di Roberto Gavirati
1. Da una disputa dinastica un movimento politico
Il carlismo è un movimento politico spagnolo nato da una disputa dinastica, ma caratterizzato da una visione del mondo. Si comincia a parlare di carlismo alla morte di re Ferdinando VII di Borbone (1784-1833), salito al trono dopo aver cacciato i francesi nel 1812. Con una serie di concessioni costituzionali e di successive abrogazioni egli produce una situazione d’insicurezza politica, che lo costringe a richiedere, nel 1823, l’aiuto della Santa Alleanza la quale invia un esercito guidato da Louis Antoine, duca d’Angoulème (1775-1844).
Rimasto per la terza volta vedovo e ancora senza figli, Ferdinando VII sposa Maria Cristina di Borbone-Due Sicilie (1806-1878) e poco dopo, poiché non ha eredi maschi, designa come legittimo successore il fratello Don Carlos María Isidro (1788-1855). Ma nel 1830 dal matrimonio nasce una figlia, Isabella (1830-1904), e il re, con atto unilaterale senza precedenti, il 29 marzo 1830 abroga la legge salica, che comporta l’esclusione delle donne dalla successione al trono, annulla la designazione di Don Carlos e proclama la figlia legittima erede.
Alla morte di Ferdinando VII, nel 1833, la Spagna si divide in due opposte fazioni. Da un lato si schierano i seguaci di Don Carlos, che assume il titolo di Carlos V – detti per questo “carlisti” -, erede legittimo secondo la legge salica, appoggiato dai monarchici legittimisti, dai cattolici tradizionalisti e soprattutto dai reazionari antiliberali; dall’altro si schierano i liberali, i massoni, i cattolici costituzionalisti e le frange più progressiste della società spagnola, che sperano di strappare a Maria Cristina – nominata reggente a causa della giovane età di Isabella – concessioni politiche grazie all’appoggio dato a sua figlia.
2. Le tre guerre carliste
La lotta politica da contrasto dottrinale degenera presto in scontro armato: inizia la Prima Guerra Carlista (1833-1839). In Navarra e nelle province basche la popolazione insorge in difesa dei diritti di Carlos V e occupa la parte settentrionale del paese. Nel resto della penisola, dove la maggioranza parteggia per Isabella o si mantiene neutrale, la lotta diventa guerriglia e bande di armati carlisti, i requetés, attaccano a sorpresa le guarnigioni. La guerra si trascina fino alla tregua di Vergara, del 31 agosto 1839, e la guerriglia si esaurisce nel giugno del 1840.
Nel 1845 Carlos V abdica in favore del figlio Carlos VI (1818-1861) e altri tentativi insurrezionali si verificano nel 1847 e nel 1849 – è la Seconda Guerra Carlista -, e nel 1860. Alla morte di Carlos VI gli succede il nipote Carlos VII (1848-1909). Nel 1868 Isabella – Isabella II dal 1841 – viene dichiarata decaduta da un moto rivoluzionario repubblicano, quindi le Cortes, il parlamento spagnolo, chiamano al trono Amedeo I di Savoia (1845-1890). Nel 1872 Carlos VII, vedendo allontanarsi la possibilità di una restaurazione, dà il segnale della sollevazione: è la Terza Guerra Carlista (1872-1876). Prima contro Amedeo I di Savoia, poi contro la repubblica proclamata nel 1873 alla sua abdicazione, infine contro Alfonso XII (1857-1885), figlio di Isabella II, la guerra continua fino al 19 febbraio 1876 quando, sconfitti a Estella, in Navarra, i carlisti rinunciano alla lotta. Carlos VII decide di passare la frontiera francese con quanto resta del suo esercito, al quale, il 28 febbraio, rivolge l’ultimo discorso salutandolo con lo storico “Volveré!”, “Tornerò!”, consegna delle generazioni carliste venture ed espressione della fedeltà alla monarchia tradizionale.
Approfittando del malcontento politico prodotto dalla perdita di Cuba, di Portorico e delle Filippine a conclusione della guerra con gli Stati Uniti d’America del 1898, nello stesso anno i carlisti ritentano la sorte, ma sono sconfitti, esiliati e imprigionati. Seguono diversi tentativi di riorganizzazione da parte di delegati di Don Carlos, tutti destinati a insuccesso.
La morte di Carlos VII, avvenuta il 18 luglio 1909, precipita i carlisti in un lutto profondo e, dopo una fase di sbandamento, è invitato alla guida del movimento Don Jaime di Borbone (1870-1931), figlio di Carlos VII, che prende il nome di Jaime III.
