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Il Trattato di Tolentino (1797)

27 Ottobre 2018 - Autore: Alleanza Cattolica

di Sandro Petrucci (1959-2017)

 

Il Trattato di Tolentino (1797)

 

1. Le ragioni della Campagna d’Italia

Gli scopi della Campagna d’Italia, iniziata dalla Repubblica Fran­cese — nata dalla Rivoluzione del 1789 — nell’aprile del 1796 e guidata da Napo­leone Bonaparte (1769-1821), possono rias­su­mersi così: accapar­rare quanto più possibile denaro, opere d’arte, generi alimentari, animali e armi attraverso furti e contri­buzioni forzate; oc­cupare territori da scambiare al mo­men­to del­le tratta­tive con l’Im­pero asburgico. La cessione all’Austria della Repubblica di Vene­zia con il Trat­tato di Campoformio (Udine), del 17 ot­tobre 1797, costituisce l’esempio più noto di tale inten­zio­ne. La Francia del Direttorio si trovava in una drammatica situa­zione e­conomica e fi­nanziaria. «Il tesoro nazio­nale era com­ple­tamente vuoto, non c’era un soldo», scrive nelle sue Mémoires uno dei cinque direttori, Louis Marie de la Re­vellière-Lépeaux (1753-1824), e in una lettera al commis­sario del Direttorio presso l’e­sercito in Ita­lia, Antoine Christophe Sa­li­ceti (1757-1809), os­ser­va: «Con le vostre baionette voi tro­vate più de­naro di noi con tutte le nostre leggi finanziarie». La ricca cor­ri­spon­denza del Di­rettorio con Bonaparte non lascia dubbi su quanto fosse pe­ren­to­rio l’ordine di rapina: «Le vostre spe­dizioni verso il sud d’Italia de­vono essere vive e rapide: le risorse im­mense che troverete sa­ranno spedite senza ritardo in Francia». Gli storici hanno os­ser­vato che finanziariamente gli invii di Bo­na­parte dal­l’I­talia co­stituirono un aiuto notevole per le casse pub­bli­che francesi.

2. L’armistizio di Bologna

La Campagna d’Italia, che si svolge fra il 1796 e il 1797, per la mag­gior parte nelle regioni settentrionali, contro l’esercito im­pe­ria­le, co­nosce due tappe nel­lo Stato pontificio. Da Parigi il Di­ret­torio invita più volte il ge­ne­rale còrso, impegnato in Lombardia, a mar­ciare verso i territori pontifici per ottenere nuove contribu­zioni. Le difficoltà a com­piere quanto desidera il governo pari­gino de­ri­va­no a Napoleone da più fattori: la scarsezza di uomini — entra in Italia con circa 40mila soldati male equipaggiati a cui promette le ric­chezze del­le città della Penisola —, la precarietà delle vittorie sul­l’esercito imperiale — non bisogna pensare alla campa­gna na­po­leonica co­me a una marcia trionfale — e le difficoltà a te­nere sotto con­trol­lo il territorio occupato a causa delle insorgenze, al punto che si teme una nuova Vandea in Italia. 

La prima incursione nel terri­torio pon­ti­ficio è realizzata con l’in­gan­no: infatti, nonostante le trattative in corso fra il commissario del Direttorio nell’esercito in Italia e l’in­ca­ri­cato del governo pon­ti­ficio, Bonaparte ordina di mar­ciare su Bologna, che viene pre­sa il 19 giugno 1796. Le autorità pon­ti­fi­cie evitano o­gni atteg­gia­mento d’ostilità, cercando d’im­pe­dire an­che la rea­zione popo­la­re, che però non manca. Il 23 giu­gno 1796 viene fir­mato a Bolo­gna l’armistizio fra Napoleone e i rap­pre­sen­tan­ti del Pontefice: le Le­gazioni Pontificie di Bologna e di Ferrara pas­sano alla Francia e Ancona è posta sotto il con­trollo mi­li­tare del­l’e­sercito oltre­mon­ta­no; al Papa vengono im­po­ste con­tri­bu­zioni in o­pe­re d’arte — cento tavole, busti, vasi e statue, cinquecento manoscritti —, in de­naro — ventuno mi­lioni di lire, di cui quindici in lingotti d’o­ro e d’ar­gen­to —, in der­rate e in ani­mali. Nei giorni suc­ces­sivi si ve­rificano sollevazioni popo­lari in molte località della Ro­magna contro le requisizioni e l’atteg­gia­mento anti-religioso dei francesi: il caso più noto è quello di Lugo (Ravenna), del luglio del 1796. 

