di Marco Tangheroni
Il Ducato (570 ca.-774) e Principato di Benevento (774-1077)
1. Origini e prime vicende
Nel 568 una nuova invasione germanica si abbatte sull’Italia, da poco reintegrata nell’Impero Romano d’Oriente al termine del devastante conflitto greco-gotico (535-553): l’invasione dei longobardi. Essi avevano passato il Danubio nel 529, stanziandosi in Pannonia; durante quasi mezzo secolo, dunque, erano stati a contatto diretto con la civiltà romana, convertendosi, almeno in parte, al cristianesimo, ma nella forma eretica dell’arianesimo. Conseguenza della conquista — guidata prima dal re Alboino (m. 572), poi dal successore Clefi (m. 574), infine dai diversi duchi in un decennale periodo di assenza di re — è la divisione politica dell’Italia, che rimase in parte bizantina e in parte longobarda: una divisione destinata a durare circa tredici secoli.
Le vicende della penetrazione dei Longobardi nel Mezzogiorno sono oscure, in quanto poco riferisce la fonte principale, lo storico Paolo Diacono (720 ca.-799 ca.), che, d’altronde, scrive a due secoli dalla conquista. Si può soltanto dire che, poco dopo il 570, viene fondato da Zottone (m. 590) il Ducato di Benevento. Suo successore è Arechi I (m. 640), della famiglia ducale del Friuli, forse nominato dal nuovo re Agilulfo (m. 615). Di lui sappiamo che conquistò Capua, saccheggiò Amalfi e tentò più volte, invano, di espugnare Napoli. Infatti, i duchi di Benevento e di Spoleto non si erano impegnati a rispettare la tregua conclusa fra bizantini e longobardi grazie alla mediazione di Papa san Gregorio I (590-604) — poi noto come Magno —, che, pur giudicando i longobardi “gente detestabilissima”, aveva cercato di ottenere un po’ di sollievo per le popolazioni e per le stesse strutture ecclesiastiche: di fronte ai nuovi invasori moltissimi sono i profughi e anche non pochi vescovi li seguono. Nel Mezzogiorno restavano sotto il controllo di Costantinopoli la Sicilia, gran parte della Calabria, a sud di Crotone — caduta nel 596 — e le città marittime della Puglia, nonché Gaeta e la parte meridionale del ducato di Roma, Napoli e Amalfi, ma i confini erano abbastanza fluidi dipendendo dall’esito delle frequenti guerre. A settentrione il Ducato di Benevento confinava, attraverso le valli del Sangro e del Volturno, con l’altro grande ducato longobardo di Spoleto.
Denso di avvenimenti è il ducato di Grimoaldo I (m. 671), il quale, duca dal 647, alla morte del re Ariperto I (m. 661), che già era convertito, come molti del suo popolo, al cattolicesimo, marcia su Pavia, capitale del regno, se ne impadronisce facilmente e cerca una legittimazione tradizionale nel matrimonio con la figlia di Ariperto, della quale aveva ucciso il fratello, uno dei due legittimi discendenti di Ariperto. Grimoaldo aveva trovato larghi appoggi proprio perché ariano, in quanto una parte dell’aristocrazia longobarda temeva che la conversione al cattolicesimo facesse perdere i valori della stirpe e ne facilitasse la fusione con la popolazione romanica. Tuttavia, mentre — come confermano i dati archeologici — la distinzione etnica stava scomparendo, anche l’arianesimo, privo di qualsiasi vitalità che non derivasse dal desiderio di separazione, andava morendo. Alla morte di Grimoaldo — che, del resto, aveva lasciato sposare il figlio illegittimo, nominato duca di Benevento, a una cattolica, e che non aveva fatto persecuzioni religiose —, ritorna re Pertari (m. 688), l’altro figlio di Ariperto, che si era rifugiato presso gli avari. Frattanto, Grimoaldo aveva anche dovuto respingere il tentativo di riconquista bizantina, guidato dall’imperatore Costante II Eraclio (630-668) in persona, il quale giunge ad assediare la stessa Benevento, nel 663. D’altra parte, anche Costante aveva una debole posizione religiosa a causa del tentativo d’imporre il monotelismo — la dottrina secondo la quale vi era una sola volontà in Cristo —, sorta di mediazione fra l’ortodossia cattolica e il monofisismo — la dottrina secondo cui in Cristo vi è una sola natura — diffuso in Oriente. Il suo tentativo fallisce e una nuova pace fra bizantini e longobardi sarà conclusa nel 680.
