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Il Magistero e la storia

16 Febbraio 2025 - Autore: Oscar Sanguinetti

Oscar Sanguinetti, Cristianità n. 431 (2025)

Premessa

Il cristianesimo non nasce da un libro, ma da un evento che ha avuto un inizio e avrà una conclusione nella storia: l’Incarnazione della seconda Persona della Trinità in Gesù di Nazaret. La storia del mondo ruota intorno a questo evento e alla sua conclusione salvifica: Stat Crux dum volvitur orbis, come rammenta l’antico detto monastico. 

San Giovanni Paolo II (1978-2005) ha sottolineato questo aspetto: «La rivelazione di Dio agli uomini è avvenuta nello spazio e nel tempo. Il suo momento culminante, il farsi uomo del Verbo divino, la sua nascita dalla Vergine Maria nella città di Davide al tempo di re Erode il Grande, è stato un evento storico: Dio è entrato nella storia umana. Per questo contiamo gli anni della nostra storia a partire dalla nascita di Cristo» (1).

La vicenda di questo mondo si può descrivere come la preparazione — narrata nell’Antico Testamento — della Redenzione, il suo attuarsi terreno — la cui memoria resta fissata nei Vangeli —, il suo sviluppo immediato — di cui fanno stato gli Atti degli Apostoli e le Lettere paoline e apostoliche — e, infine, il suo epilogo — cui è dedicato l’Apocalisse di san Giovanni (10 ca.-98 ca.). Le Scritture sono dunque testi di storia, narrazioni di fatti ordinari e straordinari. Sebbene essi non esauriscano la Rivelazione di Dio in Gesù al popolo eletto e all’umanità, ne sono parte essenziale e ineludibile. 

Ancora Papa san Giovanni Paolo II afferma: «Lo studioso credente sa poi di possedere nelle Sacre Scritture dell’Antica e della Nuova Alleanza una chiave ulteriore di lettura per una conoscenza adeguata del­l’uomo e del mondo. È nel messaggio biblico, infatti, che si conosce la vicenda umana nei suoi risvolti più nascosti: la creazione, la tragedia del peccato, la redenzione. Si definisce così il vero orizzonte interpretativo entro il quale possono essere compresi eventi, processi e figure della storia nel loro significato più recondito» (2).

La dimensione della storia è dunque essenziale per inquadrare e comprendere l’annuncio della Buona Novella e ciò che da esso ha preso corpo nella storia umana attraverso le epoche, ovvero la Chiesa, organismo che il Signore ha voluto affinché l’annuncio cristiano fosse reiterato nei secoli a complemento della sua presenza stessa nei sacramenti e, in maniera speciale, nel mistero dell’Eucaristia. 

Promessa e premessa temporale del Regno di Dio, realtà divino-umana illuminata dallo Spirito Santo, comunità dei battezzati, signora della «pienezza dei tempi» (3), in analogia con il mistero dell’unione ipostatica della Trinità con l’umanità di Gesù di Nazaret, di essa è impossibile scriverne la storia, cioè raccontare quanto di essa vive oltre il tempo e oltre lo spazio e come l’eterno s’innesta sul temporale. 

Tuttavia, sul versante di chi la regge in temporalibus — la sacra gerarchia con i suoi ministeri — e di chi in essa vive — i singoli e i popoli —, essa è un soggetto storico a pieno titolo (4): come per le società umane, se ne possono narrare le lotte, le vittorie e le sconfitte, le luci e le ombre, i frangenti di «gaudium et spes» e quelli di «luctus et angor» — per richiamare l’incipit del documento conciliare sul rapporto Chiesa-mondo moderno Gaudium et spes —, i momenti di fulgore e i periodi di appannamento e di oscuramento, i trionfi e le persecuzioni subite. 

Della storia della salvezza il quadro teologico e la filosofia, gli elementi della Rivelazione e del logos umano che aiutano a comprenderne il senso profondo, per quanto possibile all’uomo, sono stati fissati da grandi autori, soprattutto da Agostino d’Ippona (354-430), in particolare con la dottrina delle «due città», quella di Dio e quella del demonio, l’una che eleva e salva, l’altra che abbassa e danna la città dell’uomo, esposta nei ventidue libri della Città di Dio (5).

