Alla scoperta del ciclo pittorico commissionato da Pio XI per celebrare la grande vittoria del popolo polacco sul comunismo, di cui fu testimone durante la sua nunziatura a Varsavia.
di Wlodzimierz Redzioch
Da quando il Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo è diventato un Museo, si può visitare l’appartamento che i Papi utilizzavano, fino al pontificato di Benedetto XVI (2005-13), durante i loro soggiorni estivi nei Castelli Romani. È accessibile anche la cappella privata, ornata da tre quadri molto distinti, realizzati durante il pontificato di Pio XI (1922-39). Sopra l’altare si trova di un’icona ben conosciuta in tutto il mondo grazie a san Giovanni Paolo II (1978-2005): è la copia della veneratissima immagine della Madonna Nera di Czestochowa. Sulla destra, appare un grande quadro del pittore polacco Jan Rosen (1854-1936), che mostra la difesa del monastero di Jasna Gora (altro nome del santuario di Czestochowa), assediato nel 1655 dagli svedesi senza successo. Sulla parete di sinistra splende un altro quadro del medesimo artista che narra una scena della battaglia di Varsavia del 1920, la quale è passata alla storia come il «Miracolo sulla Vistola». Per gli storici fu una delle più importanti battaglie nella storia d’Europa, tuttavia è poco conosciuta, quando non addirittura sottaciuta per motivi ideologici: serve allora un breve excursus.
La Polonia, in seguito alle tre spartizioni avvenute fra il 1772 e il 1795 ad opera dei tre potenti imperi vicini (il russo, il prussiano e l’austro-ungarico), sparì dalla mappa dell’Europa. Riconquistò la sua sovranità nazionale il 18 novembre 1918, ma l’indipendenza del Paese, riconquistata a caro prezzo dopo la Prima guerra mondiale, fu subito minacciata: la minaccia veniva sempre dall’est, ancora una volta dalla Russia, la quale, dopo la Rivoluzione d’Ottobre (1917), era diventata un Paese comunista in mano al Partito bolscevico. Già nel novembre del 1918 il Consiglio dei Commissari del Popolo (vale a dire il governo bolscevico) prese la decisione di formare, nell’ambito dell’Armata Rossa, la cosiddetta «Armata Occidentale». Quest’Armata doveva servire a realizzare lo scopo strategico dei comunisti sovietici, ovvero la «Rivoluzione mondiale». Il 10 marzo del 1920, a Smolensk, ebbe luogo una riunione dei capi dell’Armata Rossa, del «Fronte Occidentale» e dei commissari politici comunisti, tra i quali vi era anche Iosif Vissarionovic Dzugasvili detto «Stalin» (1878-1953). Nel corso della riunione vennero decisi l’attacco alla Polonia e l’invasione dell’Europa occidentale. Nell’estate del 1920 l’Armata Rossa avanzò minacciosamente verso il fiume Vistola, fino alle porte della capitale polacca, Varsavia. In questa drammatica situazione i vescovi polacchi, per smuovere le coscienze di tutti, inviarono alcune lettere alla nazione, agli episcopati del mondo intero e al Papa, chiedendo a Benedetto XV (1914-22) preghiere e benedizioni per la Polonia minacciata dai bolscevichi.
La Chiesa svolse un ruolo fondamentale, mobilitando la popolazione alla difesa della Patria. Grazie ai suoi appelli, tutti coloro che erano abili al reclutamento si arruolavano nell’esercito nazionale polacco. Chi non poteva combattere e rimaneva a casa, pregava, perché la paura di una occupazione da parte dei comunisti era grande, alimentata dalle notizie delle crudeltà commesse nelle zone già occupate. I sacerdoti stavano anche a fianco dei soldati polacchi. Alla storia è passato soprattutto uno di loro, padre Ignacy Skorupka (1893-1920), cappellano del 236° reggimento della fanteria, composto da volontari. Padre Skorupka partecipò alla battaglia di Varsavia indossando sempre la sua talare. Il suo reggimento subì importanti perdite e, ad un certo punto, il cappellano si rese conto che era rimasto l’unico ufficiale in vita e doveva prendere sulle sue spalle la responsabilità dei 250 soldati sopravvissuti: con la croce in mano come unica arma, guidò allora i giovani volontari al contrattacco delle linee nemiche, trovando coraggiosamente la morte.
