Continuano le interviste a vescovi italiani di fronte alla diffusione del coronavirus. Pubblichiamo le risposte del vescovo di Bergamo, mons. Francesco Beschi, raccolte dal giornalista polacco Włodzimierz Rędzioch
D. La Lombardia e particolarmente la diocesi di Bergamo sono state colpite in modo particolarmente violento dall’epidemia. Lei come pastore doveva prendere decisioni drastiche e in un certo senso impopolari. Come ha spiegato alla gente che bisognava chiudere le chiese, rinunciare alle celebrazioni di sacramenti, rinunciare alla tradizionale vita comunitaria?
R. La responsabilità dell’obbedienza alle leggi di ordine pubblico è un servizio al bene comune. Le chiese non sono mai state chiuse da noi, solo non si celebra con il popolo. Le Messe non si sono mai fermate, solamente il prete celebra da solo senza la gente. E’ stato chiesto alle comunità in Quaresima un digiuno che non avremmo mai pensato, quello dall’Eucaristia, ma come si dice di una persona che ami e che per un po’ di tempo non puoi vedere, l’assenza è doppia presenza. Forse stiamo cogliendo di più il valore di un dono che troppo spesso abbiamo dato per scontato e ritenuto un diritto. E in più capiamo che Dio non segue la logica social dei followers: la Messa non è che vale di più se ha tanta gente e non ha effetto se non c’è nessuno. Quando un prete celebra da solo, non vuole dire che non ci sono i fedeli. Celebra comunque con loro e per loro. Di solito siamo noi che andiamo da Dio, che bello pensare che proprio in questo momento è Dio che viene da noi. Tu sei a casa e pensi che il tuo prete, da solo, davanti a Dio, sta pensando a te.
D. Che cosa dice ai fedeli laici in questo momento così particolare?
R. In questo momento c’è un grandissimo bisogno di vicinanza. L’urgenza ha fatto scattare una solidarietà generosamente impressionante. La solidarietà ha poi fatto nascere il senso di prossimità. Chi è malato attende innanzitutto la vicinanza di chi lo può curare e sto vedendo una generosità enorme da parte di medici, infermieri, operatori di diverso tipo, maestranze. Ho riconsegnato alla comunità cristiana due doni che appartengono alla tradizione e alla dottrina della chiesa.
Il primo è il “votum sacramenti” cioè la confessione di desiderio: nel momento dell’impossibilità di accedere al sacramento, un fedele, profondamente pentito dei suoi peccati può rivolgere al Signore la sua richiesta di perdono con una preghiera di pentimento, promettendo di vivere poi il sacramento appena possibile e così il Signore lo perdona.
Ho poi ricordato e indicato a tutta la diocesi il grande dono che ha ogni cristiano per grazia del Battesimo di essere portatore di benedizione: un padre può benedire i suoi figli, una madre può benedire i suoi cari, i nonni possono benedire i loro nipoti, ma è importante soprattutto nel caso della sofferenza che anche i figli e i nipoti possano benedire i loro cari. E l’ho chiesto con delicatezza e rispetto anche a medici e infermieri: spessissimo in questi giorni nelle corsie vedono morire gente da sola, se percepissero un desiderio sarebbe un dono prezioso che le loro mani potessero offrire anche la benedizione del Signore. I sacerdoti nelle parrocchie cercano di avvicinare i malati ma il problema non è che non ci si può muovere. Inoltre c’è la preoccupazione del contagio: non tanto e solo del sacerdote per sé, quanto piuttosto di non portare il virus insieme con il Signore Gesù, perché il prete potrebbe essere positivo e asintomatico, come molti, ed è così che il virus si diffonde maggiormente. Quindi serve anche prudenza pastorale.
D. Come doveva cambiare la pastorale nella situazione di isolamento delle persone? Come è cambiata la missione dei sacerdoti?
R. La diocesi conta 400 parrocchie circa e veramente sto vedendo manifestazioni le più disparate, fantasiose, nuove, per promuovere questa vicinanza. Le parrocchie si sono mosse sui social, con celebrazioni in streaming, con proposte di video e di testi in chat. La stessa curia ha del materiale in supporto sul sito www.diocesibg.it e www.oratoribg.it in modo particolare per i ragazzi a casa con proposte specifiche per loro. C’è poi un impegno della diocesi per ospitare in alcune strutture persone che vengono dimesse dagli ospedali e necessitano di quarantena che però non possono vivere nelle loro case perché non hanno spazi adatti, essendo che tutti sono costretti a stare nelle abitazioni, compresi i bambini essendo chiuse scuole e attività. Abbiamo costruito poi anche un servizio telefonico che abbiamo aperto di consolazione spirituale e di supporto psicologico, con una settantina tra sacerdoti, religiosi e religiose, laici tra cui psicologi, per sostenere tutte le persone che in famiglia stanno vivendo particolari situazioni di dolore per la malattia e la morte, ma anche infermieri, medici, coloro che in diverso modo si stanno adoperando donando eroicamente le loro forze. E poi c’è una mail a cui le famiglie possono inviare le loro intenzioni e sono affidate alle monache di clausura per una intercessione continua di tutti i monasteri a cui vengono distribuite. Tutto questo mi sembra vada nella direzione dell’avvertenza e della consapevolezza che Dio, che pure sta nella prova con noi, non ci sta abbandonando.
