Per la Commissaria dell’Unione Europea all’Uguaglianza, Helena Dalli, il documento sulle linee guida che mettevano al bando il Natale, colpevole di veicolare una comunicazione non inclusiva, non era maturo. Ma il dubbio rimane: non era maturo il documento o i tempi (cioè i destinatari)?
di Domenico Airoma
La vicenda è ampiamente nota e vede ancora una volta il Natale sul banco degli imputati. Che la festa simbolo della Cristianità non vada proprio giù a Bruxelles è cosa risaputa e, peraltro, certificata dal rifiuto di menzionare le radici cristiane nel Trattato Costituzionale dell’Unione Europea. Questa volta, però, si voleva fare un passo in “avanti” assai significativo: passare dalla cancellazione della storia alla cancellazione della cultura, o almeno di quel che residua della cultura cristiana nelle feste e negli stessi nomi delle persone. Così come la Rivoluzione culturale del ’68 ha aggredito quel che rimaneva della morale naturale nel vissuto, ovvero nel costume, oggi si mira a sradicare le ultime vestigia di una fede che si è misurata con la storia, alla scuola di un Dio che si è fatto uomo inserendo il tempo degli uomini nei ritmi dell’eternità di Dio. E per farlo, non rimaneva che un solo modo: cancellare tutto ciò che ne evoca il ricordo, anzi ne rappresenta il riconoscimento sociale, come la festa.
Non è un caso se ogni totalitarismo ha cercato di manipolare il tempo, cancellando non solo il Natale, ma ponendosi esso stesso come nuovo inizio, come un grande reset del mondo e dell’uomo, introducendo feste nuove, fallaci caricature di finestre non più aperte sul sacro.
Abolire il Natale, bandirne la stessa parola dal linguaggio corrente sembrerebbe, dunque, un anacronismo, qualcosa che è stato proprio del tempo dei regimi totalitari del secolo scorso. L’anacronismo c’è, ma i termini del contrasto vanno, verosimilmente, rovesciati. Non è Helena Dalli ad essere fuori dal tempo che stiamo vivendo; lo è, piuttosto, la reazione che ha causato il suo documento. Quel che è fuori dal tempo è, in effetti, quel che significa il Natale, e cioè la festa di un Dio che si è fatto carne per salvare la sua creatura. Non c’è bisogno, infatti, di un Dio così nel nostro mondo, nella nostra modernità, fondata sull’idea esattamente antitetica: quella, cioè, di un Uomo che è chiamato a prendere il posto di Dio. Un mondo in cui è l’uomo che riscrive, assieme ai codici, le leggi della natura; stabilendo cosa è famiglia, cosa è sessualità, cosa è vita e cosa è morte, quando va fatta iniziare l’una e quando va somministrata la seconda. Un mondo in cui è l’uomo che pretende di salvare sé stesso, che non ha bisogno di altro né di un Altro.
E la Commissaria all’Uguaglianza pensava, a ragione, che i tempi fossero maturi per decretare che di una festa che ci ricorda proprio questo non se ne avvertisse più il bisogno. Se, infatti, gli uomini vivono senza Dio, anzi contro Dio e la sua legge, perché festeggiare ancora il Suo avvento nel tempo degli uomini? Del tutto imprevista e inaspettata -perché, appunto, non in sintonia con i tempi- è stata, dunque, la reazione alle linee guida di Bruxelles, che ha indotto Helena Dalli a fare un passo indietro. Il documento non era maturo, si è detto. Più verosimilmentem, non lo sono ancora i destinatari, che restano attaccati, quasi come naufraghi inconsapevoli, ad un ramo staccatosi da un albero oramai scomparso dall’orizzonte.
Qualcuno ha già ammonito in passato sulla necessità, per chi intenda costruire l’uomo nuovo, di fare talora un passo indietro per farne due avanti. E, forse, la pensano allo stesso modo anche a Bruxelles.
Il problema, però, è cosa pensano di fare coloro che sono chiamati ad incarnare la fede nella vita, a celebrare, cioè, il Natale ogni giorno. E non basta ridicolizzare chi il senso del ridicolo non ha, incapaci, come sono i tecnocrati di Bruxelles, di osservare sé stessi e il reale per come sono fatti. Occorre prendere atto che il tempo ci pone, ancora una volta, dinanzi ad un bivio: o provare a dare consapevolezza ad una reazione, allo stato solo emotiva, con tutte le conseguenze antropologiche di una radicale inversione di rotta, oppure rinchiudersi in una dimensione da minoranza, confinatasi nel perimetro suicidario della riserva indiana.
Sta, in definitiva, a noi decidere se operare perché maturino le condizioni per una nuova Cristianità, di cui il Natale è indelebile manifesto, o rassegnarci a diventare maturi per l’ennesimo esperimento di ingegneria sociale, per il quale il Natale non ha alcun senso.
Sabato, 11 dicembre 2021