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Il giudice e il soldato

14 Aprile 2017 - Autore: Domenico Airoma

Ponzio Pilato ed il centurione romano non sono solo due personaggi entrati nella storia per aver incontrato Gesù; sono anche due modelli esistenziali, validi per ogni tempo ed in modo particolare per il nostro tempo.

Il governatore romano è chiamato a pronunciare un giudizio. E non si può dire che non sia stato aiutato a pronunciare la giusta sentenza: l’istruttoria svolta non gli rende manifesta alcuna colpa, le categorie per interpretare gli erano ben presenti essendo egli stato allevato in quella culla del diritto che era Roma. Di più: chi doveva giudicare si era presentato per ciò che era: “Io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla Verità”(Gv. 18, 37)”.

Ma per Pilato la verità non ha senso, è fuori dal suo orizzonte di uomo, di giudice e governatore; a lui interessa non il “perché”, ma il “come”, e finisce con il piegare il diritto al desiderio ingiusto della plebaglia.

Altra scena, altro personaggio, stessa provenienza: Roma.

Il centurione sta sotto la croce. Ha seguito quell’uomo chiamato Gesù lungo tutta l’ascesa al calvario, ha visto con quanto odio è stato spinto fin sulla croce, ha constatato quanto impotente e poca cosa fosse agli occhi del mondo. Insomma, tutto lo induceva ad accomunarlo a quei due ladroni che gli stavano crocifissi al fianco, tutti condannati con sentenza emessa da un giudice, romano come lui.

Eppure, dinanzi ai fenomeni naturali che si scatenano alla morte di quell’uomo autoproclamatosi figlio di Dio, esclama: “Veramente quest’uomo era il figlio di Dio!”.

Al soldato basta la rivelazione naturale per aprire gli occhi dinanzi alla Verità. E per proclamarla! Anche sfidando la plebaglia, e nonostante la sentenza del magistrato romano.

Due personaggi storici che sono anche due modelli.

Pilato è il relativismo al potere, l’indifferenza nei confronti della Verità che ben presto degenera in aperta persecuzione, con il plauso della massa e con il sostegno dei sommi sacerdoti, cioè dei maitres a penser dell’epoca.

Il centurione è il ritorno al reale contro la barbarie della riflessione, è il trionfo del buon senso cioè del senso buono, di chi è capace di intravvedere la verità delle cose e la propria condizione: quella di una creatura al cospetto del suo creatore; un approdo che è anche un cominciamento.

Domenico Airoma

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