D. Tra i sacerdoti della sua diocesi tanti si sono ammalati e altri sono morti. Come mai? Questo è il risultato della loro vicinanza ai fedeli?
R. Sul sito della diocesi viene costantemente aggiornato il numero dei sacerdoti defunti per il virus e molti sono ricoverati, di cui alcuni sono gravi. Anche questo è segno di profonda dedizione. A conforto, devo dire anche che sessanta sacerdoti sono migliorati notevolmente e altri sono già usciti dall’ospedale. Questo è un segno che ci conforta molto. Stiamo vivendo questa pena condividendola con quella delle nostre comunità insieme al numero dei contagiati, dei malati e un elevato numero di morti. Non siamo separati dalla nostra comunità nemmeno nel passaggio della morte. Qui, le morti veramente si moltiplicano e per adesso non solo non diminuiscono, ma crescono. Coloro che muoiono sono tanti. Negli ospedali muoiono coloro che sono più gravi, ma molti muoiono nelle loro case e non rientrano nei conteggi ufficiali. Veramente non si sa più dove metterli. Vengono allora utilizzate anche alcune chiese: è un gesto di tenerezza verso persone che muoiono da sole e anche le loro salme rischiano di rimanere accatastate. Che siano in una chiesa è un dono di rispetto e di premura. Tutto questo è accompagnato da sentimenti molto profondi. Mi ha telefonato un sacerdote che ha perso il suo papà, lui è in quarantena, la mamma è in quarantena da sola in un’altra casa. I suoi fratelli sono in quarantena, non si fa alcun funerale, verrà portato al cimitero e verrà sepolto, senza che nessuno possa partecipare a questo momento della pietà umana e cristiana che si rivela adesso così importante perché viene a mancare. Inoltre, quando il malato viene portato via da casa con l’ambulanza e ricoverato tra gli infettivi o in terapia intensiva i familiari non lo vedono più, non lo sentono più, non possono parlargli neanche telefonicamente. Il dolore è immenso.
D. Che consigli dà ai suoi sacerdoti in questo periodo? Devono inventarsi nuove forme di pastorale?
R. Con tutti i miei sacerdoti sono in continuo contatto e faccio giungere loro messaggi di affetto paterno, di vicinanza, di sostegno, di riflessione e di indirizzo comune sul modo di affrontare insieme la situazione. Siamo in tanti, più di 700, e quindi i canali sono diversi, ma ci tengo ad arrivare a tutti. L’essenziale è sempre gratitudine, affetto, sostegno che si fa preghiera e benedizione. Avverto come le nostre Comunità sono vive, in mezzo a tanti limiti, grazie alla loro fede, al loro ministero e alla loro passione pastorale. Sono convinto che le privazioni che stiamo sperimentando, aprano il cuore alla luce e alla forza dello Spirito Santo, che ci introduce a vie nuove, nuove forme, nuove possibilità. Non dobbiamo avere paura o discrezione eccessiva nel condividerle e narrarle tra noi e al mondo. Abbiamo bisogno di stupirci della fantasia dello Spirito e del coraggio e dedizione dei suoi ministri. I preti che sono morti ci spronano ancor più in una dedizione totale al Signore e all’uomo. I nostri fratelli ammalati oltre alla preghiera ci fanno unire ancora di più in un legame familiare e fraterno.
D. Adesso tante persone ammalate soffrono e muoiono lontane dagli affetti familiari, assistiti soltanto dal personale sanitario. Che cosa chiede ai medici ed infermieri che accompagnano gli ammalati?
R. Già nei primi giorni della burrasca, vedendo il loro eroismo e la generosità, mi sono sentito di chiedere tramite le istituzioni di far giungere un messaggio su tutti i cellulari dei medici e degli infermieri, operatori sanitari e di tutti coloro che si adoperano nella gestione dell’urgenza, come forze dell’ordine o amministrativi delle istituzioni: “L’ammirazione e la riconoscenza per tutti voi mi commuovono e mi spronano nel mio servizio. Diventano Benedizione e preghiera quotidiana per ciascuno di voi e i vostri cari. Maria, interceda per voi”. Sono poi in contatto con il Prefetto e le autorità civili, militari, sanitarie. E la stessa Bergamo intera lo riconosce: basta vedere gli striscioni con il “grazie” fuori dagli ospedali, o i post sui social. Questo fa onore ai bergamaschi. Voglio ricordare però anche le forze dell’ordine e il personale amministrativo, e tutte le persone che nel silenzio e nell’anonimato stanno garantendo i servizi indispensabili in questi giorni.
D. In questa situazione di grande crisi, si può pensare al futuro?
R. Abbiamo attraversato molte crisi. La crisi economica e finanziaria non è stata uno scherzo. La crisi ambientale non è uno scherzo. C’è anche una crisi ecclesiale. Molte volte abbiamo detto: non sarà più come prima, dobbiamo imparare dagli errori, non dobbiamo ripeterli. La domanda è: siamo pronti a imparare? Le famiglie faranno i conti con le perdite, i posti vuoti. La risposta non l’ho ancora. Due sono gli elementi decisivi: la condivisione solidale, necessaria per venirne fuori; e l’esercizio di una responsabilità personale. Se riusciremo a crescere, almeno sarà venuto un frutto da questa vicenda terribile.
Mercoledì, 15 aprile 2020