Václav Klaus, Cristianità n. 407 (2021)
Economista e uomo politico ceco, Václav Klaus è stato l’ultimo primo ministro della Cecoslovacchia nel 1992 e, dopo la dissoluzione di quest’ultima, primo ministro (1992-1997) e poi presidente della Repubblica Ceca (2003-2013). Il 2-12-2017 Klaus è stato insignito a Bologna del premio Impegno Civico 2017 e della Medaglia d’Onore dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna. Riportiamo una traduzione italiana redazionale della lectio magistralis impartita nella Sala Ulisse dell’Accademia. La traduzione è stata condotta sull’originale inglese pubblicato in StoriaLibera, anno VII, n. 13, 2021, pp. 160-165, con il titolo Soviet Communism is finished. What about Freedom?. Una traduzione italiana è anche presente nel sito web <https://www.klaus.cz/clanky/4211>, consultato il 27-2-2021. Ampi stralci tradotti sono pure riportati ibid., pp. 155-159. La nostra tiene conto delle traduzioni esistenti ma non ne è l’esatta trascrizione.
1. È per me un grande piacere e un grande onore trovarmi nella vostra città così ricca di storia. È un onore essere insignito contemporaneamente del Premio Impegno Civico e della Medaglia d’Onore dell’Accademia delle Scienze. E mi fa veramente piacere avere la straordinaria opportunità di rivolgere un discorso a una platea così autorevole in una sala tanto bella (1).
Ho visitato Bologna solo un’altra volta in passato. È successo più di venti anni fa. Mi trovavo qui per partecipare a un convegno organizzato dal Premio Nobel Robert Mundell. Ricordo che discutemmo su tematiche altamente sofisticate di politica monetaria. Non preoccupatevi: non sarà questo l’argomento di stamattina, sebbene non mi dispiacerebbe intrattenervi su quanto siano irrazionali e pericolose per il nostro futuro le politiche adottate dalla Banca Centrale Europea.
Credo sia giusto rivelare le ragioni del rapporto specialissimo che mi lega al vostro Paese, all’Italia. Più di mezzo secolo fa, nel 1966, fui selezionato dal governo italiano per partecipare a un corso di specializzazione per laureati a Napoli presso l’ISVE, l’Istituto di Studi per lo Sviluppo Economico. L’idea retrostante questo progetto era quella di far confluire in Italia dei giovani — eravamo trentasei studenti provenienti da venticinque Paesi differenti — potenzialmente destinati a ricoprire cariche importanti nelle nostre rispettive patrie e a rimanere buoni amici dell’Italia.
Non ho controllato i curricula dei miei ex-compagni di corso, ma credo — alla luce della mia carriera politica — di essere la dimostrazione vivente che, almeno nel mio caso, si sia trattato di un’ottima scelta e di un ottimo investimento. Il denaro dei contribuenti italiani non è andato del tutto sprecato. L’unico problema è che le lezioni venivano impartite sia in italiano sia in inglese e, per questa ragione, non ho imparato la lingua italiana sufficientemente.
Gli anni 1960 erano tempi alquanto complicati. Dopo quel mio soggiorno napoletano, mia primavera a Napoli, per i successivi venticinque anni non mi è stato più possibile visitare il vostro Paese, per cause collegate all’argomento del mio discorso di oggi. Come conseguenza degli sviluppi successivi alla Primavera di Praga e soprattutto della sua tragica fine causata dall’ostile occupazione sovietica della Cecoslovacchia nell’agosto del 1968, io fui espulso dall’allora Accademia Cecoslovacca delle Scienze, essendo considerato uno studioso anti-marxista di primo piano e un oppositore esplicito all’invasione militare compiuta dagli altri Paesi del Patto di Varsavia ai danni della mia patria. A causa di quell’espulsione, non mi è stato consentito nei successivi vent’anni di visitare un Paese occidentale. Il mio viaggio successivo avvenne perciò solo agli inizi degli anni 1990. All’epoca ero già ministro delle Finanze di una Cecoslovacchia finalmente libera e partecipai al Forum Ambrosetti che si teneva a Cernobbio, presso Villa d’Este, sulle rive dell’incredibilmente bello Lago di Como.
