di Aurelio Carloni
Chi, in questi giorni bui, sia portato dalla fede, di prima mattina, nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma si troverà da solo nel suo spazio insolitamente silenzioso, e ricco del fascino antico dei mosaici e della pavimentazione cosmatesca del secolo XIII.
La sorveglianza antiterrorismo è sempre cortese ed esegue i controlli, superati i quali, ci si può immergere in preghiera nella Cappella Borghesiana in cui è venerata la Salus Populi Romani, antica icona mariana che una pia tradizione attribuisce al pennello di san Luca.
È una esperienza straniante. Per arrivarvi dal vicino rione Monti, sempre muniti dell’autocertificazione, ci vogliono pochi minuti, percorrendo strade deserte dove persone coperte dalle mascherine camminano veloci e circospette per andare a fare la spesa assoggettandosi alle file ordinate, fuori dai supermarket. Code imposte dal morbo venuto dalla Cina, la quale, dopo aver nascosto al mondo per settimane l’epidemia, è oggi portata a esempio dai media occidentali per come l’avrebbe gestita.
Il clima generale e quelle file ricordano l’atmosfera descritta negli anni 1970 e 1980 dai dissidenti dei Paesi oltre la Cortina di ferro sotto il giogo socialcomunista. Allora le file erano composte da casalinghe e da lavoratori che, all’alba, in un pellegrinaggio tragico alla ricerca dell’indispensabile, vagavano da una parte all’altra delle città per raggiungere i negozi riforniti, di volta in volta, di carta igienica o altri beni alimentari o di prima necessità per il mantenimento della casa.
Adesso certi diritti sono garantiti, anche se essere fermati mentre si fa una passeggiata nel rione e dover spiegare perché, appellandosi al buon senso del controllore di turno, fa capire e toccare con mano la tragedia di chi vive nei regimi totalitari come quello cinese, che perseguita nel silenzio quasi assoluto del mondo occidentale i cristiani e i non cristiani.
Da noi solo raramente gli scaffali sono vuoti, ma le code, giustificate dalle prescrizioni anti-contagio sono lì a testimoniare l’eccezionalità di una situazione che mette a dura prova credenti e non credenti e pone domande di senso sulla vita, sul suo fine e sulla sua fine.
Un quadro che, anche se giustificato senza dubbio alcuno dalla necessità di combattere l’epidemia che miete ogni giorno centinaia di persone in Italia, va assumendo talvolta contorni da Stato di polizia.
Di fronte al nemico invisibile che uccide la fede sembra vacillare. Poi le parole e la benedizione urbi et orbi di Papa Francesco a san Pietro il 27 marzo ridanno speranza, coinvolgendo chi crede e chi non crede.
Una speranza nutrita nella Basilica vuota e silenziosa dalla presenza dei due vecchi Domenicani che nei confessionali – dandosi il cambio con i confratelli nell’arco dell’intera giornata – attendono i penitenti, che, se non arrivano ora, prima o poi, anche grazie al loro sacrificio, torneranno con il cuore rinnovato dalla prova a popolare quegli spazi e a inginocchiarsi dinanzi alla Salus Populi Romani.
Lunedì, 30 marzo 2020