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È suonata “l’ora della Russia”?

21 Dicembre 2013 - Autore: Alleanza Cattolica

Giovanni Cantoni, Cristianità n. 57 (1980)

Dopo l’invasione sovietica in Afghanistan emerge ancora più chiaramente il vero dilemma attorno a cui ruota la odierna politica internazionale: gli Stati Uniti d’America sapranno e vorranno reagire di fronte alla esplicita aggressività sovietica?

Se l’accelerazione del tempo concede raramente la possibilità di meditare in occasione della fine e dell’inizio di ogni anno, non mi voglio lasciare sfuggire, almeno, l’occasione di svolgere qualche considerazione relativa all’inizio del decennio, degli anni Ottanta da poco cominciati.

Queste considerazioni sono sollecitate, tra l’altro, se non principalmente, da avvenimenti di pubblico dominio e di universale notorietà, che segnano in modo lugubre il periodo da poco iniziato.

La Russia, infatti, ha concluso – licenziato, quasi – gli anni Settanta e ha inaugurato gli anni Ottanta, invadendo brutalmente e apertamente l’Afghanistan, producendosi cioè in una mossa ben nota a ogni italiano fin dai primi anni di scuola e consistente nel rispondere manu militari al “grido di dolore” lanciato da presunti oppressi, da vittime di qualche ipotetica tirannia.

Noto en passant che si tratta, nel caso, di una tirannia reale, ma dalla stessa Russia a suo tempo promossa e instaurata, e constato come gli stessi osservatori, solitamente benevoli nei confronti dei potenti, siano rimasti colpiti dal salto di qualità costituito dal diretto intervento sovietico, dopo anni di interventi indiretti attraverso gli eserciti regolari dei paesi satelliti e attraverso bande armate provenienti dagli stessi paesi.

Dunque, nel cuore del continente asiatico si è aperto un nuovo focolaio di guerra e di frizione internazionale, che si affianca a quello, già purulento, costituito dall’Iran e che sta al centro tra il martoriato Sud-est – dove languono Cambogia e Vietnam, per tacere dell’agonia di Formosa – e l’esplosivo Medio Oriente, illuminato dall’eroismo dei cristiani maroniti.

Nel cuore del continente asiatico, ancora, si è piantato direttamente il ferro di Mosca e tutto il mondo ha guardato e guarda a questo episodio, non perché frema dal desiderio di “morire per Kabul”, ma perché la gravità di tale gesto è quasi certamente foriera di tempeste di imprevedibile portata.

Anche chi non sa o non vuole cogliere il carattere aggressivo della corruzione culturale, morale e sociale, promossa e diffusa dalla Russia in tutto il mondo; anche chi non valuta nella sua giusta proporzione il danno che la economia collettivistica produce sulla condizione economica del mondo intero; anche chi finge di ignorare la marca delle armi di cui si servono le brigate cubane e quelle rosse di casa nostra; anche chi si sgrava la coscienza pensando che il dissenso nei paesi oltre la cortina di ferro sia espressione di pochi “intellettuali” e “poeti” mai contenti; anche chi non ha osservato con la dovuta attenzione i grafici che descrivono i rapporti di forza tra la Nato e il Patto di Varsavia, non ha potuto fare a meno di avvertire il peso e la portata del colpo sferrato emblematicamente proprio sulla soglia degli anni Ottanta.

E, d’altro canto, non ha potuto non volgersi a valutare la esiguità e la piccolezza, assolutamente sproporzionate, della reazione di chi – secondo la storia e il luogo comune – dovrebbe essere l’antagonista della Russia medesima, e cioè degli Stati Uniti d’America.

Le osservazioni precedenti non intendono costituire una premessa a deduzioni di politica internazionale, ma vogliono essere semplici richiami a una problematica nello stesso tempo più elementare e più profonda, e attirare l’attenzione anche sull’Europa, pur senza distogliere gli sguardi da tutti i punti dolenti dell’orbe terracqueo e, in particolare, dalla ferita di recente aperta.

A tale scopo mi servirò di quella che oggi si potrebbe quasi definire una “profezia” quanto meno nel senso corrente del termine.

Il 30 gennaio 1850 – e quindi centrotrent’anni fa -, Juan Donoso Cortés, marchese di Valdegamas, pronunciava un discorso alle Cortes spagnole, in cui tra l’altro diceva: “Non si creda […] che io pensi che l’Europa non abbia nulla da temere dalla Russia; anzi, credo tutto il contrario. Ma perché la Russia accetti una guerra generale, perché si impadronisca dell’Europa, è necessario che prima si realizzino i tre avvenimenti che vi dirò, e che, signori, ponetevelo bene in mente, sono non soltanto possibili, ma probabili.

