Abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti, non che ci uccida. Considerazioni attorno al sacrificio di Indi Gregory
di Chiara Mantovani
Abbiamo bisogno di mantelli.
Inizio a scrivere mentre le notizie che arrivano dall’Inghilterra dicono che dopo l’ultima sentenza – che fissava a lunedì la data dell’interruzione di ogni trattamento – c’è stata un’accelerazione e da poco più di un’ora Indi Gregory non ha più supporti respiratori. Ma respira ancora.
In questi giorni abbiamo ascoltato tante voci e raccolto notizie di cronaca, non cliniche. Perciò è possibile fare solo alcune considerazioni generali ma non generiche, auspicando che nessuno – né bollettini medici, né media – abbia mentito volutamente. Impossibile però non sottolineare che il clima culturale è, ancora una volta, indirizzato ad una ‘falsa pietà’, quella che spaccia per miglior vantaggio del paziente (best interest, nel linguaggio anglosassone, divenuto l’esperanto della medicina e di molta giurisprudenza) quello di morire.
Indi ha una malattia causata da una mutazione genetica: denominazione incomprensibile e impronunciabile per i più [aciduria combinata D,L-2-idrossiglutarica], nessuna terapia conosciuta in grado di ‘aggiustare’ il difetto e dunque di guarire. I sintomi sono in lei gravissimi, fino a configurare l’incompatibilità con una vita lunga. Anzi, vita prevedibilmente brevissima. Probabilmente già giunta quasi alla fine.
In questo ‘quasi’, breve o prolungato che sia, sta tutta la differenza tra un comportamento a misura della dignità umana e uno a misura delle mentalità eutanasiche. Al plurale, sì, perché ce ne sono davvero di tutti i tipi e gradazioni.
L’aiuto offerto (e per l’ennesima volta non accolto dai giudici inglesi) dall’ospedale Bambin Gesù di Roma non è fondato su una disistima dei colleghi, su un dubbio diagnostico, e nemmeno su una prognosi, che è certamente infausta per ciò che riguarda l’aspettativa terapeutica. L’accoglienza a Roma – è stato benissimo esplicitato dalla direzione sanitaria ospedaliera come dalle dichiarazioni del Governo italiano, che ha concesso senza esitazioni la cittadinanza italiana – è solo il gesto di chi rispetta e con-patisce, si offre di accompagnare una famiglia sofferente, di chi non scarta nemmeno un attimo del tempo concesso, perché non c’è nulla che diminuisce la dignità. Nessuna malattia deve diventare una sentenza di morte, oltretutto da comminare attivamente.
Se ci sono – e talvolta ci sono – ostacoli burocratici ed economici che mettono in pericolo la vita umana, l’ospedale dei Papi è a disposizione di tutti i bambini del mondo per rimuoverli. Non è un modo di dire. Lo è stato – inutilmente – per Charlie e per Alfie, e vantaggiosamente per decine di migliaia di altri bimbi.
Si è sentito parlare di accanimento, che dovrebbe essere dismesso; e si ripete il ritornello che aiutare a respirare, a ricevere idratazione quando se ne ha bisogno e un po’ di zuccheri sarebbe sproporzionato. A che cosa? Ad una situazione clinica specifica, hic et nunc, o ad una dignità che si considera perduta? Oppure costa troppo? O forse ci evidenzia con efficace crudezza una fragilità costitutiva della natura umana?
Un ‘accanimento’ l’ho visto anch’io: in chi tenacemente, sistematicamente, ideologicamente preferisce invocare la morte come rimedio. Incredibile pensare che sia disprezzato l’atto di dire “ecco, appoggia qui il tuo dolore, solleverò la tua sofferenza con competenza e amore, non toglierò tempo alla tua vita né aggiungerò dolore al tuo patire”. Quale deriva è stata ormai imboccata, se ogni tanto sappiamo di qualche genitore che tenta di opporsi al giudizio dei tribunali pur di assistere i propri figli? E per qualcuno di cui veniamo a conoscenza, quanti altri stanchi e affranti non hanno la forza nemmeno per tentare la resistenza? Quanti futuri distopici diventano realtà inavvertite, sotto il peso del pensiero ciecamente dominante?
L’11 novembre è san Martino di Tours: era un soldato, un pragmatico catecumeno nato da genitori pagani. Divise a metà il suo mantello, il suo ‘pallio’, con la spada. Ma il povero che ne venne ricoperto era Cristo stesso, che gli insegnò a ‘coprire’ di carità tutti i bisognosi, e di lui ne fece un vescovo. Abbiamo bisogno di essere coperti da cure palliative, da atti di servizio. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti, non che ci uccida.
Domenica, 12 novembre 2023