2. La “Longobardia minore”: una lunga sopravvivenza
Nei decenni successivi il duca Gisulfo I (m. 706) si fa minaccioso nei confronti del ducato romano, riuscendo anche a impadronirsi di Sora e della valle del Liri. Ma, ormai, nel corso del secolo VIII, i più temibili nemici dei duchi di Benevento non sono più gli indeboliti bizantini, ridotti alla penisola salentina e alla Calabria meridionale, bensì gli stessi re longobardi, che intendevano imporre ai quasi autonomi ducati di Benevento e di Spoleto la propria piena autorità. Re Liutprando (m. 744) riesce a intervenire in un paio di occasioni, imponendo il proprio candidato alla successione ducale e domando rivolte autonomistiche dei beneventani, ma in un capitolare del successore Rachis (m. 749), del 746, i ducati di Benevento e di Spoleto sono considerati fra quei paesi stranieri nei quali è proibito recarsi senza permesso regio. La loro autonomia è ormai il frutto della costituzione di una solidarietà organica fra popolazioni, aristocratici e duchi all’interno di un territorio regionale definito.
L’ultimo re longobardo, Desiderio (m. 774), riesce a imporre il proprio controllo sul Ducato, dove sale al potere Arechi II (m. 787). Questi, divenuto anche genero del re, dopo la scomparsa del regno longobardo, nel 774 — in seguito alla vittoria su Desiderio di Carlo Magno (742-814), re dei franchi e restauratore nell’800 dell’Impero Romano d’Occidente, chiamato in Italia da Papa Adriano I (772-795), essendo Roma minacciata dai longobardi — si autointitola “principe della gente dei longobardi”. “Arechi — secondo la studiosa Vera von Falkenhausen — si considera rappresentante della gens e della patria longobarda, indipendente e sullo stesso piano di un re” ; inoltre, mantiene contatti con il figlio di Desiderio, Adelchi (m. 788 ca.), che si era rifugiato a Costantinopoli, nutrendo propositi di riconquista, e con la stessa corte bizantina, dalla quale sperava di avere il Ducato di Napoli, oltre al necessario appoggio militare contro Carlo Magno, che già aveva fatto, nel 786, una vittoriosa discesa nel Ducato, spinto anche dal Pontefice, che rifiutava ostentatamente di riconoscere il nuovo titolo di princeps. La morte, nello stesso anno, di Arechi II e del suo erede Romualdo metteva la successione nelle mani di Carlo Magno, il quale, contro l’opinione del Papa, acconsente che essa tocchi al secondogenito di Arechi, Grimoaldo III (m. 806), che, oltre a un giuramento di fedeltà, s’impegna a porre il nome di Carlo sui documenti e sulle monete, nonché a “franchizzare” i costumi dei longobardi beneventani, compresi il taglio della barba e dei capelli. In effetti, il nuovo sovrano, quando Adelchi tenta, nel 788, una spedizione di riconquista, sostenuta dai bizantini, combatte al fianco dei franchi. Questi, però, continuano, sotto la guida di Pipino (777-810), figlio di Carlo e re d’Italia, ad attaccare più volte il Ducato, senza altro successo stabile che l’acquisizione di Chieti, entrata a far parte del ducato di Spoleto.
Del resto, i ripetuti interventi carolingi nel Mezzogiorno nel secolo IX, come quelli analoghi degli imperatori sassoni nella seconda metà del secolo X, hanno sempre esiti incerti, se non fallimentari. Sotto il principato di Sicone (m. 832) e del figlio Sicardo (m. 839), Benevento raggiunge l’apice delle proprie fortune politiche: viene imposto un tributo a Napoli ed è conquistata Amalfi, di cui una parte degli abitanti è trasferita di forza a Salerno. Ma queste operazioni erano in corso quando Sicardo, privo di figli, è ucciso in una congiura.
3. Frammentazione e fine della “Longobardia minore”
La guerra civile fra due pretendenti alla successione di Sicardo ha termine soltanto con l’intervento dell’imperatore franco Ludovico II (825-875), la cui mediazione sancisce la divisione fra il Principato di Benevento — con il Molise e la Puglia a nord di Taranto — e quello di Salerno. Funzionari locali — in particolare quelli di Capua — approfittano della situazione per garantirsi ampi spazi di autonomia, mentre ad accrescere il disordine si abbattono su tutto il Mezzogiorno spedizioni saracene, talora sollecitate da governanti cristiani: per esempio, più volte Siconolfo (m. 851) di Salerno avrebbe pagato mercenari musulmani con ricchezze sottratte all’abbazia di Montecassino. Napoli, Benevento, Salerno sono assediate dai saraceni, alcune bande dei quali si spingono fino a saccheggiare Ostia e le basiliche più indifese di Roma. Un temibile insediamento musulmano alle foci del Garigliano è eliminato, dopo più di trent’anni, solo nel 915 da una coalizione papale-imperiale-longobarda.
