di Domenico Airoma
Dunque, riassumiamo. Due professori ordinari licenziati in tronco. Altri docenti mandati a casa senza neppure il benservito. E senza che vi fosse stato alcun sospetto nei loro confronti; che so, un’accusa di molestie o una sgradita avance. Anzi, centinaia di alunni che protestano -molto garbatamente, per la verità- perché rivogliono quegli insegnanti; di più, non intendono rinunciare a quelle materie che quei docenti insegnavano loro.
Non è solo questione di rispetto delle regole e di tutela della libertà di insegnamento, che pure non sono da accantonare come aspetti di mera forma.
Neppure si tratta dell’ennesima puntata della lotta tra “bergogliani” ed “anti-bergogliani”, come pure i firmatari della lettera al presidente dell’Istituto hanno chiarito in esordio, ponendolo anzi come caveat per coloro che intendessero diffondere e sottoscrivere l’appello.
La questione, in realtà, attiene allo stesso magistero della Chiesa. E per molteplici profili.
Innanzitutto, può fare a meno la Chiesa dell’Istituto GPII? Perché è questo che sta accadendo.
Se si decide di eliminare alcuni insegnamenti che erano considerati fondamentali (la teologia morale fondamentale, appunto), è evidente che si sta modificando l’oggetto sociale dell’Istituto. Lo si può fare, per carità, ma il risultato è l’estinzione di quel soggetto, sorto per realizzare un determinato scopo.
Per fare un paragone assai profano, se metto in piedi una fabbrica di confettura di frutta, posso decidere, ad un certo punto, di eliminare la frutta, ma è evidente che non sarà più la fabbrica originaria ma un’altra cosa e che, soprattutto, non risponderà più ad una precisa domanda.
Ora, lo stesso sta accadendo per l’Istituto. Si è deciso di non produrre più frutta.
Ma allora la questione si fa più profonda e le domande più urgenti. Innanzitutto, c’è da chiedersi: è cessata la domanda di frutta?
Non sembra proprio. E non solo perché centinaia di studenti reclamano con forza che si ripristini quella linea di produzione, ma perché è la domanda che, grazie a Dio, gli uomini della post-modernità incominciano a porsi nuovamente: esiste un bene ed un male oggettivo? Sono riconoscibili dalla ragione? La coscienza dell’uomo può aprirsi alla Verità?
E non è neppure roba da credenti bigotti, se è vero, come è vero, che anche un maître à penser laicissimo come Massimo Cacciari assegna alla Chiesa ed al suo Magistero la missione, oggi ritenuta non surrogabile, di tirare l’uomo fuori dalla palude di un relativismo disperato e disperante.
Se allora la domanda è tutt’altro che fuori mercato, vuoi vedere che la questione attiene alla risposta? Vuoi vedere che si è deciso che è proprio la frutta che non va più bene; che, cioè, quella risposta, quel magistero è superato?
Perché se le cose stanno così, la questione dell’Istituto GPII assume connotati molto più radicali ed allarmanti.
Radicali, perché attiene alle radici stesse dell’antropologia che si intende proporre come alternativa al fallimento della modernità. Ed in questi termini, non è faccenda riducibile a bega fra preti o fra sostenitori di Francesco o Benedetto o Giovanni Paolo II. È faccenda che interessa tutti, proprio perché tutti siamo interessati a risposte vere e non all’ennesimo surrogato del buonismo relativista.
Allarmanti, perché la Chiesa rimane davvero l’ultima fabbrica di frutta.
Certo, l’assistenza dello Spirito Santo non è mai mancata né mancherà. E nostro Signore Gesù Cristo non dorme, pur nell’incrudelirsi della tempesta. E tuttavia, decidere di decretare la fine, di fatto, dell’istituto GPII, facendone altro, significa chiudere un padiglione significativo, direi forse la sala operatoria, di quell’ospedale da campo che il Regnante Pontefice vuole sia oggi la Chiesa.
Venerdì, 09 agosto 2019