra i fedeli, che invece lo hanno ampiamento votato, un atteggiamento di disprezzo che nasceva dalla sudditanza culturale verso i temi della sinistra da parte di tanti dirigenti e militanti cattolici.
Ho sempre cercato, spesso non riuscendo, di mostrare come i suoi comportamenti pubblici fossero conformi ai principi della dottrina sociale della Chiesa, probabilmente sconosciuta o poco praticata dallo stesso Berlusconi.
Il primo e importante snodo pubblico ha riguardato la sua battaglia per la libertà d’informazione, negli Anni 80, quando convinse tanti sul fatto che in Italia non esisteva quel pluralismo dell’informazione necessario in un sistema autenticamente democratico. Il tema era e rimane fondamentale e coinvolge come minimo anche la libertà di educazione: anni fa veniva presentato come il pluralismo delle istituzioni contrapposto al pluralismo nelle istituzioni. La sinistra, ammalata di statalismo, ha sempre rifiutato il pluralismo delle istituzioni attribuendo allo Stato un ruolo etico di garante di tutte le posizioni culturali, idea utopistica e sbagliata in sé perché attribuisce allo Stato il ruolo che deve invece essere svolto dai corpi intermedi, cioè da cittadini che si organizzano per raggiungere determinati obiettivi.
Quello che purtroppo non è ancora avvenuto per la scuola, Berlusconi lo ottenne con le televisioni così che oggi possiamo vedere sia le tv dello Stato che quelle cosiddette private (non solo facenti capo alle reti riconducibili a Berlusconi).
Poi, purtroppo, queste Tv non hanno prodotto quella differenza culturale che molti auspicavano, ma questa è un’altra storia. Addirittura, un esperto di Tv certamente non riconducibile ai nemici di Berlusconi, mi ha fatto notare come siano anche peggio di quelle del cosiddetto servizio pubblico, dal punto di vista della moralità dei contenuti. Non essendo un esperto di Tv mi limito a riportare il suo parere.
Da qui una prima delusione dopo una battaglia tanto importante.
Il secondo grande gesto pubblico di Berlusconi è avvenuto nel 1994 con la conclusione dell’accordo elettorale con la Lega e con l’allora Msi-Dn che stava diventando Alleanza Nazionale, che permise lo sdoganamento dei voti delle destre e sancì la sconfitta elettorale della “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto, erede del Partito comunista e sicuro di vincere e andare al governo del Paese.
Da allora e fino al 2011 la storia politica italiana è cambiata profondamente iniziando la stagione del berlusconismo, cioè quel ventennio in cui attorno al suo carisma sono nati quattro governi di centro-destra che hanno rallentato il processo di sradicamento dell’Italia dalle sue radici. Ho scritto rallentato perché il berlusconismo non è riuscito a costruire quello che aveva promesso, ma soltanto a rallentare l’attuazione dei programmi di centro-sinistra, che peraltro ha governato per dieci di questi venti anni.
Dopo il 2011 è cominciato il suo lento declino, personale e politico. Ma anche in questo ultimo tempo della sua vita ha saputo combattere con uno straordinario e ammirevole vigore, resistendo alla costante persecuzione giudiziaria culminata nel 2013 nell’unica condanna per frode fiscale a fronte di trenta processi intentati contro di lui. Condannato, costretto a uscire dal Parlamento, pochi mesi fa ha ottenuto quell’assoluzione che gli ha permesso di ritornare protagonista come senatore eletto alle ultime elezioni politiche del 2022. Purtroppo, però, la malattia e la morte erano già in agguato.
Come ho detto, non è questa la sede per una valutazione esaustiva del suo operato pubblico, nel bene e nel male. C’è però un aspetto del Berlusconi pubblico che mi pare giusto notare ed è la trasformazione delle relazioni politiche che ha provato a ottenere con il suo comportamento. Egli ha sempre cercato di de-ideologicizzare i rapporti umani, anche con gli avversari politici, aiutando l’Italia a uscire così dall’epoca delle ideologie e del terrorismo, quando le relazioni erano compromesse da atteggiamenti di intolleranza e violenza. Berlusconi ha sempre manifestato una umanità nelle relazioni che non solo gli va riconosciuta ma che ha contribuito a farci superare un periodo storico violento e difficile. Mi piace ricordare le parole belle ed efficaci dell’arcivescovo di Milano Mario Delpini ai suoi funerali, quando ha voluto ricordare soprattutto il Berlusconi uomo (e uomo del popolo milanese e italiano) che oggi ha incontrato Dio faccia a faccia per sottomettersi, come accadrà a tutti, al Suo giudizio misericordioso.
Ci sarà tempo per ricordare quanto di bene ha fatto al Paese, anzitutto con il suo limpido anticomunismo che ha salvato l’Italia nel 1994 e con altri gesti importanti di fedeltà alle radici cristiane d’Italia e d’Europa, in particolare il caso Eluana Englaro per salvare la vita della quale rischiò una crisi istituzionale nel 2009, quando era a capo del governo. Molti commentatori nei giorni scorsi hanno ricordato questi gesti. Sarebbe ipocrita da parte mia non accennare anche a quello che il berlusconismo non ha potuto o voluto fare per trasformare in meglio il Paese e come le sue intemperanze private abbiano esercitato un influsso negativo anche sulla sua presenza pubblica. Ma non oggi, perché davanti al feretro di un uomo, di qualsiasi uomo, il primo dovere è fare per lui quello di cui ogni essere umano che muore ha più bisogno: pregare. Da parte nostra, Alleanza Cattolica si impegna a non dimenticarlo, a suo tempo studiando il trentennio che lo ha visto protagonista, ma intanto intercedendo per Lui presso il Padre, ricco di Misericordia.
Mercoledì, 14 giugno 2023