“È necessario: primo, che la rivoluzione, dopo aver distrutta la società, distrugga gli eserciti permanenti. Secondo, che il socialismo, spogliando i proprietari, uccida il patriottismo, perché un proprietario spogliato non è più patriota, non può esserlo, e quando la questione viene posta in questi termini estremi e angosciosi non può esserci patriottismo nell’uomo. Terzo, che si compia la potente unione di tutti i popoli slavi sotto l’influenza ed il protettorato della Russia […] Ebbene, quando in Europa non ci saranno più eserciti permanenti, distrutti dalla rivoluzione, quando in Europa non ci sarà più patriottismo, spento dalle rivoluzioni socialiste, quando nell’oriente d’Europa si sarà formata la grande confederazione dei popoli slavi, quando in Occidente non ci saranno più che due grandi eserciti, l’esercito degli spogliati e quello degli spogliatori, allora, signori, suonerà all’orologio dei tempi l’ora della Russia. Allora la Russia potrà passeggiare tranquilla, e con le armi al braccio, per la nostra patria. Allora, signori, il mondo assisterà al più grande castigo di cui sia memoria nella storia, il castigo dell’Inghilterra. A niente le serviranno le sue navi contro l’impero colossale che con un braccio afferrerà l’Europa e con l’altro l’India […]. Ebbene, quando la Russia si troverà in mezzo all’Europa conquistata e prosternata ai suoi piedi, essa stessa assorbirà attraverso tutte le vene la civiltà che questa ha bevuto e che l’uccide. La Russia non tarderà a cadere in putrefazione, e allora non so quale universale cauterio Dio avrà preparato per quell’universale dissolvimento.

“Contro ciò, signori, non c’è che un rimedio, uno solo: il nodo dell’avvenire è nell’Inghilterra. […] Che cosa deve fare l’Inghilterra per impedire la conquista inevitabile di tutta l’Europa da parte della Russia? Cosa deve fare?

“È necessario che eviti ciò che la perderebbe: e cioè la dissoluzione degli eserciti permanenti per mezzo della rivoluzione; la spogliazione dei proprietari in Europa per mezzo del socialismo, vale a dire, avere una politica estera monarchica e conservatrice, e pure questo non sarebbe che un palliativo. L’Inghilterra, monarchica e conservatrice, può impedire la dissoluzione della società europea, ma fino a un certo punto e fino a un certo tempo: perché l’Inghilterra non è abbastanza potente, non è abbastanza forte per distruggere, come è necessario, la forza dissolvente delle dottrine propagate nel mondo. Perché al palliativo si aggiungesse il rimedio, sarebbe necessario che l’Inghilterra, già conservatrice e monarchica, divenisse cattolica. Io affermo questo, signori, perché il rimedio radicale contro la rivoluzione e il socialismo non è che il cattolicesimo, perché questo è l’unica dottrina che sia la contraddizione assoluta di quell’altra. Che cosa è il cattolicesimo? Sapienza e umiltà. Che cosa è il socialismo? Orgoglio e barbarie. Il socialismo, signori, è come quel re babilonese, re e bestia a un tempo” (1).

È forse necessario suggerire di tradurre “Inghilterra” con Stati Uniti d’America? Comunque, che cosa aggiungere circa la probabile e possibile “ora della Russia“, e quindi dell’Europa, dal momento che, sotto i nostri occhi, sono verificabili come realizzate le premesse di tali catastrofiche conseguenze?

Ancora: come non rendersi conto della sorprendente consonanza tra la lucida previsione del pensatore cattolico contro-rivoluzionario del secolo scorso e il messaggio della Madonna a Fatima? (2).

Si dice che il momento più buio della notte sia anche quello più prossimo all’alba. Con questa certezza, mentre assistiamo alla generale irruzione del comunismo nel mondo intero e a essa ci opponiamo con tutte le forze di cui disponiamo, possiamo attendere con ferma speranza il finale trionfo del Cuore Immacolato di Maria.

Giovanni Cantoni

 

 

Note:

(1) JUAN DONOSO CORTÉS, Discorso sull’Europa del 30-1-1850, in IDEM, Il potere cristiano; trad. it., Morcelliana, Brescia 1964, pp. 96-98.

(2) Cfr. ANTONIO AUGUSTO BORELLI MACHADO, Le apparizioni e il messaggio di Fatima. Secondo i manoscritti di suor Lucia, trad it., 2ª ed., Cristianità, Piacenza 1979, e passim.

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