di Giuseppe Aziz Spadaro
Huizinga: nel Medioevo l’alba del «nuovo»
«Di solito sono le origini del nuovo ciò che il nostro spirito cerca nel passato. Vogliamo sapere come sono sbocciate le nuove forme di pensiero e di vita che avrebbero raggiunto il pieno splendore in tempi successivi. Con questo impegno si sono ricercati i germi della cultura moderna nella civiltà medioevale, un impegno così profondo da dare talvolta l’impressione che la storia intellettuale del Medioevo sia stata quasi il preludio del Rinascimento… Tuttavia nel cercare le tracce della nuova vita che nasceva, si dimenticava facilmente che nella storia come nella natura la morte e la vita procedono sempre di pari passo. Vecchie forme di civiltà si spengono nello stesso tempo e nello stesso luogo nel quale il nuovo trova linfa vitale per svilupparsi». Così scriveva Johan Huizinga (1872-1945) nella prefazione del 1919 al suo L’Autunno del Medioevo, in cui prendeva in considerazione «il XIV e il XV secolo non come annuncio del Rinascimento, bensì come tramonto del Medioevo».
Questo proposito implicava già un rigetto della periodizzazione corrente, che Huizinga giudicava astratta e convenzionale. A un Rinascimento visto in antitesi al Medioevo, alla Jacob Burckhardt (1818-1897), contraddistinto dall’ingegnosità dell’homo faber, egli si oppone, denunciando l’arbitrarietà delle rigide contrapposizioni, secondo le quali individualismo e realismo dovevano essere assenti nel XIV e XV secolo, per apparire di colpo nei successivi.
È questo un criterio che farebbero bene a tener presente certi medievisti, per l’impossibilità di esprimere un giudizio univoco, positivo o negativo che sia, su un periodo così vasto e sfaccettato come il Medioevo. «Se si considera il Quattrocento italiano nel suo glorioso contrasto con la vita del basso Medioevo in altri luoghi, ne ricaviamo un’impressione diffusa di simmetria, di gioia e di libertà, di serenità e di sonorità. Queste qualità, nel loro insieme, sono riconosciute come rinascimentali, come il segno dei nuovi tempi. Nel frattempo abbiamo dimenticato con quell’inevitabile parzialità senza la quale non si può formulare alcun giudizio storico, che anche nell’Italia quattrocentesca il solido fondamento della vita culturale era rimasto decisamente medioevale, che anzi, negli stessi spiriti del Rinascimento i tratti medioevali sono molto più radicati di quanto non si voglia ammettere».
È proprio questo suo peculiare metodo di condurre la ricerca storica, non tanto attenta agli equilibri fra Stati, alle alleanze e alle guerre, quanto al costume e a qualcosa di più difficile da definire, quali l’immaginario collettivo e la raffigurazione del sacro, la rappresentazione mistica e le forme di pensiero nella vita pratica, che rese ostica l’accettazione dell’opera huizinghiana «[…] in contrasto netto con il materialismo storico di origine marxista, con l’idealismo di matrice hegeliana e altrettanto e fermamente discordante rispetto alla concezione storica proposta dall’indirizzo positivista, in auge nella seconda metà dell’800, dopo il tramonto della storiografia romantica», come scrisse Federico Chabod (1901-1960) nel suo pregevole Necrologio.
Nell’Italia fine anni 1940, dominata dallo storicismo crociano, tutt’altro che favorevoli furono i giudizi sulla sua opera. Carlo Antoni (1896-1959) si rifiutò di vedere ne L’Autunno del Medioevo «un prodotto stricto sensu storico» per le sue «troppe vibrazioni e troppi chiaroscuri», Carlo Morandi (1904-1950) giudicò l’olandese «incerto sul piano speculativo, malsicuro e contraddittorio», mentre Delio Cantimori (1904-1966) in un primo tempo lo aveva accusato addirittura di «goffaggine» per l’approccio più da artista che da storico. Era una incomprensione di fondo, se non una chiusura ideologica, quella che determinò la messa in quarantena di un’opera giudicata poco raccomandabile a formare nuovi storici, i quali ne avrebbero derivato vizi metodologici difficilmente emendabili. Ma se quei giudici avessero guardato oltre il metodo, lungi dal trovare Huizinga «incerto sul piano speculativo», avrebbero riconosciuto la profondità e l’acutezza della sua analisi storica.
Huizinga era nato il 7 dicembre 1872 a Groninga, dove aveva compiuto i suoi studi e tenuto cattedra in quell’università dal 1905 al 1915, anno in cui era passato all’Università di Leida, dedicandosi interamente alla ricerca storica, consegnata in opere fondamentali quali, oltre a L’Autunno, Erasmo, Civiltà e Storia, L’uomo e la cultura, Lo scempio del mondo, La crisi della civiltà, La mia via alla storia, La civiltà olandese del Seicento, Homo ludens. Rilevante fu il suo contributo al dibattito sull’Europa, in particolare in occasione del Convegno internazionale organizzato dalla Fondazione Volta dell’Accademia d’Italia nel 1932.
Egli vedeva la causa del decadimento dell’Europa dopo la prima guerra mondiale, nell’imbarbarimento dovuto alla caduta di valori morali, a cui contribuiva Sigmund Freud (1856-1939), ma anche il razzismo tedesco, mettendo in discussione il criterio di verità morale. Tre erano secondo lui gli elementi costitutivi di una vera civiltà: l’idea di salvezza, la capacità di signoreggiare la natura e un contenuto metafisico. Tutti e tre mancavano all’Europa ed era indispensabile reintegrarli.