1. L’antichità

Dopo l’epoca apostolica la narrazione delle vicende ecclesiastiche, con poche eccezioni — come la Storia ecclesiastica (6) di Eusebio di Cesarea (260-339) —, conosce una lunga eclissi: la prima evangelizzazione ruota prioritariamente intorno alla plantatio di comunità cristiane e alla definizione della dottrina della fede in risposta al pullulare di eresie che affiorano incessantemente in tutto il quadrante geografico in cui il Vangelo si diffonde. Inoltre, a causa della scarsa diffusione della parola scritta e della dispersione e atipicità delle fonti, in epoca alto-medioevale fram­menti di storia ecclesiastica si rinvengono negli scritti dei Padri, in genere apologetici, nelle vite dei santi e dei martiri, nelle vite dei pontefici romani, negli atti dei concili. Oppure si evincono dalle storie dei popoli, nuovi — per esempio nella Storia dei Longobardi di Paolo Diacono (720 ca.-799) — e vecchi, sempre più estesamente cristianizzati, in cui compaiono figure di Papi e di ecclesiastici. Più oltre, il genere più diffuso continua a essere prevalentemente annalistico e cronachistico (7).

2. La storia ecclesiastica in Età Moderna

L’interesse per la storia della Chiesa come soggetto specifico e a sé stante rinasce quando la nuova cultura umanistica rende disponibili nuove fonti originali e grazie alla scoperta della stampa, cioè nell’Età Moderna, anche se il movente principale sarà la pesante offensiva che la Chiesa cattolica subisce da parte del protestantesimo. Il prodotto più notevole della nuova visione ecclesiale — che legge la storia dei secoli medioevali come progressivo allontanamento della Chiesa da una, peraltro mitizzata, «Chiesa primitiva» — sarà, con la scuola dei cosiddetti Centuriatori di Magdeburgo capeggiati dal teologo luterano Mattia Flacio Illirico (Matja Vlačič; 1520-1575) (8), la «leggenda nera» sulle origini e sulla vita dell’or­ganismo ecclesiale nei secoli, dall’VIII al XV: in quel periodo la Chiesa era stata l’anima della cristianità occidentale e, nel suo «polmone orientale» — come dirà san Giovanni Paolo II (9) —, della cristianità orientale. Una leggenda diffamatoria, peraltro, dura a morire, anzi arricchitasi nel tempo, come si poteva riscontrare nei manuali scolastici novecenteschi.

La disciplina storica ecclesiastica nasce dunque come esigenza apologetica, come risposta a un’offensiva diffamatrice, ma, come accade, tale reazione sarà per la Chiesa anche l’occasione con cui fondare con maggior precisione luoghi teologici essenziali: l’apostolicità della sua dottrina e della sua gerarchia, la continuità del suo magistero e la giustificazione delle sue istituzioni e leggi; la presenza reale eucaristica, il primato del Papa, l’autorità dei concili. 

Dopo il Concilio di Trento (1545-1563), soprattutto grazie al venerabile cardinale Cesare Baronio C.O. (1538-1607) e ai suoi Annales ecclesiastici (10) — che vanno fino al secolo XII — la storiografia della Chiesa in prospettiva cristiana conoscerà una stagione di tutto rilievo. A supporto di essa nasceranno le iniziative dei Bollandisti — annalisti e agiografi francesi di appartenenza gesuitica — e dei Maurini — la congregazione francese di san Mauro con regola benedettina —, entrambi collezionatori e vagliatori di una estesa mole di fonti antiche.

Nei secoli successivi crescerà l’attenzione alle vicende della Chiesa in temporalibus, al Papato, agli episcopati, alle congregazioni, alle dottrine spirituali e sociali. Santi come il vescovo Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787) sentiranno l’esigenza di irro­bustire il loro intenso apostolato scri­ve­ndo testi di storia (11); altri, come Ludovico Antonio Muratori (12) e Ferdinando Ughelli O.Cist. (1595-1670) (13), preferiranno dedicarsi alla raccolta delle fonti. 

