di Michela Brambilla
Il Concilio nella storia della Chiesa
Il Concilio di Trento (1545-1563) rappresenta certamente un momento di svolta nella storia della Chiesa, bisognosa da tempo di ripensare la sua disciplina interna, e una risposta articolata all’offensiva protestante. Sarebbe a ogni modo riduttivo ricondurre l’azione del Concilio a un semplice momento reattivo.
Il Concilio si colloca in continuità con un processo di riforma, chiamato «Riforma cattolica», già in atto ben prima di Martin Lutero (1483-1546). Ebbe fioriture continue anche dopo la celebrazione dell’assise. La fede cattolica ne uscì rafforzata, avendo adottato strumenti pastorali efficaci, in grado di riconquistare nel corso di pochi decenni molto del terreno perduto.
I movimenti della Riforma cattolica
Di riforma in capite et in membris si cominciò a parlare perlomeno dai tempi del Concilio di Costanza (1415-1418), che aveva risolto lo Scisma d’Occidente, apertosi nel 1378. Esisteva una tendenza spontanea a cercare un «metodo» per vivere la fede in modo meno disordinato di quanto accadesse nel cosiddetto «autunno del Medioevo».
Il Quattrocento può essere definito il secolo in cui le tendenze verso una riforma complessiva della Chiesa cominciarono a maturare, dando origine a molteplici movimenti. A dare il «la» furono soprattutto i mistici, che ponevano al centro l’autorità papale come fattore propulsore determinante. Negli stessi ordini religiosi si assistette alla nascita delle cosiddette «osservanze», ovvero il ritorno di vasti settori alla regola originaria. In Italia si rivelò fondamentale l’opera del francescano san Bernardino da Siena (1380-1444), che rilanciò le missioni popolari con un metodo molto coinvolgente, fatto proprio dai predicatori dell’epoca barocca.
A san Bernardino si deve anche l’introduzione della devozione al Santissimo Nome di Gesù, riprodotto nel monogramma «JHS», che ispirò il cristocentrismo di molti altri movimenti dell’epoca. Come non pensare poi alla Compagnia di Gesù, fondata da sant’Ignazio di Loyola (1491-1556) nel 1534? O ai cappuccini, approvati nel 1528 come filiazione del grande albero dell’osservanza francescana? Tutti gli ordini religiosi protagonisti della fase successiva al Concilio di Trento nacquero prima di esso, come accadrà nel Novecento con i principali movimenti ecclesiali, nati quasi tutti prima della celebrazione del Concilio Vaticano II (1962-1965), di cui anticiparono molti provvedimenti a favore dell’apostolato laicale.
I movimenti ereticali dell’epoca rinascimentale rappresentarono una palese devianza dalla genuina riforma ecclesiale. Si prenda il caso del teologo praghese don Jan Hus (1371-1415): partendo dalla legittima esigenza di rendere più accessibili i contenuti dottrinali della Scrittura e di valorizzare il laicato — il movimento hussita è noto anche come «utraquista» perché aveva come «bandiera» la generalizzazione della Comunione sotto le due specie —, sconfinò in un attacco alla gerarchia ecclesiale e all’universalità della Chiesa.
La celebrazione del Concilio
Convocare un nuovo concilio ecumenico non era cosa facile all’epoca. Benché se ne sentisse l’impellente necessità, pesava ancora il ricordo dell’eresia conciliarista, che fra i concili di Costanza (1415) e di Basilea (1431-1436) aveva attentato alla dottrina del primato petrino. Ci volle tutta l’autorevolezza dell’imperatore Carlo V (1500-1558) per convincere Papa Clemente VII (1523-1534) e il suo successore Papa Paolo III (1534-1549) a meditare seriamente la convocazione di un concilio per risolvere la vertenza protestante. Preceduto da una commissione d’inchiesta molto rigorosa, che nel 1536 elencò minuziosamente tutti i mali della Chiesa dell’epoca, e da un tentativo di dialogo ufficiale con il mondo luterano, i cosiddetti Colloqui di Ratisbona — in Germania, nel 1541 —, il nuovo concilio fu convocato nel 1542 nella città di Trento, una località scelta appositamente perché era una città di lingua italiana, ma appartenente all’Impero e prossima ai territori di lingua tedesca. Papa Paolo III era stato un cardinale «sfarzoso» e con figli illegittimi, ma aveva una visione molto chiara di che cosa servisse alla Chiesa in quel momento storico e favorì per primo tutti i fermenti di sana riforma.
