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Il gioco delle tre statuette (o delle tre carte?)

26 Ottobre 2019 - Autore: Domenico Airoma

di Domenico Airoma

Tutti indignati per il ladro delle statuette pagane: “È un ladro!”; “È un ignorante intollerante!”; peggio: “È un terrorista!”. Interessa poco, qui, la querelle sulla qualificazione giuridica della condotta. E neppure la corsa a chi la spara più grossa.

Se si ritiene che le chiese siano solo edifici e che tutto quanto sia custodito in esse ricada nel patrimonio dell’ente proprietario dell’immobile, non vi è dubbio: chi ha preso le statuette le ha sottratte al proprietario dell’edificio. Dunque è un ladro. Legalisticamente è un discorso che non fa una grinza. Se, però, per Chiesa, come è scritto nel n. 751 del Catechismo della Chiesa Cattolica, del 1997, deve intendersi «Colei che appartiene al Signore», allora le cose cambiano: il vero proprietario dell’edificio, destinato all’assemblea liturgica del popolo di Dio, è Dio stesso. E chi apparentemente “lo possiede” è un mero amministratore, tutelato dalle leggi degli uomini.

Ciò significa che si può, impunemente, asportare i beni custoditi nelle chiese? Certamente no. Ma se non si è tra mura solo umane, si ha il diritto, in quanto appartenenti al popolo cui quella chiesa è destinata, di pretendere che non vi siano ospitate cose che contrastino con la legge del vero proprietario. E se ai primi due articoli della Sua legge si trova scritto che non si deve prestare culto agli idoli, chi ha agito ha disobbedito alla legge degli uomini, ma pone un problema di rispetto della legge di Dio. Istigare alla caccia al ladro è, allora, un ossequio al formalismo legalista e svia dalla vera questione.

E veniamo, allora, al punto, che riguarda tutto il popolo di Dio e non solo il trafugatore di statuette. Era giusto o no che quelle statuette si trovassero in una chiesa cattolica? E, soprattutto, è da ignoranti avanzare qualche dubbio sul fatto che quelle statuette nulla abbiano a che vedere con la conversione/purificazione che è presupposto e condizione di ogni processo di inculturazione della fede? Giacché qui non si tratta di statue della Madonna o di Nostro Signore Gesù Cristo effigiati con fattezze da indio. Chi non ricorda l’immagine della Virgen morenita, della Madonna ritratta come una giovane indiana sul mantello del giovane azteco Juan Diego? Ecco, scartare quell’icona come un prodotto di una sub-cultura, questo sì sarebbe da ottusi ignoranti; cioè da cristiani che ignorano che la buona novella va incarnata nella storia di chi la incontra. Ma questo incontro, se preso sul serio, non può che generare un uomo nuovo, che deve sbarazzarsi di quel che del vecchio è retaggio del peccato originale, che tocca tutti gli uomini e tutte le culture. Nessuna esclusa.

Orbene, la questione è: che cosa veniva custodita nella chiesa? Il simbolo della sacralità della vita secondo la cultura amazzonica? Se così fosse, il gesto di consegnare quei simboli alla Chiesa, equivarrebbe a riconoscere che la vita e la fertilità sono doni dell’unico vero Dio. Significherebbe orientare verso la Verità quelle antiche credenze e santificare ciò che già la ragione naturale ha mostrato come beni sottratti alla disponibilità dell’uomo.

Se, però, Pacha Mama, viene ancora intesa come una divinità, come la Dea Madre Terra e non semplicemente come la creatura-madre terra cantata da san Francesco (1181/1182-1226), le cose cambiano radicalmente. E far finta di non vedere non è una cosa buona, soprattutto per i popoli amazzonici.

Lasciamo da parte, allora, l’intolleranza, perché qui non si tratta di mancanza di rispetto verso altre fedi; qui si tratta della fede cristiana e del modo in cui si innesta, purificandole, nelle culture pagane; non della sottomissione acritica a queste ultime. Ed è una faccenda molto seria. Da trattare con verità. Senza inganni né sotterfugi. Perché il timore è che, buttate via le tre statuette, qualcuno continui a trastullarsi con le tre carte.

Sabato, 26 ottobre 2019

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