3. I negoziati di Parigi e di Firenze

Nel luglio del 1796 ini­ziano a Parigi i negoziati fra la Sede A­postolica e la Repubblica Francese per una pace definitiva. Le trat­tative si presentano su­bito difficili perché il governo parigino chie­de al Papa di revocare e di sconfessare i documenti relativi alla Francia, e in particolare la condanna della Costituzione Civile del Clero, del 12 luglio 1790: richieste inaccettabili per Roma, dal momento che toc­cavano questioni religiose. Le trattative, rotte dal Di­ret­to­rio, ri­prendono a Firenze in settembre, ma lo scoglio rimane. Era opi­nio­ne diffusa che il Direttorio volesse prendere tempo, sperando in una imminente conquista di Roma a opera di Bonaparte, al fine di ottenere nuovi contributi per continuare la guerra e per co­strin­ge­re il Papa alle condi­zioni ricordate. Nelle trattative emerge la fermez­za di Papa Pio VI (1775-1799) di fronte alle richieste fran­cesi: «nel periodo più tragico» — nota lo storico Giustino Filippone — mani­fe­sta «le migliori doti del suo carattere», tanto da apparire «un personaggio nuovo, di rin­novato prestigio».

4. Il Trattato di Tolentino

La rottura delle trattative, il mancato rispetto dell’armistizio di Bologna, i sospetti di una prossima conquista delle terre pon­ti­fi­cie, inducono il governo ro­mano, fra la fine del 1796 e l’inizio del 1797, a dar vita a un esercito di difesa. Bonaparte, impegnato nel­l’assedio di Mantova, difesa dall’esercito imperiale, può dedi­carsi a nuove inizia­tive belliche nell’Italia Centrale solo dopo la caduta di quella città, il 1° febbraio 1797. Il giorno successivo le truppe fran­cesi e cisalpine sconfiggono quelle pontificie nella battaglia del fiu­me Senio, nei pressi di Fa­enza (Ravenna). Sul com­por­ta­mento dei pontifici lo stesso Filippone osser­va che «si rise […] per molto tempo sulla re­sistenza dell’esercito pontificio e forse troppo, e con non molta ra­gione». Rapida­men­te i francesi oc­cu­pano le principali città costiere delle Marche, arrivando fino al territorio di Fermo: Bonaparte de­si­derava rag­giungere un frut­tuoso accordo e realiz­zare rapine e re­qui­sizioni che gli garan­tis­sero denaro, armi, vet­to­vaglie per proseguire a nord lo scontro con l’esercito imperiale.