La storia ecclesiastica raggiungerà, tuttavia, uno status compiuto anche sotto il profilo scientifico solo nell’Ottocento. L’iniziatore, a detta di Jedin (14), sarà Johann Adam Möhler (1796-1838), sacerdote e docente a Tubinga e a Monaco di Baviera.

A lui faranno seguito grandi storici europei, per lo più ecclesiastici, come René François Rohrbacher (1789-1856), Franz Leopold Ranke (1795-1886), Joseph Ignaz Döllinger (1799-1890) — poi scomunicato per non aver accettato i decreti del Concilio Vaticano I (1869-1870) —, Gaetano Moroni (1802-1883), Jacques Augustine Marie Crétineau-Joly (1803-1875), Joseph Adam Gustav Hergenröther (1824-1890) e Franz Xaver Funk (1840-1907), senza dimenticare la grandiosa raccolta di documenti sulla Chiesa latina e greca antiche messa insieme nelle due Patrologie, latina e greca, da Jacques Paul Migne (1800-1875). 

3. Papa Leone XIII

Dopo la lunga fase di irrilevanza che datava almeno dal Settecento Papa Leone XIII (1878-1903), nel 1883, con la lettera Saepenumero considerantes (15), rilancerà energicamente gli studi storici ecclesiali e ne definirà lo statuto scientifico, non limitandolo alla pura apologetica — pur non negata, perché la falsificazione storica della sua storia rimaneva un’ar­ma privilegiata nelle mani dei nemici della Chiesa —, bensì ampliandolo a quello di disciplina autonoma, la cui valenza apologetica si sarebbe manifestata attraverso fatti e i documenti, piuttosto che partendo da pregiudiziali teologiche e da intenti unicamente difensivi. Non solo: a conferma del suo intervento dottrinale, il Papa permetterà, per la prima volta nella storia, l’accesso alle raccolte dell’Archivio Segreto Vaticano, quindi creerà una commissione di cinque cardinali, cui affiderà la promozione delle scienze storiche nella Chiesa e nel mondo cattolico.

Dopo di allora gli studi storici ecclesiali si moltiplicheranno: appariranno studiosi di vaglia che affronteranno grandi tematiche e redigeranno sintesi di grande momento e di alta qualità epistemologica. Fra i tanti nomino Ludwig von Pastor (1854-1928), Louis Marie Olivier Duchesne (1843-1922), Joseph Adam Lortz (1887-1975), Hubert Jedin, Henri Le­clercq (1869-1945), Ilario Rinieri S.J. (1853-1941), Jean Dumont (1923-2001), Henri-Irénée Marrou (1904-1977), Giacomo Martina S.J. (1924-2012), Giuseppe Ricciotti (1890-1964), Robert Andrew Graham S.J. (1912-1997), lo storico e metodologo card. Raffaele Farina S.D.B., senza dimenticare il poliedrico Joseph Ratzinger (1927-2022), poi Papa Benedetto XVI (2005-2013).

Così pure in Francia, Germania, Belgio, Italia, Svizzera, Austria, Olanda fioriranno numerose e illustri riviste di studi storici ecclesiastici (16).

4. I Pontefici fra Novecento e Terzo Millennio

San Giovanni Paolo II, nel citato messaggio al card. Brand­müller, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, nel 2004 rammenterà, fra le molte altre considerazioni in tema, che «nulla vi è di più inconsistente di uomini o di gruppi senza storia. L’ignoranza del proprio passato conduce fatalmente alla crisi e alla perdita di identità dei singoli e delle comunità» (17).

