La destra cilena paga la sua frantumazione al primo turno, ma i disastri del presidente Gabriel Boric potrebbero spingerla comunque al successo il prossimo 14 dicembre, quando si svolgerà il ballottaggio
di Stefano Nitoglia
Domenica 16 novembre si sono svolte le elezioni presidenziali in un Cile vessato da una criminalità in forte aumento e immiserito dal lascito economico del presidente Gabriel Boric, vincitore a sorpresa delle elezioni presidenziali del 2022 con il sostegno della coalizione di sinistra Apruebo Dignidad, formata principalmente dal Partito Comunista e da Convergencia Social, un partito ora scomparso, che si definiva femminista e socialista. Gli elettori cileni sono stati chiamati alle urne oltre che per eleggere il presidente della Repubblica, anche per rinnovare tutta la Camera (155 deputati) e metà del Senato (25 senatori).
Uno dei candidati della destra, il conservatore José Antonio Kast, del Partito Repubblicano, è arrivato secondo a soli tre punti percentuali di svantaggio rispetto alla candidata della sinistra, la comunista Jeannette Jara, del Partito Comunista del Cile (PCCh), penalizzato dalla divisione dello schieramento di destra in ben quattro partiti, che, però, dopo il risultato del primo turno, si sono ricompattati e appoggeranno il candidato conservatore Kast al ballottaggio con Jara il 14 dicembre prossimo. A conteggio ancora aperto ma irreversibile Jara ha ottenuto il 26,85% dei voti contro il 23,92% % di Kast ma la somma dei voti di quest’ultimo, unita a quelli degli altri candidati appartenenti allo schieramento di destra, Johannes Kaiser, fondatore del Partito Nazionale Libertario, che si definisce reazionario, paleo libertario, social-conservatore, antiabortista, in un mix alquanto confuso e contraddittorio, la conservatrice Evelyn Mattheie l’economista populista Franco Parisi, che si definisce un liberale sociale, supera il 50%. Pertanto, al ballottaggio del secondo turno il fronte ora unito e ricompattato della destra potrebbe sorpassare con un ampio margine la candidata delle sinistre e assicurarsi oltre alla presidenza della Repubblica anche la maggioranza al Parlamento, un fatto di portata storica per il Cile post Pinochet.
Il Partito Comunista del Cile, della candidata Jeannette Jara, potrebbe essere definito, secondo le categorie di pensiero del leader brasiliano Plinio Côrrea de Oliveira (1908-1995) un partito “terza rivoluzione” – quella comunista del 1917 – fondando la sua linea politica, come enunciato nello statuto, sul pensiero di Marx, Engels, Lenin e Luis Emilio Recabarren (1876-1924), considerato il padre del movimento operaio rivoluzionario del Cile.
Finisce così il sogno e l’era del presidente Boric, vincitore quattro anni fa sull’onda delle massicce proteste del 2019, che fantasticava un rinnovamento radicale del Cile. Sogno che è svanito dopo i tentativi di riscrivere la Costituzione, naufragati due volte, con la criminalità in forte aumento, in un Paese fino a un decennio fa relativamente tranquillo rispetto ai vicini latino-americani, e l’ondata migratoria dal Venezuela. Oggi il Cile conta ben 2 milioni di stranieri su una popolazione complessiva di 19 milioni.
Delude anche l’economia: nel secondo trimestre del 2025, la crescita è stata del 3,1%, ma il 45% delle famiglie cilene dichiara di avere difficoltà ad arrivare a fine mese e il 72% ha contratto in questi anni qualche forma di debito, mentre la disoccupazione è stabile all’8%. Il Cile è anche uno dei Paesi latino-americani più economicamente dipendenti dalla Cina, verso cui si dirige il 40% dell’export.
Mercoledì, 19 novembre 2025