Non si può parlare della battaglia di Varsavia senza menzionare gli eroici combattenti polacchi e il principale artefice della vittoria, il maresciallo Jozef Piłsudski (1867-1935). Questo grande statista polacco si rendeva conto del pericolo mortale che il comunismo era per l’Europa: difendendo la patria, difendeva la civiltà europea. Tuttavia, il capo del giovane esercito polacco si trovava in una situazione difficilissima: il suo esercito si era dovuto ritirare di 500 km davanti all’avanzata dei russi! I suoi consiglieri gli suggerivano di organizzare la linea di difesa lungo la Vistola, intorno a Varsavia, per mantenere ad ogni costo la capitale, ma il maresciallo sapeva bene che per fermare quasi due milioni di soldati bolscevichi ci voleva un numero di soldati che lui non aveva a disposizione. Egli si inventò, allora, un altro piano, tanto rischioso quanto geniale perché non previsto dai comandanti russi: da ciò che restava dell’esercito nazionale formò sei divisioni, che attaccarono il fianco scoperto dell’Armata Rossa a sud di Varsavia. Per fare questa manovra avrebbe dovuto privare la capitale della difesa, ma la manovra riuscì perfettamente: i soldati russi, sorpresi da questo attacco audace, cominciarono a perdere terreno e furono sconfitti, prima ancora di potersi riorganizzare: il «miracolo sulla Vistola» consistette proprio in questa manovra spregiudicata.
Nasce allora una domanda: come mai Pio XI ha voluto far decorare la sua cappella privata, nella residenza di Castel Gandolfo, con quadri attinenti alla storia della Polonia e, in particolare, con l’immagine del Miracolo sulla Vistola, del quale volle fosse ritratto proprio l’episodio di don Skorupka, che con la croce in mano guida i soldati all’attacco? I legami di Pio XI, al secolo Achille Ratti (1857-1939), con la Polonia cominciarono nel 1918: il 25 aprile di quell’anno Benedetto XV nominò l’allora prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana visitatore apostolico per la Polonia. Mons. Ratti divenne ufficialmente, nel 1919, il primo nunzio apostolico nella Polonia rinata. Nominato dal Papa arcivescovo nell’estate del 1919, mons. Ratti venne consacrato il 28 ottobre 1919 dall’arcivescovo di Varsavia, il card. Aleksander Kakowski (1862-1938), nel corso di una solenne celebrazione che richiamò un «grande concorso di popolo», come raccontarono le cronache del tempo. Per questa serie di motivi Pio XI diceva spesso di essere un vescovo polacco.
Nei mesi terribili dell’estate 1920, con i bolscevichi a pochi chilometri da Varsavia, mons. Achille Ratti svolse un ruolo importantissimo. Il nunzio vaticano fu, infatti, l’unico diplomatico che nell’agosto del 1920 non lasciò la capitale, mentre gli altri ambasciatori fuggivano spaventati. Mons. Ratti partecipava attivamente alle preghiere organizzate durante la battaglia sulla Vistola. Fece anche un gesto molto coraggioso e simbolico, che sollevò il morale dei combattenti: si recò a Radzymin, sulla linea del fronte, mentre la battaglia infuriava, allo scopo di far sentire la sua vicinanza ai soldati polacchi. Egli sapeva bene qual era la vera posta in gioco della guerra, dicendo che «un angelo delle tenebre stava conducendo una gigantesca battaglia con l’angelo della luce»: per Papa Ratti la Polonia sarebbe sempre rimasta un «antemurale dell’Europa e del cristianesimo».
L’atteggiamento del nunzio gli procurò una grande stima tra i governanti polacchi, ma anche tra il popolo. Mons. Ratti lasciò la Polonia il 4 giugno 1921, essendo stato nominato dal Papa arcivescovo di Milano e cardinale. Nessuno allora pensava che, nemmeno un anno dopo, il 6 febbraio 1922 il card. Ratti sarebbe diventato il nuovo Papa, con il nome Pio XI.
Papa Ratti non si è mai dimenticato della Polonia, che è rimasta per sempre nel suo cuore. Non si poteva scordare nemmeno quell’epico scontro tra i bolscevichi russi e i polacchi, che salvarono l’Europa dal comunismo, di cui il card. Ratti era stato un testimone oculare. I quadri della cappella di Castel Gandolfo testimoniano, allora, quei particolari legami del Pontefice brianzolo (era nato a Desio) con la Polonia e la sua storia.
Venerdì, 14 agosto 2020