Papa Benedetto XVI tornerà sul tema nel 2008 (18), rivolto anch’egli al Pontificio Comitato di Scienze Storiche, fondato dal venerabile Papa Pio XII (1939-1958) nel 1954 (19). Egli ricorderà l’ampiezza del progetto culturale per il rilancio della storiografia cristiana elaborato dal suo lontano predecessore e rintraccerà il perimetro scientifico ed etico del lavoro storiografico-ecclesiale nel Terzo Millennio. Papa Ratzinger metterà in risalto come il contesto allora fosse mutato rispetto ai tempi di Leone XIII e come nel 2008 fosse la storia stessa a perdere rilievo culturale, aggredita dal positivismo tecnocratico e dal materialismo, minata dal culto del moderno come eterno presente, che tende a obliare i secoli passati. Una diagnosi, dunque, che pare ancora più appropriata in anni di ideologia woke e di cancel culture dominanti, quando si vuole non solo rettificare la storia ma mistificarla. Egli dirà: «[…] come la perdita della memoria provoca nell’individuo la perdita dell’identità, in modo analogo questo fenomeno si verifica per la società nel suo complesso […]. È evidente come tale oblio storico comporti un pericolo per l’integrità della natura umana in tutte le sue dimensioni. La Chiesa, chiamata da Dio Creatore ad adempiere al dovere di difendere l’uomo e la sua umanità, ha a cuore una cultura storica autentica, un effettivo progresso delle scienze storiche. La ricerca storica ad alto livello rientra infatti anche in senso più stretto nello specifico interesse della Chiesa. Pur quando non riguarda la storia propriamente ecclesiastica, l’analisi storica concorre comunque alla descrizione di quello spazio vitale in cui la Chiesa ha svolto e svolge la sua missione attraverso i secoli. Indubbiamente la vita e l’azione ecclesiali sono sempre state determinate, facilitate o rese più difficili dai diversi contesti storici. La Chiesa non è di questo mondo ma vive in esso e per esso» (20).

5. Papa Francesco

Sul tema della storia è tornato Papa Francesco in una lettera «sul rinnovamento dello studio della storia della Chiesa», pubblicata il 21 novembre 2024 e indirizzata principalmente allo studio della storia della Chiesa nei seminari (21).

In essa il regnante pontefice fa eco e aggiorna le preoccupazioni di san Giovanni Paolo II espresse, sempre con speciale relazione ai candidati al sacerdozio — il Papa, infatti, sottolinea «l’importanza dello studio della storia della Chiesa, in modo speciale per aiutare i sacerdoti a interpretare meglio la realtà sociale» —, giusto vent’anni prima, nel 2004 (22). Dunque, non un documento generale ma redatto a beneficio della formazione dei sacerdoti e con un fine specifico: consentire loro di leggere meglio, vedendola in retrospettiva e individuando le cause dei fenomeni, la realtà della società in cui essi sono protagonisti primari del­l’an­nuncio della fede. Tuttavia, dalle considerazioni che il Papa fa si possono in buona misura evincere concetti e criteri validi per la storiografia ecclesiastica in generale e anche utili per chiunque scriva di storia.

Se lo studio della storia ecclesiastica è da lungo tempo parte del curriculum seminariale, il Papa rileva che nei giovani candidati al sacerdozio difetta «una reale sensibilità storica». Ma non è solo un problema del clero: «Più in generale, si dovrà dire che oggi tutti — e non solo i candidati al sacerdozio — abbiamo bisogno di rinnovare la nostra sensibilità storica». Non si tratta, dunque, solo di una imperfetta conoscenza, ma anche della sensibilità generale alla dimensione storica in cui vive l’uomo, essere in perenne divenire: un essere che viene dal passato e muove verso il futuro, un soggetto cheè il prodotto delle generazioni che lo precedono e, a sua volta, è il germe di quelle future. Quest’attenzione al senso della storia vale per i singoli, ma anche per i gruppi sociali: la conservazione della memoria individuale è altrettanto importante di quella collettiva, perché è un collante essenziale dell’identità della comunità in cui l’indi­viduo vive. Scrive, infatti, il Papa: «Abbiamo oggi un dilagare di memorie, spesso false, artificiali e anche menzognere, e contemporaneamente un’assenza di storia e di coscienza storica nella società civile e anche nelle nostre comunità cristiane». 

