La morte dell’ultimo segretario generale del PCUS (Partito Comunista dell’Unione Sovietica) è stata celebrata in Occidente molto più che non nella sua patria russa. Le ragioni del deliberato strabismo ideologico della sinistra europea e mondiale a confronto con il risentimento del rinnovato imperialismo russo
di Renato Veneruso
Il Codice civile italiano prevede che quando una società commerciale non è in grado di perseguire il suo scopo deve essere sciolta e affida il compito dei relativi adempimenti ad un liquidatore. Questi, se i fondi disponibili per il pagamento dei creditori sociali non sono sufficienti, li deve chiedere ai soci.
Mikhail Sergeevic Gorbacev, scomparso all’età di 91 anni pochi giorni fa, è stato, appunto, il liquidatore dell’impero ideocratico socialcomunista, rappresentato dall’URSS – Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Nominato segretario generale del “Partito–Stato” nel 1985, a soli 54 anni, nel prendere atto dell’impossibilità di proseguire la guida del comunismo mondiale a causa del fallimento economico, ma prima ancora civile e morale dell’URSS, si sforza di avviare un processo di ‘trasparenza’ (la “glasnost”) e di ‘ristrutturazione’ (la “perestrojka”), volto a consentire un passaggio graduale ad una conformazione politica che potesse salvare il salvabile dell’esperimento comunista, salvo, invece, accelerarne la dissoluzione dall’interno, con la finale implosione della struttura statuale sovietica, simboleggiata dalla bandiera rossa ammainata dal pinnacolo del Cremlino il giorno di Natale del 1991.
Eppure, appena l’anno prima, nel 1990, egli era stato insignito del premio Nobel per la pace, segnatamente per avere consentito senza spargimento di sangue ed in modo addirittura indolore il crollo del Muro di Berlino (9 novembre 1989) e l’apertura dei Paesi dell’Est Europa, fino a quel momento rigidamente privati dal giogo socialcomunista di Mosca di qualsiasi libertà ed indipendenza, all’opportunità di una reale democrazia.
A ben vedere, è proprio tale sua condotta liquidatoria ad essere l’origine del giudizio “ancipite”, per certi aspetti addirittura del tutto opposto e contrastante, sull’operato di Gorbacev. Tra i suoi concittadini russi prevale una risentita indifferenza (esemplificata dall’assenza di Vladimir Putin ai suoi funerali). La caduta del sistema sovietico è – non a caso – giudicata dall’attuale Presidente della Federazione russa come la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo. Qui da noi, al contrario, si sono sprecati i peana per tale nobile esempio di socialdemocrazia pacifista, che ha risparmiato al vittorioso blocco dell’Ovest di donare il proprio prezioso sangue per vincere la cd. ‘guerra fredda’.
Orbene, aldilà della pelosa rinnovazione da parte delle sinistre occidentali della lettura ideologica di Gorbacev quale ultimo campione del “comunismo dal volto umano”, una formula inventata per non fare i conti con il fallimento antropologico dell’ideologia comunista, in Occidente non si è forse compreso che è stato proprio questo espediente ad aver favorito l’attuale disastro geopolitico.
In altri termini, il non avere presentato il conto della tragica esperienza del socialcomunismo sovietico, costato la vita ad oltre 90 milioni di persone (secondo le più prudenti stime statistiche), ha fatto sì che, ad Ovest, i ‘soci’ abbiano potuto continuare a dare fiato all’ideologia comunista, trasformata in ‘radicalismo’ di massa; ad Oriente – ed è quel che più oggi si rileva, a causa dell’aggressione russa all’Ucraina – ha risuscitato il tradizionale imperialismo russo, panslavista e messianico – “Mosca terza Roma” -, che ora riafferma la sua asserita missione apocalittica di ‘purificare’ la terra dalla “corruzione” occidentale.
Pessimo liquidatore, dunque. Del genere di quelli che, per preservare ciò che resta del patrimonio societario, espongono tutti, sia i creditori (di verità politica) che i soci stessi (gli artefici dell’esperimento fallito), alla ancor più dannosa prosecuzione dell’attività.
Giovedì, 8 settembre 2022