Durante la dittatura di Miguel Primo de Rivera y Orbaneja (1870-1930) i carlisti non hanno una posizione univoca e nel 1931 stringono un’alleanza elettorale con gruppi nazionalisti e piccole formazioni di destra – è la Minoranza Basco-Navarrina – per opporsi politicamente alla repubblica.
Il 22 settembre 1931 Alfonso XIII (1886-1941), di ascendenza isabellina, visita a Parigi Jaime III nella sua residenza di Avenue Hoche, visita ricambiata tre giorni dopo a Fontainbleu. Si parla di un riavvicinamento dei due rami e di un patto, per cui Alfonso XIII avrebbe accettato Jaime III come capo della Casa e legittimo erede al trono purché nominasse successore suo figlio, l’infante Don Juan; ma il 2 ottobre 1931, in seguito a una caduta da cavallo, Jaime III muore. L’unico discendente diretto è Don Alfonso di Borbone (1849-1936), fratello di Carlos VII, zio di Jaime III. Benché ottantenne e in una situazione politica molto difficile, Don Alfonso assume il titolo di re carlista con il nome di Alfonso Carlos, in memoria del fratello, e ricostituisce il movimento come Comunión Tradicionalista.
3. La “Cruzada” (1936-1939)
L’apporto carlista al tentato alzamiento del 10 agosto 1932 – guidato da José Sanjurjo y Sacanell (1872-1936) contro la Repubblica proclamata nel 1931 dopo la vittoria elettorale di repubblicani e di socialisti – è immediato e i giovani carlisti affrontano comunisti e anarchici in sanguinosi scontri.
Nelle elezioni del 1933 la CEDA, la Confederación Española de Derechas Autónomas, il fronte delle destre, ottiene circa duecentodieci deputati; ma non ha gli stessi obiettivi dei carlisti e il fallimento della sua politica è determinante per esasperare gli animi e per accentuare il carattere anticattolico e rivoluzionario del governo repubblicano, ormai egemonizzato dai socialcomunisti.
La Comunión Tradicionalista passa alla cospirazione e all’azione diretta. Sotto la guida di Manuel Fal Conde (1894-1975), giovane avvocato andaluso, capo della Comunión Tradicionalista, di José Luis Zamanillo González Camino (1904-1981), delegato nazionale dei requetés, e del generale José Enrique Varela Iglesias (1891-1951), capo militare, i carlisti si preparano alla ribellione.
Dal primo giorno dell’alzamiento, l’insurrezione del 18 luglio 1936, i reparti carlisti guidati da Sanjurjo, da Emilio Mola Vidal (1887-1937) e da Gonzalo Queipo de Llano y Sierra (1875-1951) partecipano alla Cruzada che vivono come una sorta di Quarta Guerra Carlista. Indalecio Prieto y Tuero (1883-1962), ministro della Marina repubblicana nel 1936, quando sa dell’alzamiento del generale Mola in Navarra, esclama: “Vi sono i requetés. Siamo perduti!”. Inizia quindi l’ultimo atto bellico dei carlisti, di cui la Guerra Civile del 1936-1939 rappresenta l’epico epilogo. La Cruzada non è più solo lotta dinastica, ma una lotta per la difesa della Spagna contro la nuova barbarie.
La morte di Alfonso Carlos, il 29 settembre 1936, e l’unificazione imposta nel 1937 dal generalissimo Francisco Franco Bahamonde (1892-1975) con la Falange Española y de las JONS – Juntas de Ofensiva Nacional-Sindicalista -, fondata nel 1933 da José Antonio Primo de Rivera y Sáenz de Heredia (1906-1936), tolgono alla Comunión Tradicionalista influenza sulla Nuova Spagna.
Dal 1939 la Comunión Tradicionalista come movimento politico svolge un ruolo di secondo piano. Esistono molti circoli culturali che raccolgono l’eredità dottrinale del carlismo e alcuni movimenti politici, non unificati, che si dichiarano continuatori della Comunión Tradicionalista.