Ancora, «una corretta sensibilità storica aiuta ciascuno di noi ad avere un senso delle proporzioni, un senso di misura e una capacità di comprensione della realtà senza pericolose e disincarnate astrazioni, per come essa è e non per come la si immagina o si vorrebbe che fosse. Si riesce così ad intessere un rapporto con la realtà che convoca alla responsabilità etica, alla condivisione, alla solidarietà».

Sul piano dell’identità della comunità cristiana, «la storia della Chiesa ci aiuta a guardare la Chiesa reale per poter amare quella che esiste veramente e che ha imparato e continua ad imparare dai suoi errori e dalle sue cadute. Questa Chiesa, che riconosce se stessa anche nei suoi momenti oscuri, diventa capace di comprendere le macchie e le ferite del mondo in cui vive, e se cercherà di sanarlo e di farlo crescere, lo farà nello stesso modo in cui tenta di sanare e far crescere se stessa, anche se tante volte non ci riesce».

Come già accennava la Fratelli tutti — di cui cita il n. 13 —, continua Papa Francesco, «educare […] i candidati al sacerdozio ad una sensibilità storica appare una palese necessità. E a maggior ragione in questo nostro tempo, nel quale “si favorisce anche una perdita del senso della storia che provoca ulteriore disgregazione. Si avverte la penetrazione culturale di una sorta di “decostruzionismo”, per cui la libertà umana pretende di costruire tutto a partire da zero. Restano in piedi unicamente il bisogno di consumare senza limiti e l’accentuarsi di molte forme di individualismo senza contenuti”».

Ignorare la storia significa vuotarsi di una dimensione essenziale della propria identità ed essere esposti alle insidie delle ideologie, che appiattiscono il passato sul presente. «Eludere la storia — infatti — appare molto spesso una forma di cecità che ci spinge a occuparci e sprecare energie per un mondo che non esiste, ponendoci falsi problemi e indirizzandoci verso soluzioni inadeguate». E «la realtà, passata o presente, non è mai un fenomeno semplice che può essere ridotto a ingenue e pericolose semplificazioni. Meno ancora ai tentativi di coloro che credono di essere come degli dei perfetti e onnipotenti e vogliono cancellare parte della storia e dell’umanità».

La storia della Chiesa di Gesù nella sua dimensione temporale deve perseguire la verità intera della memoria, considerare non solo le sue luci sfolgoranti ma anche i periodi bui, non solo i pregi ma anche i difetti del vissuto ecclesiale e dell’influenza da essa avuta sul mondo laico: «la verità — scriveva lo storico della Chiesa nell’Ottocento Jacques Crétineau-Joly — è l’unica carità permessa alla storia» (23).

Conoscere bene la Chiesa nei suoi rapporti con il mondo aiuta anche, attraverso i rapporti fra di essi, a conoscere meglio l’umanità nei suoi momenti migliori e peggiori.

Chiudono il documento alcune annotazioni di metodo. 

Come studiare la storia della Chiesa?

In primis, secondo il Pontefice, occorre evitare «una certa impostazione meramente cronologica o addirittura una sbagliata direzione apologetica, che trasformano la storia della Chiesa in mero supporto della storia della teologia o della spiritualità dei secoli passati».

Quindi, ampliare lo sguardo dal piano storico-teologico alla società in cui la Chiesa vive. E, ancora, andare alle fonti originali e meno alla manualistica. Inoltre, lo storico cristiano della Chiesa deve sentirsi «coinvolto» come figlio della Chiesa nella missione di quella che è la Madre della Chiesa e anche dello storico fedele. Da ultimo, questi non deve omettere nella scelta dei soggetti che studia gli «ultimi», i «senza voce», le sconfitte e le benemerenze degli emarginati. 