Domenica 19 febbraio 1797 a Tolentino, presso Macerata, vie­ne fir­mato l’omonimo trattato da Bonaparte, co­man­dante del­l’ar­mata francese in Italia, e da François Cacault (1742-1805), am­basciatore francese a Roma, per la Francia, e da mons. Ales­sandro Mattei, ar­ci­vescovo di Ferrara (1744-1820), da mons. Lo­renzo Ca­leppi (1741-1817), dal nipo­te del Papa duca Luigi Bra­schi Onesti (1745-1816) e dal marchese Camillo Massimo (1730-1801), ple­ni­po­ten­­zia­ri del Pon­te­fice Pio VI (1775-1799). Il trattato è com­posto di venticinque ar­ti­coli: i pri­­mi cinque ri­guardano i rapporti fra Ro­ma e Parigi, per cui la prima non doveva sostenere le po­tenze eu­ropee in guerra contro la Fran­cia, doveva aprire i porti del­lo Stato alle navi fran­cesi e doveva scio­­gliere l’e­sercito. Gli ar­ti­coli dal 6 al 9 stabi­li­scono la perdita da par­te del Pa­pa dei territori di Avi­gnone, in Francia, e del­le Le­gazioni di Bo­­­lo­­gna, di Fer­rara e della Ro­magna, già oc­cu­pate dai francesi nel giu­­­gno del 1796. Gli ar­ti­co­li dal 10 al 13 ri­guardano invece le contri­bu­zioni dovute dal go­verno pon­tificio alla Francia: quindici milioni di li­­re tornesi — dieci in contanti, cinque in dia­manti — per estinguere quanto il Papa doveva in base al­l’ar­mi­stizio di Bologna; a essi si aggiun­ge­vano altri quindici mi­lioni della stessa moneta da versare entro l’aprile del 1797; ottocento ca­val­li da guerra e ottocento da tiro, buoi, bufali e og­getti non pre­ci­sa­ti; infine, si conferma l’articolo 8 dell’armistizio di Bo­­lo­­gna rela­tivo ai ma­noscritti e agli oggetti d’arte. Gli altri arti­coli fis­­sano sia i tempi dell’evacuazione dei francesi dalle Marche in re­­­la­­zio­ne ai pa­ga­menti stabiliti, sia altri aspetti parti­colari dei rap­­­por­­ti tra Francia e Stato pontificio. L’importanza del trattato di To­len­­tino consiste soprattutto nel costituire il modello per le requi­si­­­zio­­ni artistiche im­poste nelle successive conquiste.

5. I limiti del Trattato

Nel trattato non si fa riferimento a questioni religiose. Sarebbe improprio dedurne un atteggiamento meno ideologico da parte di Bonaparte rispetto a quello del Diret­torio, il quale più volte in­vi­ta il generale a conquistare Roma. Ecco un saggio delle lette­re che al generale proveni­vano da Pa­rigi: «[…] nel portare atten­zio­ne su tutti gli ostacoli che si oppon­gono all’affermazione del­la Costituzione francese, il Di­rettorio ha compreso che il culto ro­mano è quello di cui i ne­mici della li­bertà possono fare fra qual­che tempo l’uso più dan­noso […] la re­ligione romana sarà sem­pre la nemica incon­ci­liabile della Re­pubblica»; quindi, per affer­mare la repubblica, era neces­sario «distruggere […], se è pos­si­bi­le, il centro di unità della Chiesa ro­mana; ed è a voi, che avete saputo riunire fino a oggi le qua­lità più distinte del ge­ne­rale e quelle del politico preclaro, re­a­liz­zare questo voto, se lo giudi­cate attuabile»: o ponendo Roma sotto un’altra potenza o, pre­fe­ribilmente, stabi­lendo un nuovo go­verno e costringendo il Papa all’esilio. Bonaparte però sa di non a­vere uomini sufficienti per l’im­presa, teme le insor­genze, che infatti si verificano in feb­braio nelle Marche, ritie­ne possibile una riconquista imperiale di Man­tova. Per questo il trattato doveva essere firmato rapi­da­men­te, senza le lunghe di­scussioni che le questioni religiose, inac­cet­tabili per il Papa, pote­vano suscitare. Come spiega al gover­no parigino, Bo­naparte riesce a ottenere il massimo possibile e so­prattutto a in­debolire Roma — privata di Bologna, di Ferrara, delle Romagne e di An­cona e depau­perata dalle richieste del Trattato —, in mo­do tale che sarebbe stato possibile in seguito la conquista.