La prima seduta del Concilio di Trento fu celebrata il 13 dicembre 1545, alla presenza di soli trentuno vescovi, nella stragrande maggioranza italiani. La direzione dei lavori fu affidata a tre legati papali: uno di essi era il card. Reginald Pole (1500-1558), cugino di Enrico VIII d’Inghilterra (1509-1547). I lavori procedettero spediti, giungendo all’approvazione di importanti decreti dottrinali: il primo riguardò la Vulgata, cioè la traduzione latina della Bibbia realizzata da san Girolamo (347-420), che divenne il testo ufficiale della Chiesa. La Scrittura rimaneva centrale nella teologia cattolica, ma si ricordava che essa stessa ci proviene dalla tradizione della comunità vivente dei discepoli del Signore: non si può pertanto scindere il testo della Bibbia dal magistero ecclesiastico. Il Concilio non intendeva impedire ulteriori studi biblici o la traduzione delle Scritture, benché per lungo tempo sia stato questo l’effetto del decreto nei Paesi cattolici, ma sicuramente confermò la piena canonicità della Lettera di Giacomo e di altri testi che presso alcune chiese protestanti cominciavano ad essere espunti dal canone, come i Maccabei o i Libri sapienziali.
Il decreto sul peccato originale rispondeva al pessimismo antropologico luterano affermando che l’uomo, coadiuvato dalla grazia, è realmente capace di emendarsi e compiere opere di bene. Per i luterani la grazia era una coperta, cioè qualcosa che si limita a nascondere ciò che sta sotto, ovvero la natura dell’uomo, che sarebbe stata danneggiata dal peccato irreparabilmente. Il Padre guarda la «coperta-Cristo», che si è offerto al posto dell’uomo, e «finge» di non vedere il peccato.
Il Concilio, invece, intese rispondere che la grazia battesimale rimette realmente il peccato originale e non nega la natura. Il peccato, infatti, non fu una obiezione alla bontà della creazione: le facoltà dell’uomo ne uscirono danneggiate, ma non completamente. Il Battesimo ci radica nel bene e tramite lo Spirito Santo fortifica le nostre inclinazioni migliori: se rimane il pericolo della tentazione è perché acquistiamo maggior merito vincendola.
Fu confermato il numero tradizionale dei Sacramenti, sette, che sono segni efficaci della grazia, contengono ciò che promettono e furono certamente istituiti da Gesù perché alla comunità dei suoi discepoli non mancasse la presenza viva e operante del Risorto per mezzo dello Spirito Santo. Trovò un punto fermo la dottrina cattolica della giustificazione: l’uomo si salva per grazia di Dio, ma coopera a questa grazia compiendo ciò che è bene.
La peste e la guerra di Carlo V contro la Lega protestante di Smalcalda (1546-1547) costrinsero la prima sessione del Concilio di Trento a terminare a Bologna, dove si raggiunse la cifra di trentasei vescovi presenti grazie all’arrivo di alcuni francesi. Iniziò una lunga fase di sospensione durante la quale i protestanti si fecero finalmente sentire, ma pretesero l’annullamento di tutte le decisioni prese fino a quel momento e ribadirono il rifiuto dell’autorità papale. Erano condizioni chiaramente improponibili, pertanto il Concilio si riunì di nuovo il 1° maggio 1551, sotto il papato di Giulio III (1550-1554), e riprese i lavori da dove erano stati interrotti. L’elezione di Paolo IV (1555-1559) portò, però, a un’altra interruzione, causata dall’ostilità del Pontefice all’idea stessa di concilio, nonostante Papa Carafa appartenesse alle fila della Riforma cattolica perché era cofondatore dell’ordine dei Teatini.
La terza sessione fu convocata solo nel 1562 sotto il milanese Papa Pio IV (1559-1566), che aveva come cardinale «segretario di Stato» — non esisteva ancora questo titolo: l’appellativo ufficiale era «cardinal-nepote» — suo nipote, san Carlo Borromeo (1538-1584). Vennero al pettine i nodi della residenza dei vescovi e dei parroci: nei duecento anni precedenti migliaia di chierici erano stati investiti dei titoli di «vescovo di» o «parroco di» senza vedere con i propri occhi i luoghi di cui divenivano titolari e senza aver conseguito neppure il corrispondente grado del sacramento dell’Ordine. Si decise di imporre il più possibile l’obbligo di residenza, con la sola eccezione dei cardinali e dei vescovi di Curia.