E, in relazione a questo richiamo, mi permetto una digressione. Come non mettere nel novero di costoro tanti protagonisti di episodi della storia moderna e contemporanea che coincidono con altrettante pagine strappate dalla storia del mondo e, in specifico, dalla biografia della nazione italiana? Non penso solo ai ceti umili nell’età del liberalismo elitario e della Rivoluzione industriale, che pure la storiografia e la sociologia cristiane conservatrici hanno adeguatamente e ampiamente messo a tema, forse per prime. Penso piuttosto a chi è stato al centro di quelle vicende, pur di rilievo al loro verificarsi, di cui poi si è «persa la memoria». Penso meno ai vandeani — dei quali bongré malgré una memoria si è conservata —, e piuttosto alle migliaia di vittime di ogni ceto della ghigliottina «liberatrice» e degli annegamenti nella Loira, penso agl’insorgenti italiani massacrati a migliaia, ai cristeros messicani traditi e decimati, ai cosiddetti «briganti» del Mezzogiorno d’Italia, le cui teste erano esibite come trofei dai bersaglieri sabaudi, ai milioni di vittime ignote della macchina genocida del nazionalsocialismo e della sconfinata violenza classicida del comunismo internazionale, per la cui tragica morte nessuno ha mai pagato nemmeno con un giorno di galera. Non so se il Papa avesse in mente costoro, ma l’identikit di «coloro che non hanno potuto far sentire la loro voce nel corso dei secoli», degli «ultimi» che egli ne traccia, calza loro a pennello.

Infine, lo storico ecclesiastico non deve mai obliare ma, anzi, onorare la memoria dei martiri, come seme e «concime» della vita nella santità della Chiesa.

Il Papa precisa nelle ultime righe della sua lettera che ha parlato di studio, cioè della necessità di un’applicazione seria alla memoria della Chiesa di Gesù, che non deve tradursi in un’attenzione distratta e rapsodica, frutto di chiacchiere, «di letture superficiali, di “taglia e incolla” di riassunti di Internet».

Concludendo, un documento importante, un richiamo accorato a chinarsi sul passato della Chiesa e sul passato della civiltà che da lei ha preso forma e si è dilatata in tutto il globo, un documento che testimonia come l’interesse del Magistero per la storia non si sia mai spento. 

Forse quello che ha mosso il Papa, con l’occasione di un discorso ai seminari, a ribadire la centralità della storia nella prospettiva cristiana sia il rendersi conto con sempre maggiore chiarezza di quanto intenso sia il processo di sradicamento patito da chi vive nella società attuale del­l’Occidente a causa di letture estreme del culto del presente e di vere e proprie teorizzazioni auto-colpevolizzanti, che mettono sotto accusa, con grave danno collettivo, tutto il passato della nostra cultura occidentale. 

Al di là del tema circoscritto del documento, l’appello generale a ricuperare il senso della storia non significa ritrovare la chiave per leggerne meccanicamente, come nelle ideologie evoluzionistiche moderne, gli andamenti, bensì nello scrutare «i segni dei tempi» (24), come insegna il Concilio Vaticano II, e, in ogni situazione, gradita o sgradita, cui ci si trovi di fronte, porsi sempre domande del tipo: da dove nasce? verso dove evolve? che cosa c’era prima? che cosa verrà dopo? Quale impatto ci sarà sulle generazioni a venire? E, ancora, in quale punto della storia della salvezza un determinato fatto s’inserisce? vi si vede il digitus Dei? 

Un memorandum, infine, che mi pare si collochi in piena sintonia con quella storiografia cattolica — penso, fra i tanti, a Gonzague de Reynold (1880-1970), a Pierre Gaxotte (1895-1982), a Régine Pernoud (1909-1998), a Jean Dumont, a Marta Sordi (1925-2009), ad Alberto Caturelli (1927-2016), a Giovanni Cantoni (1938-2020), a Marco Tangheroni (1946-2004) — che ha fatto della teologia della storia classica il suo alimento e dello studio ininterrotto della vita della Chiesa, anche in chiave «spon­ta­nea­men­te» apologetica, una delle sue dimensioni culturali essenziali e la guida per «non sbagliare politica».

Note:

1) Giovanni Paolo II, Messaggio al Presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche [mons. Walter Brandmüller], del 16-4-2004, n. 3.