6. La «veloce ed opulenta rapina»

Commentando il trattato di Tolentino lo scrittore lombardo, di for­mazione illumi­nistica, Alessandro Verri (­1741-1816) — fratello del più noto fratello Pietro (1728-1797) —, scrive che esso diede il via a una «veloce ed opulenta rapina». Alla fi­ne di luglio del 1796 i commissari francesi incaricati di se­le­zio­nare le opere d’arte e i manoscritti in base all’armistizio di Bo­lo­gna giungono a Roma; la commissione era presieduta dal ma­te­matico Gaspar Mon­ge (1746-1818). Interrotte le operazioni a partire dal settembre del 1796, i commissari tornano nella ca­pi­ta­le della cristianità all’indo­mani del trattato di Tolentino. A capo della cleptocrazia rivolu­zio­naria era la compagnia dell’ex banchiere svizzero Rudolf Emmanuel von Haller (1747-1833) — zio del famoso studioso e polemista contro-rivoluzionario Karl Ludwig (1768-1854) — in­ca­ri­cata dei finanziamenti del­l’ar­mata d’Italia, intorno alla quale si dà vi­ta a una note­vole specu­la­zione. Non mancano azioni di pro­testa e di resi­stenza all’attività dei commissari francesi a Roma di se­le­zione e di invio in Francia delle opere d’arte. Alcuni in­tel­lettuali, pur con­trari al governo pontificio, realizzano una mis­sione a Pa­rigi in difesa del patrimonio artistico italiano; ben cin­quanta ar­ti­sti fran­cesi scrivono una petizione al Direttorio contro la spo­lia­zione di Roma e dell’Italia. Anche la po­polazione ma­ni­festa ir­ri­tazione per l’asportazione di opere d’arte unanimemente amate e am­mirate, come l’Apollo del Belvedere, che viene so­sti­tuito dalla statua Meditazione da Antonio Canova (1757-1822), ribat­tez­zata dai romani Consolazione. L’ambasciatore francese a Roma Ca­cault così rappresentava al ministro degli Esteri Charles Dela­croix (1741-1805) il sen­timento dei romani a motivo della par­tenza delle opere d’arte: «[…] porterà grande angustia nei cuori del popolo di Roma, e di tutta l’Italia, dove ognuno è gran­de­mente attaccato a questi monu­menti». Lo stesso governo pon­ti­fi­cio, che collabora con i commis­sari, li deve difendere da attentati da parte di ele­menti del popolo. Si ricordano manifestazioni an­che ag­gressive contro i francesi da parte di popolani trasteverini a causa delle re­quisizioni artisti­che. Importanti codici rimangono a Ro­ma gra­zie al nascondi­mento da parte di archivisti. L’ultimo con­voglio carico di opere d’arte e di manoscritti parte da Roma per Parigi il 4 luglio 1797. Fra i mo­tivi delle insorgenze italiane — le solle­vazioni po­po­lari contro l’occupazione francese e le re­pubbliche giacobine che im­ponevano modelli politici estranei al­la tradi­zio­nale vita civile e religiosa dei popoli della penisola — non va trascurata la difesa del patrimonio artistico preda dei ri­volu­zio­nari invasori. Il 15 febbraio 1798 l’eser­cito francese, co­mandato da Louis Alexandre Berthier (1753-1815), che era fra l’altro te­so­rie­re della spedizione d’In­ghil­terra, occupa Roma e vi pro­cla­ma la Repubblica; il Papa la­scia la città il 20 febbraio e muore esule a Valence in Francia il 29 agosto 1799. A un anno dal trattato di To­lentino i progetti di conquista del Diret­torio si realizzano: il dre­naggio fi­nanziario coinvolge tutte le terre dello Stato pon­ti­fi­cio tra­sfor­ma­to in Repubblica Romana. Nu­merosi carri carichi di o­pere d’arte ricominciano ad affluire a Parigi da Roma nel 1798.

Sandro Petrucci (1959-2017)
23 ottobre 2018

 

Per approfondire: Marco Albera. «Napoleone e la nascita del Louvre», in Cristianità, anno XXV, n. 261-262, gennaio-febbraio 1997, pp. 11-14; Giustino Filippone, Le relazioni tra lo Stato pontificio e la Francia rivoluzionaria. Storia diplomatica del trat­tato di Tolentino, 2 voll., Giuffrè, Milano 1961-1967; Sandro Pe­trucci, Insorgenti marchigiani. Il trattato di Tolentino e i moti an­ti­francesi del 1797, SICO, Macerata 1996; Idem, Qua­der­ni del Bi­cen­te­nario. Pubblicazione periodica per il Bicentenario del trat­tato di Tolentino (19 febbraio 1797), a cura del comune di To­len­tino, Pol­lenza (Macerata), nn. 1-3, 1995-1997; e Paul Wescher (1896-1974), I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre, trad. it., Einaudi, Torino 1988.

 

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