I bizantini sanno rientrare in gioco grazie a iniziative diplomatiche e militari, restaurando, dall’inizio del secolo X, la propria autorità sulla Puglia, sulla Lucania e sulla Calabria, che formavano tre circoscrizioni militari e amministrative — quella pugliese significativamente chiamata “di Longobardia” —, riuniti in un unico governatorato con sede a Bari. È interessante notare che gli abati di Montecassino e di San Vincenzo al Volturno, distrutti dai saraceni, si preoccupano di farsi riconoscere dall’imperatore bizantino i propri possessi.
Quanto rimaneva della Longobardia minor è riunificato un’ultima volta da Pandolfo I Capodiferro (m. 981), principe di Capua e di Benevento, poi anche di Salerno, grazie soprattutto alla fedeltà portata all’imperatore sassone Ottone I (912-973), dal quale è nominato anche duca di Spoleto. Ma alla sua morte tanto Benevento che Salerno si ribellano al suo erede, Pandolfo II, cui rimane soltanto il principato di Capua. I decenni a cavallo del Mille sono caratterizzati da conflitti interni ai tre piccoli Stati e anche fra loro. Nel 1022, ripetendo tentativi dei suoi predecessori, anche l’imperatore santo, Enrico II di Sassonia (973-1024), scende nell’Italia Meridionale, conquistando Benevento e Capua, mentre Guaimario III (m. 918) di Salerno si sottometteva dando un figlio in ostaggio; ma, dopo un anno, non riuscendo a conquistare la bizantina Troia, ritorna in Germania, dopo aver messo ordine nell’abbazia di Montecassino. Né risultati più duraturi ha l’analoga discesa dell’imperatore Corrado II di Franconia, detto il Salico (990-1039), nel 1038.
Ma ormai i normanni, provenienti da quel ducato di Normandia nato all’inizio del secolo X — dunque, già profondamente cristianizzati e, per così dire, francesizzati —, audacemente si stavano inserendo, dopo esser giunti prima come pellegrini, quindi come avventurieri e mercenari, infine con ambizioni sempre più alte, in questo confuso quadro politico. Salerno è conquistata da Roberto il Guiscardo (1015 ca.-1085), dopo un lungo assedio, nel 1076, mentre la città di Benevento entrerà a far parte definitivamente dello Stato della Chiesa nel 1077.
4. La cultura della Longobardia meridionale
L’eredità della lunga presenza longobarda è ancora leggibile nella toponomastica, che rimanda, talora, alle originarie forme di stanziamento: fara, “corpo di spedizione”, poi “unità d’insediamento”; sala, “residenza padronale in campagna”; gualdo, “bosco”, e così via. Ma essa è visibile anche nei resti monumentali delle maggiori città, come Benevento, dove il principe Arechi II avviò la costruzione di una chiesa dedicata alla Divina Sapienza, Santa Sofia, a imitazione, nel nome e nelle forme, della basilica costruita dall’imperatore Giustiniano (482-565) a Costantinopoli.
Si devono pure ricordare i due grandi monasteri di San Vincenzo al Volturno e di Montecassino, fioriti specialmente dopo la conversione dei longobardi dall’arianesimo al cattolicesimo, centri di conservazione e di elaborazione della cultura; dei due, il secondo mantiene la propria importanza anche sotto i normanni, grazie alla realistica posizione dell’abate Desiderio, poi elevato al pontificato con il nome di Vittore III (1086-1087). Paolo Diacono scrive la Storia dei Longobardi a Montecassino; un altro monaco cassinese, Erchemperto, nel secolo IX, ne continua l’opera narrando la storia dei longobardi dell’Italia Meridionale. Una grafia particolare è elaborata nei centri culturali della regione, poi nota come “scrittura beneventana”. Infine, va ricordato che la prima testimonianza scritta del volgare italiano è in un placito capuano del 960, conservato, appunto, a Montecassino.
Per approfondire: Vera von Falkenhausen, I Longobardi meridionali, in AA.VV., Il Mezzogiorno dai Bizantini a Federico II, vol. III della Storia d’Italia diretta da Giuseppe Galasso, UTET, Torino 1983, pp. 251-364; e Nicola Cilento, Italia meridionale longobarda, Ricciardi, Milano-Napoli 1971.