2) Ibid., n. 2.

3) La locuzione esprime il fatto che il tempo dopo la Pentecoste è un tempo ricco della presenza di Dio: attraverso la Chiesa, l’Eucaristia e i sacramenti, lo Spirito Santo, Dio è davvero in mezzo all’umanità sino alla consumazione dei secoli. Per diametrum, il tempo prima dell’Incarnazione è considerato un tempo incompiuto, dove pure Dio è Signore e interviene nella storia, ma solo con Gesù si entra nella dimensione e nell’età della salvezza.

4) Giovanni Paolo II, Messaggio al Presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, cit., n. 2.

5) Cfr. Sant’Aurelio Agostino, La città di Dio, trad. it., introduzione di Antonio Pieretti, a cura di Domenico Gentili O.S.A. (1914-1992), indici di Franco Monteverde O.S.A., 2a ed., Città Nuova, Roma 2002.

6) Cfr. Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, trad. it., introduzione a cura di Franzo Migliore; traduzione e note dei libri 1-4 a cura di Salvatore Borzì; traduzione e note del libro 5 a cura di F. Migliore, 2a ed., Città Nuova, Roma 2005.

7) Cfr. Hubert Jedin (1900-1980), Introduzione alla storia della Chiesa, trad. it., 2a ed., Morcelliana, Brescia 1979, cap. 3, Storiografia ecclesiastica e storia della Chiesa, pp. 71-135.

8) Il nome deriva dalla periodizzazione centenaria delle loro ricostruzioni storiche.

9) Cfr. «[…] non si può respirare da cristiani, direi di più, da cattolici, con un solo polmone; bisogna avere due polmoni, ossia orientale e occidentale» (Giovanni Paolo II, Discorso ai rappresentanti delle altre confessioni cristiane a Parigi nel corso del suo viaggio a Parigi e a Lisieux, del 31-5-1980).

10) Cfr. Cesare Baronio, Annales Ecclesiastici a Christo nato ad annum 1198, 12 voll., Tipografia Vaticana, Roma 1588-1607.

11) Cfr. Alfonso de’ Liguori, Storia delle eresie colle loro confutazioni, 1768, Phronesis Editore, Palermo 2023.

12) Cfr. Ludovico Muratori (a cura di), Rerum Italicarum Scriptores (1723-1738); Idem, Antiquitates italicae Medii Aevi (1738-1743) e Idem, Novus thesaurus veterum inscriptionum (1738-1743).

13) Cfr. Ferdinando Ughelli, Italia sacra sive de episcopis Italiae […], 10 voll., Roma, 1644-1662.

14) Cfr. H. Jedin, op. cit., p. 107.

15) Leone XIII, Lettera «Saepenumero considerantes» ai cardinali Antonino De Luca, Vice Cancelliere di Santa Romana Chiesa; Giovanni Battista Pitra, Bibliotecario di Santa Romana Chiesa; Giuseppe Hergenroether, Prefetto degli Archivi Vaticani, del 18-8-1883.

16) Cfr. H. Jedin, op. cit., pp. 114-118.

17) Giovanni Paolo II, Messaggio al Presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, cit, n. 1.

18) Cfr. Benedetto XVI, Discorso ai membri del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, del 7-3-2008.

19) Sul quale cfr. Luigi Michele de Palma, Chiesa e ricerca storica. Vita e attività del Pontificio Comitato di Scienze Storiche (1954-1989), LEV. Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2005.

20) Benedetto XVI, Discorso ai membri del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, cit.

21) Cfr. Francesco, Lettera sul rinnovamento dello studio della storia della Chiesa, del 21-11-2024. Salva diversa indicazione, i brani citati sono tutti da questo documento.

22) Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio al Presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, cit., n. 5.

23) Cit. in [Monsignor] Fèlix Sardà i Salvany (1841-1916), Il liberalismo è peccato. Questioni che scottano, trad. it., 2a ed., Giachetti, Prato 1888, p. 72.

24) Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo «Gaudium et spes», del 7-12-1965, n. 4.

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