Fu sempre in questa sessione che si confermò il valore sacrificale della Messa. Il card. Giovanni Morone (1509-1580) stilò un decreto, votato a maggioranza, che ristabiliva doveri e procedura di nomina dei benefìci ecclesiastici, l’obbligo della visita pastorale e di convocare i sinodi diocesani, le linee generali della riforma degli ordini religiosi, l’obbligo per i parroci di compilare i registri anagrafici e di spiegare al popolo la dottrina cattolica, l’istituzione dei seminari per la formazione dei chierici e la piena liceità del culto della Madonna e dei santi, oltre che delle loro immagini nelle chiese. In una cappella laterale del duomo di Trento si conserva, in un contesto architettonico barocco, il «Crocifisso del Concilio»: secondo la tradizione, avrebbe chinato il capo in segno di assenso durante l’ultima seduta del Concilio, il 3-4 dicembre 1563, presenti 199 vescovi, sette abati e sette generali di ordini religiosi.
Gli anni successivi al Concilio
I decreti del Concilio tridentino furono ratificati dal Papa il 26 gennaio 1564 e divennero contemporaneamente legge civile dello Stato pontificio. La «palla» passava ora al Papa e ai singoli vescovi, che dovevano applicare le norme del concilio di Trento nelle rispettive diocesi. Allo scopo il successivo 2 agosto Papa Pio IV istituì la Congregazione del Concilio — l’antenata dell’attuale Congregazione per il Clero —, che doveva appunto verificare l’applicazione delle norme tridentine da parte dell’episcopato. Per la diocesi di Roma il momento dell’applicazione completa arrivò con l’elezione del Papa domenicano san Pio V (1566-1572) e partì dalla Curia medesima, di cui fu riformato l’organigramma e la stessa strutturazione.
Altre tappe fondamentali dell’applicazione del concilio di Trento furono la riforma liturgica e il primo catechismo della dottrina della fede. Proprio nel 1570 venne dato alle stampe il Missale Romanum, di cui i padri conciliari imponevano l’uso a tutta la cristianità tranne in quei luoghi in cui sussisteva un rito liturgico secolare e legittimamente riconosciuto, come l’ambrosiano. Analoga misura fu presa per la Liturgia delle Ore nella forma del Breviarium Romanum. I protestanti avevano optato per la lingua volgare, misura che trovava favorevole anche una parte dell’episcopato cattolico, ma maggioranza dei vescovi e il Papa scelsero di mantenere il latino: rappresentava l’universalità della Chiesa ed era una garanzia dal punto di vista dell’esattezza delle formule sacramentali.
Il Catechismo Romano o Tridentino fu promulgato nel 1566. Per la prima volta la Chiesa provava a concentrare gli elementi essenziali della fede cattolica in un unico libro, che doveva essere utilizzato dai parroci per la catechesi. Il domenicano san Papa Pio V scelse come base la Summa del confratello san Tommaso d’Aquino (1225-1274) e portò alla stesura di un volume molto lineare, che parte dall’analisi degli articoli del Credo niceno-costantinopolitano per proseguire con i Sacramenti e la morale, spiegati tramite il Decalogo e la preghiera del Padre nostro.
Se sant’Ignazio di Loyola, con i suoi Esercizi spirituali, rappresentò il fondamento della spiritualità post-tridentina e i collegi gesuiti ebbero molta parte nel consolidamento della Riforma cattolica sia in Europa sia nelle terre di missione, il modello dell’applicazione gerarchica divenne san Carlo Borromeo non appena divenne arcivescovo di Milano (1565-1584). La riduzione delle esenzioni dall’autorità vescovile, che avevano causato numerosi abusi nei secoli passati, condusse ad un nuovo ruolo della parrocchia, che assieme alle scuole gesuitiche e alle missioni al popolo, «prerogativa» spessissimo della Compagnia di Gesù e dell’ordine cappuccino, contribuì a plasmare un’intera civiltà.
Martedì, 7 gennaio 2025
Per approfondire
Christopher Dawson, La divisione della Cristianità Occidentale, D’Ettoris, Crotone 2008.
Catechismo Tridentino, Cantagalli, Siena 2003.
Marco Invernizzi; Paolo Martinucci e Michele Brambilla (a cura di), Storia della Cristianità occidentale, D’Ettoris Editori, Crotone 2022.
Hubert Jedin, Breve storia dei concili, Morcelliana, Brescia 1978.