Riportiamo le conclusioni del convegno “il Suicidio dell’Occidente” presso il Senato della Repubblica del Reggente Nazionale di Alleanza Cattolica Marco Invernizzi
di Marco Invernizzi
Intanto il mio ringraziamento a chi mi ha preceduto soprattutto per quanto ho potuto imparare dalle vostre riflessioni.
Le mie vogliono essere semplici conclusioni con le quali cercherò soltanto di rispondere a una domanda che credo alberghi nel cuore di tutti noi, che siamo qui presenti non per celebrare un funerale ma per trasmettere, anche a noi stessi, un po’ di speranza.
Occidente, suicidio e speranza sono i tre termini su cui vorrei costruire queste riflessioni conclusive.
Mi servirò di due libri e di un grande Pontefice santo per illustrare i tre punti.
Occidente
Che cos’è l’Occidente? E’ meglio parlare di Occidenti, come fa per esempio il professor Andrea Graziosi in un suo recente libro (Occidenti e modernità. Vedere un mondo nuovo, il Mulino 2023), oppure c’è qualcosa che comunque accompagna tutta la storia dell’Occidente, come sostiene Rodney Stark in un suo libro che quest’anno compie il decimo anniversario della sua traduzione italiana (La vittoria dell’Occidente. La negletta storia del trionfo della modernità, Lindau 2014)?
Per quel che vale propendo per questa seconda tesi. Certo, risulta difficile equiparare l’Occidente delle cattedrali romaniche e gotiche, della Città di Dio di s. Agostino o della Summa theologiae di Tommaso, della grande espansione missionaria che fra luci e ombre ha comunque portato la fede e la civiltà in tante parti del mondo, con l’Occidente degli ultimi secoli, diviso dalle guerre di religione, dal secolarismo ideologico, dalle ideologie che hanno portato a due guerre mondiali, e infine dalla cancel culture e dalla dittatura del relativismo dei giorni nostri.
Eppure c’è qualcosa che non si è spento e possiamo sperare che non si spegnerà. Il fatto stesso che ci troviamo qui oggi, in una sala prestigiosa delle istituzioni italiane, è un segno di quella speranza che non muore di cui farò un accenno nella terza parte di questa conclusione.
C’è un filo, secondo Stark, che unisce tutta la storia dell’Occidente e giunge fino ai nostri giorni. Si tratta di quell’idea di persona che nasce e perdura ad Atene nei secoli precedenti l’Incarnazione e che distingue questa civiltà da tutte le altre contemporanee, una civiltà di uomini liberi (nonostante non fosse per tutti perché la schiavitù verrà combattuta soltanto dopo la diffusione del cristianesimo), mentre tutti gli imperi di quell’epoca non godevano delle caratteristiche di quello che Stark chiama il “miracolo greco”. Erano tutti segnati in qualche modo da quello che Karl August Vittfogel (1896-1988) chiama il “dispotismo orientale”, cioè un sistema sociale che privilegia lo Stato e la sua burocrazia rispetto allo sviluppo e al progresso della società.
Ma che come vivevano gli Ateniesi? Facevano e bene la guerra per difendersi dagli imperi esterni, ma soprattutto partecipavano alla vita pubblica in quanto liberi cittadini, facendo nascere in quel contesto (e non nel 1789) la cosiddetta democrazia. Ma ancora di più fu ad Atene che nacque la filosofia greca che portò alla concezione di Dio come Essere razionale, creatore dell’uomo e del mondo, quindi trascendente. La filosofia greca influenzò il popolo d’Israele e rimarrà uno dei capisaldi della civiltà occidentale, soprattutto dopo la diffusione del cristianesimo (che la fece propria) insieme al diritto romano.
L’uomo descritto dalla filosofia greca era un uomo libero, che credeva nella possibilità con la sua libertà di migliorare il mondo e di progredire, anche economicamente. In particolare, credeva in un Dio razionale la cui Rivelazione in Cristo rafforzò il legame tra fede e ragione su cui ha tanto insistito il Magistero di Benedetto XVI.
C’è dunque un legame che unisce le diverse fasi della storia occidentale, una storia non più segnata da un determinismo inevitabile, ma dalla libertà. Una libertà che permetterà ai popoli dell’Occidente di rialzarsi dopo ogni caduta.
