di Domenico Airoma
Fra gli effetti collaterali della crisi economica post pandemia, ecco spuntare gli antiproibizionisti con la loro ricetta per risollevare l’economia italiana. Prendendo spunto da una isolata pronuncia della Corte di Cassazione che ha ritenuto non punibile la coltivazione per uso personale della cannabys sul balcone di casa (trattata al pari della piantina di basilico e senza preoccuparsi, fra l’altro, dell’età degli eventuali consumatori, così destinati a diventare assuntori in erba), i radicali hanno pensato bene di rilanciare: perché allora non legalizzare non il vaso ma le piantagioni? Assieme ai promotori della campagna #iocoltivo, sono scesi in piazza per sollecitare il governo a “fare il passo necessario verso un’opportunità imperdibile” che garantirebbe “nuovi posti di lavoro, milioni di euro nelle casse dello stato, libertà e sicurezza”. Insomma, se non ora, quando?
Mai, è la risposta.
Anche perché se loro coltivano, sta agli altri –famiglie in primis- raccogliere i frutti avvelenati. Mi limito ad alcune considerazioni di evidenza lapalissiana.
E’ vero che le cifre sull’andamento dei contagi e dei decessi da Covid-19 hanno, giustamente, occupato le pagine dei giornali di questi mesi, ma questa non è una buona ragione per dimenticare i dati sui ricoveri da consumo di droghe, soprattutto di quelle cosiddette leggere, negli ultimi anni, che hanno portato il nostro Paese ai primi posti in Europa ( basti ricordare che nel 2018 si è registrato un aumento del 20% dei ricoveri e dei decessi da consumo di cannabys, come riferito nella Relazione al Parlamento del Dipartimento per le Politiche antidroga della Presidenza del Consiglio). Dunque, se ai posti di lavoro, aggiungiamo i posti letto occupati dai consumatori del prodotto delle coltivazioni, il conto non torna; e non solo per il prodotto interno lordo.
Ai milioni di euro nelle casse dello Stato (fatti sulla pelle di migliaia di giovani), vanno, poi, aggiunti i miliardi che entrerebbero nelle tasche dei trafficanti, ben lieti di vedere crescere una domanda già in aumento e che lo Stato non potrebbe ovviamente soddisfare, se non vuole legalizzare anche le mafie che organizzano la grande distribuzione.
E finiamo con il richiamo alla sicurezza e alla libertà. Il primo è quasi grottesco nel suo tentativo di volgere un argomento “salviniano” ad usum dei droghieri: basterebbe solo pensare agli incidenti stradali mortali causati dall’uso delle droghe. L’appello alla libertà è, infine, emblematico dell’ipocrisia del politicamente corretto: è come se un venditore di bombe a mano chiamasse in causa le libere scelte fatte dall’utilizzatore per esonerarsi da ogni responsabilità sull’uso dell’ordigno. Più che “#iocoltivo”, sarebbe allora più realistico un “#iomenefrego”.
Giovedì, 25 giugno 2020