4. L’ideario
Il pensiero politico carlista, sintetizzato nel lemma Diós, Patria, Fueros, Rey, è stato esposto nel corso degli anni da diversi autori, che hanno elaborato quanto ha contraddistinto le posizioni e le scelte del movimento. Fra essi ricordo Antonio Aparisi y Guijarro (1815-1872), Enrique Gil Robles (1849-1908), Ramón Nocedal y Romea (1844-1907), Juan Vázquez de Mella y Fanjul (1861-1928), Guillermo Estrada y Villaverde (1834-1895), Gabino Tejado y Rodríguez (1819-1891), don Félix Sardá y Salvany (1844-1916), Matías Barrio y Mier (1844-1909), fino a Francisco Elías de Tejada y Spínola (1917-1978) e al vivente Rafael Gambra Ciudad.
Dio e Patria. Dio è al centro dell’attività umana nel mondo, ma soprattutto in Spagna, che il grande erudito e critico letterario Marcelino Menéndez y Pelayo (1856-1912) descrive come “evangelizzatrice di mezzo mondo, martello degli eretici, luce di Trento, spada di Roma, culla di sant’Ignazio”; perciò la Spagna o è cattolica o non esiste come entità statale organizzata, perché la patria spagnola comporta l’unità nella fede cattolica. Da questa fede derivano le esigenze di subordinare la politica alla maggior gloria di Dio, di dichiarare la religione cattolica religione di Stato e di ispirare la legislazione e le istituzioni alla dottrina sociale della Chiesa.
Fueros. Il termine castigliano “fuero” deriva dal latino forum, “luogo dove viene amministrata la giustizia”. Passa poi a significare la giurisprudenza o insieme di sentenze emesse dai giudici. Quindi, seguendo il cammino della formazione del diritto, passa a significare il complesso di privilegi riconosciuti dallo Stato a una città o a una categoria, per giungere finalmente a indicare l’insieme di norme specifiche con le quali si reggono le popolazioni spagnole. Il richiamo ai fueros comporta il riconoscimento dell’uomo come essere concreto e non come ente astratto; il fatto che le libertà, ossia gli ambiti operativi di ciascuno s’inseriscono, in ogni popolo, nelle consuetudini legali e sociali generate dalla sua tradizione specifica e non in leggi esterne; il primato della libertà nella competizione fra uguaglianza e libertà e la preferenza per i sistemi di libertà concrete delle diverse tradizioni regionali spagnole rispetto all’astratta libertà rivoluzionaria. Insomma, i fueros sono usi e costumi giuridici creati dalla comunità, elevati a norma giuridica con valore di legge scritta dal riconoscimento concordato con l’autorità del loro effettivo carattere consuetudinario, quindi, diversamente dalle “dichiarazioni di diritti” o dalle “costituzioni di carta”, costituiscono garanzie di autentica libertà politica.
Re. Nell’ideario carlista l’accento non è posto né sulla persona del re, né sulla dinastia, ma sulla Corona, situata al vertice della piramide delle istituzioni politiche, che deve essere cattolica, storica, sociale, responsabile, forale ed ereditaria. Cattolica significa che la Corona deve assoggettare la politica generale ai princìpi della morale cattolica, essere rigidamente fedele agli insegnamenti della Cattedra Romana e favorire in ogni modo quanto promuove l’instaurazione del Regno Sociale di Cristo; storica significa che è caratterizzata dal cumulo dei diritti storici sempre perfettamente identificabili; sociale significa che deve essere non assoluta ma limitata, anzitutto dalla coscienza cattolica, morale e religiosa del re, quindi dalle barriere giuridiche dei fueros e dalle decisioni delle Cortes, o giunte, che rappresentano gli interessi regionali e nazionali; responsabile significa che non è accettata la distinzione fra regnare e governare, tipica delle monarchie costituzionali: nella monarchia carlista il re esercita personalmente il governo, aiutato dai Consigli della Corona o Consigli Reali, e risponde se lui o i suoi agenti non rispettano le regole dell’ordinamento giuridico di quello che si potrebbe chiamare “Stato sociale di diritto”; forale significa che il re esercita le sue facoltà di governo a norma dei diritti che storicamente e costituzionalmente gli competono in ognuno dei suoi domini, per cui quanto in una regione corrisponde a un fuero in altra può essere addirittura contrario; finalmente ereditaria vuol dire che, nella disputa fra legittimità di origine e legittimità di esercizio, se quest’ultima prevale sulla prima, non si rinuncia ad attribuire importanza anche al collegamento dinastico.
Per approfondire: vedi il mio I carlisti e la guerra di Spagna, tesi di laurea, anno accademico 1977-1978, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, relatore professor Gianfranco Bianchi; e Francisco Elías de Tejada y Spínola (a cura di), Il Carlismo, trad. it., Edizioni Thule, Palermo 1972.