Il suicidio
Stark lo ricorda e il richiamo è anche al nostro tempo. Molte volte l’Occidente ha rischiato di morire o di suicidarsi eppure si è sempre in qualche modo rialzato. Si è rialzato dopo la crisi provocata dalla Riforma che ha diviso l’Europa e innescato le guerre di religione, si è ancora rialzato, o almeno ha combattuto e resistito, dopo la Rivoluzione francese dando vita a una grande stagione missionaria, ha resistito alle ideologie durante il secolo XIX e, dopo la tragedia delle due guerre mondiali, ha saputo dare vita a una epica lotta contro il comunismo in difesa della libertà.
Certo, in questo lungo periodo l’Occidente è cambiato. E’ venuta meno la cristianità sorta in seguito alla prima evangelizzazione, sono caduti gli Antichi regimi che erano sorti dopo il conflitto fra cristiani che dilaniò l’Europa e negò il principio della libertà religiosa nei secoli XVI e XVII, e dopo il 1789 è cominciata una lunga lotta interna all’Occidente che non è mai finita, fra chi ne difendeva le radici e chi invece ne voleva la soppressione radicale e definitiva.
La novità del nostro tempo, successivo alla caduta del Muro di Berlino e alla fine delle ideologie, sta proprio nel fatto che l’odio contro l’Occidente nasce certamente ancora dall’esterno, dal risveglio dell’islamismo radicale dopo la rivoluzione iraniana del 1979 e dal perpetuarsi del “dispotismo orientale” nella Russia di Putin e nella Cina rimasta comunista dopo il 1989 e la strage di piazza Tienanmen, ma trova una sponda importante dentro l’Occidente stesso, in quella “dittatura del relativismo” che si esprime nella cancel culture, nel disprezzo per la sacralità per la vita e per la centralità della famiglia, nella poca attenzione verso la persecuzione che decine di milioni di cristiani subiscono nel mondo, nella diffusione dell’ideologia gender che arriva a mettere in discussione la stessa identità originaria della persona umana.
La speranza
Eppure, anche questa volta è legittimo sperare (e operare) che la civiltà occidentale riuscirà a sopravvivere, non soltanto perché la Chiesa ha ricevuto da Cristo la certezza della sopravvivenza di un “piccolo resto”, ma anche perché una civiltà così importante e bella, proprio perché fondata sulla libertà della persona, può sempre rinascere quando le persone decideranno di usare la loro libertà per servire la verità e il bene.
Lo faranno? E lo faranno in numero sufficiente per sconfiggere coloro che vogliono annientare l’Occidente o suicidarlo?
Questa è la domanda che mi pongo e pongo a tutti voi in conclusione di questo incontro. Joseph de Maistre si chiedeva dopo la Rivoluzione del 1789 se ci fossero in Francia ancora uomini disposti a combatterla. E’ la domanda che vale anche per noi oggi. Io spero e credo di sì, che ci siano uomini pronti a mettere la loro libertà al servizio di quelle autorità religiose e civili che credono nei valori dell’Occidente.
La civiltà occidentale non è certamente l’unica civiltà che può nascere dalla fede, ma è la nostra civiltà, figlia della cultura seminata dalla fede nei secoli successivi al Natale di Cristo. Forse abbiamo bisogno soprattutto di uomini semplici, capaci di gesti coraggiosi, e contagiosi, come quando nel film, tratto da Il Signore degli anelli, Pipino riesce a eludere la sorveglianza delle guardie e ad accendere il fuoco, il segnale di richiesta di aiuto al regno di Rhoan da parte di Gondor. E con il fuoco si riaccende la speranza, perché un gesto piccolo e coraggioso di un hobbit qualsiasi è riuscito a rompere ogni paura e a fare riaccendere il fuoco nel cuore di molti altri uomini.
E allora possiamo veramente tornare a sperare non solo per la nostra personale salvezza, ma anche per quella della nostra civiltà, anche in tempi così difficili e oscuri, ricordando le parole di san Giovanni Paolo II: «“non sappiamo quali saranno le caratteristiche della civiltà cristiana nel terzo millennio. Ma questo non deve sorprenderci. Neppure i Santi Padri degli inizi avrebbero potuto prevedere la sintesi culturale realizzata nel Medio Evo. E i medievali, a loro volta, non avrebbero immaginato neppure lontanamente l’espansione missionaria dei secoli successivi. Nessuna meraviglia, dunque, che il futuro ci resti oscuro. Ciò che possiamo, tuttavia, dare per certo è che l’avvenire offrirà anche a noi l’epifania di un nuovo aspetto della pienezza di Cristo» (GPII, 20 agosto 1991, alla Conferenza episcopale ungherese).
Mercoledì, 31 gennaio 2024