2. Questa premessa mi ha condotto all’argomento che voglio trattare oggi. Tre settimane fa abbiamo celebrato il centesimo anniversario dell’evento più importante del secolo XX e anche uno dei più malvagi, alla luce delle sue rovinose conseguenze: la cosiddetta Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre. Per uno come me il comunismo non era solo un campo di studi accademico o un oggetto di curiosità. Non lo guardavo da lontano, come un osservatore passivo. Ebbi il triste «privilegio» di trascorrere quarant’anni della mia vita in un simile sistema. Abbiamo perso molto in quel periodo, ma abbiamo anche imparato. Questa esperienza ci ha aguzzato la vista. La nostra vita sotto il comunismo ci ha dato un’opportunità unica per assimilare una conoscenza profonda, intima, di un sistema politico ed economico altamente centralizzato, oppressivo e antidemocratico, dirigista e interventista nella sua forma più pura. Questi occhi aguzzi li usiamo quando guardiamo il mondo attuale e soprattutto la realtà politica ed economica contemporanea in Europa e in tutto l’Occidente. Tale realtà è andata gradualmente acquisendo un numero sempre crescente di caratteristiche che assomigliano al nostro passato comunista.
Noi dobbiamo fare tesoro della nostra esperienza passata. A differenza di molti osservatori vissuti nell’Occidente libero al momento della caduta del comunismo, non eravamo del tutto sorpresi che uno dei sistemi più irrazionali, oppressivi, crudeli e inefficienti della storia avesse cessato di esistere così improvvisamente e in modo relativamente silenzioso. Ci rendevamo bene conto che il regime comunista era già a quell’epoca sotto molti punti di vista un guscio vuoto. Sapevamo anche che negli ultimi stadi del comunismo praticamente nessuno nei nostri Paesi credeva ancora ai pilastri originali della sua ideologia, al marxismo e al suo derivato, la dottrina comunista.
Il comunismo si è sciolto da solo — o è deceduto —, non è stato sconfitto, anche se ci sono persone e gruppi di persone che rivendicano di averlo fatto. Mi rendo conto di sfiorare un punto controverso, ma dobbiamo stare attenti a non alimentare nuovi miti o narrazioni auto-giustificatorie.
È già trascorsa più di una generazione dalla fine del comunismo ed è per questo che ci sentiamo in dovere di tenerne viva la memoria. Dobbiamo continuare a rammentare alla generazione attuale e a quelle future tutte le crudeltà e le atrocità dell’era comunista. È anche necessario, tuttavia, interpretarne correttamente gli stadi finali, sotto molti aspetti più miti. Se non lo si fa, è difficile spiegarsi la fine piuttosto improvvisa e incruenta del comunismo, comprendere tutti i princìpi della transizione post-comunista e soprattutto osservare con precisione l’epoca attuale.
Una delle conseguenze della rapida sparizione del comunismo è che abbiamo smesso di discutere e di analizzare il comunismo, soprattutto le sue ultime fasi, il suo graduale indebolimento, svuotamento e ammorbidimento, oltre alla sua completa rinuncia a difendersi o, fortunatamente, anche solo a reagire. Gli unici libri e studi che si è continuato a pubblicare riguardano i periodi certamente peggiori, l’era dei GULag in Unione Sovietica o gli anni 1950 di altri Paesi comunisti in cui la gente comune veniva uccisa, non solo incarcerata o licenziata dal lavoro.
Quando sostengo che, da molti punti di vista, stiamo tornando indietro, non voglio dire che stiamo andando verso il marxismo e il comunismo. Non credo sia particolarmente importante studiare le opere di influenti celebrità intellettuali per poi raccogliere prove sulla misura in cui questi traggano ispirazione dal marxismo e dal comunismo o siano viziate da un’ispirazione. Non vedo alcun «risorgimento marxista» o cose del genere oggi in atto.
3. Vi è qualcos’altro che mi turba. Vedo il risorgere di idee similmente pericolose portate avanti sotto altri nomi. I loro esponenti negherebbero furiosamente qualsiasi legame con il marxismo e il comunismo. Molti di loro sono stati per lungo tempo anti-marxisti e anti-comunisti.
Il mondo contemporaneo è caratterizzato da molti aspetti che mi ricordano i vecchi tempi comunisti. Vedo un declino visibile della libertà e una mancanza irresponsabile di interesse nella libertà e nella democrazia parlamentare autentica. Non definisco ciò un ritorno di comunismo.
Dove si trovano questi tratti?
1. Li trovo in un trasferimento di potere da rappresentanti eletti a burocrati non eletti, dalle autorità locali e regionali ai governi centrali, dai legislatori ai funzionari, dai parlamenti nazionali a Bruxelles, insomma dal cittadino allo Stato.
2. Li trovo in una crescita esponenziale della regolamentazione globale e nel controllo di ogni tipo di attività umane. Lo Stato regolamentatore e amministrativo ha cominciato a toccare anche le sfere intime e molto personali delle nostre vite, non solo il campo economico, come succedeva in passato.
3. Li vedo e li osservo nella sostituzione della libertà con i diritti. L’ideologia dei diritti, che io chiamo «diritt-umanismo», è diventata la base di un nuovo modello di società, dei suoi sistemi istituzionali, dei suoi princìpi guida. Fa parte dell’illusione eterna di tutti i non-democratici di abolire la politica.
4. Li trovo nella crociata vittoriosa dell’ambientalismo e dell’allarmismo sul riscaldamento globale (2). Condivido il pensiero di Pascal Bruckner secondo cui «tutte le sciocchezze del bolscevismo, [del maoismo e del trotzkismo] vengono in qualche modo riformulate nel nome della salvezza del pianeta» (3).
5. Li vedo nelle trionfanti crociate del femminismo e del «genderismo», del multiculturalismo, del «politicamente corretto» e di altri simili «-ismi» e dottrine.
4. È difficile trovare un minimo comun denominatore per tutti questi nuovi «-ismi». Non è il marxismo. Dobbiamo risalire più indietro nella storia. Io vedo le radici ultime dell’attuale infatuazione — e confusione — intellettuale nella Rivoluzione francese o fra i pensatori francesi che avevano ispirato la Rivoluzione.
Dalla Rivoluzione francese abbiamo ereditato l’idea di progresso, di progressismo e, molto recentemente, di progressismo trans-nazionale. Viviamo in un’epoca in cui si adorano l’utopismo, l’uguaglianza, la giustizia e il vuoto moralismo, in un’epoca di disprezzo per i risultati delle elezioni e dei referendum, in un’epoca di falsa solidarietà e di adorazione per tutto ciò che ha il prefisso «global-», «multi-» o «sovra-». Ciò ha portato all’attuale monocultura intellettuale della sinistra post-moderna. A causa di ciò andiamo verso un ordine post-occidentale. A causa di tutto ciò l’Occidente è entrato nella fase critica del suo relativo e graduale declino. Si commetterebbe un errore a focalizzare l’attenzione sui nemici esterni, siano essi russi, islamici o le restanti isole di comunismo. L’Occidente è attaccato prevalentemente dall’interno, da noi, dalla nostra mancanza di volontà, dalla nostra mancanza di determinazione, dalla nostra mancanza di coraggio, dai nostri intellettuali pubblici, dalle nostre università, dai nostri mass media, dai nostri politici politicamente corretti.
Il presidente Trump ha detto recentemente a Varsavia che «la questione fondamentale del nostro tempo è se l’Occidente abbia la volontà di sopravvivere» (4). E si è chiesto: «Abbiamo il coraggio di preservare la nostra civiltà di fronte a chi vorrebbe sovvertirla e distruggerla?» (5). Io non trovo esagerate queste parole. Sono molto puntuali. Spero che a Bologna le persone condividano queste stesse preoccupazioni o ne abbiano di simili.
Molte grazie per la vostra attenzione. E grazie per il premio che mi avete conferito.
Note:
(1) In italiano nel testo originale. Altre frasi pronunciate in seguito in lingua italiana da Klaus saranno evidenziate in corsivo.
(2) Qui Klaus rimanda al suo Pianeta blu non verde. Cosa è in pericolo: il clima o la libertà?, trad. it., IBL Libri, Milano 2009, e al suo Znicí nás klima nebo boj sklimatem? («Che cosa ci distruggerà? Il clima o la lotta contro il clima?»), Grada, Praga 2017.
(3) Pascal Bruckner, Il fanatismo dell’apocalisse, 2011, trad. it., Guanda, Parma2014, p. 33.
(4) Donald John Trump, La Polonia è l’anima dell’Europa: «Noi vogliamo Dio», trad. it., in Cristianità, anno XLV, n. 386, luglio-agosto 2017, pp. 23-34 (p. 32). Sul discorso pronunciato dal presidente degli Stati Uniti d’America in Piazza Krasiński, a Varsavia, il 6 luglio 2017, cfr. pure Marco Respinti, Trump a Varsavia. Il risveglio dell’Occidente, ibid., pp. 19-22.
(5) D. J. Trump, art. cit., p. 32.