Partendo da Homo ludens, la cui pubblicazione è del 1938 e la traduzione italiana del 1946 è possibile trovare la chiave di lettura del più noto L’Autunno del Medioevo. In esso è raffigurata una esistenza tutta dominata dal rapporto «evasione-gioco-cultura»; in cui la cultura è vista come evasione estetizzante. In essa i riti e le devozioni, il feticismo delle reliquie, i cerimoniali cortigiani, la gerarchia dei rapporti sociali, l’ordinazione cavalleresca, il torneo, la scelta del totem araldico, le insegne delle confraternite, la cattura e il riscatto di prigionieri illustri, le convenzioni di pace e di guerra, i giubilei e i pellegrinaggi, tutto è sottoposto a regole precise che si avvalgono di una particolareggiata casistica. A ogni quesito c’è una risposta, ma invano si pretenderebbe un maggiore rigore giuridico: «[…] il priore consulta passi biblici, il diritto canonico e dei glossari […] diritto internazionale e point d’honneur cavalleresco si confondono».
Ma ciò che a noi può sembrare infantile trastullo aveva carattere sacrale. In base a questo si risolvono problemi di natura morale o giuridica, per i quali è quasi sempre necessario un ricorso alla casistica. «Anche questa deriva da un idealismo di larga portata Ogni eventuale quesito deve avere la sua soluzione ideale, che si ottiene non appena si riconosce il giusto rapporto tra il caso contingente e le verità eterne». In tutti i casi in cui stile e forma sono essenziali si ricorre alla casistica. «Ciò vale in primo luogo per tutto quello che riguarda il cerimoniale e l’etichetta. Qui il principio casistico è perfettamente al suo posto. […] Lo stesso vale per il torneo e per la caccia. Anche l’idea dell’amore come bel gioco di società, con forme e con regole piene di stile, crea il bisogno d’una casistica ben dettagliata».
In una società in cui la crudeltà della vita si sposa all’aspirazione a una vita migliore, è necessario il ricorso a una visione estetizzante, a uno stile, che rappresenti in forma ludica il distacco dalla vita di tutti i giorni e l’ingresso ideale e simbolico in un universo finalistico dai contorni non criticamente definibili ma irrinunciabile. È così che l’immagine della morte, con i suoi «trionfi» e le sue «danze macabre», s’intreccia a gioiose e candidamente erotiche rappresentazioni che esaltano la vita e l’amore, sia mistico sia carnale. La morte non è rimossa e ignorata come nella società odierna, ma contemplata come sempre presente in ogni momento della vita, dalla quale l’uomo medioevale sa ricavare allegoricamente esempi concreti di catarsi e di anagogico trascendimento.
Nel delineare questa società, Huizinga ne rileva nel contempo gli squilibri e gli eccessi in cui si esprimeva una religiosità in fondo ingenua e primitiva. In essa il fanatismo più acceso si mescola alla sensualità più volgare, come nei pellegrinaggi seguiti da pantagrueliche scorpacciate in onore del Santo che si intende venerare. Sono aspetti ancora oggi rilevabili, ma che allora assumevano forme esorbitanti e sproporzionate. A questo tipo di religiosità, con l’eccezione di una élite «cortese» che sapeva ben camuffarsi per sfuggire alle inevitabili conseguenze, partecipano i nobili, che siano duchi, principi, re e imperatori. Un esempio è dato dal soggiorno di san Francesco di Paola (1416-1507) alla Corte di Luigi XI (1423-1483). «Il singolare tipo di devozione del re è così noto che non c’è bisogno di descriverlo in modo particolareggiato». Egli comprò la grazia di Dio e della Vergine Maria per più denaro di qualsiasi altro re. Quanto al santo «la sua ascesi è della specie più barbara, e ricorda quella dei suoi connazionali del X secolo, San Nilo e San Romualdo. Scappa quando vede una donna. […] Dorme di solito in piedi o appoggiato e non si taglia mai i capelli né la barba». Luigi colleziona ogni genere di reliquie e di oggetti strani. «È in corrispondenza con Lorenzo de’ Medici [1449-1492] per l’anello di San Zanobi [IV sec.-429] e per un agnus dei, un vegetale che veniva considerato una rarità miracolosa. Nello stravagante castello di Plessis lès Tours s’incontrava un’accozzaglia di devoti in preghiera e musicanti», i quali pregavano «incessantemente Dio perché gli consentisse di non morire e che lo lasciasse vivere ancora».
Il rifiuto di Huizinga di vedere un confine netto fra Medioevo e Rinascimento è giustificato dalla sua osservazione secondo cui «l’adorazione della Via Crucis, delle Cinque Piaghe, il suono dell’Angelus alla mattina e alla sera derivano tutti dagli ultimi decenni del Medioevo». Così anche la pratica del Rosario. «La controversia sull’Immacolata Concezione di Maria, nella quale i Domenicani formavano il partito d’opposizione al crescente bisogno popolare di vedere la Vergine libera dal peccato originale fin dal concepimento, provocò un insieme di speculazioni teologiche ed embriologiche, che a noi pare poco edificante». A ciò si deve associare la vendita delle indulgenze: «Sebbene l’idea che ogni credente, in quanto membro del corpus mysticum Christi, partecipi di quel tesoro sia antichissima, la dottrina che queste buone opere costituiscano una riserva inesauribile, che può essere spacciata dalla Chiesa e in particolare dal papa, fa la sua comparsa solamente nel XIII secolo. La teoria trovò la sua perfetta enunciazione e definizione nella bolla Unigenitus di Clemente VI nel 1343».
«Come va interpretata quella curiosa leggerezza, che si rivela di continuo nella superficialità, inesattezza e credulità della gente del basso Medioevo?», si chiede Huizinga: «Si ha l’impressione che non sentisse minimamente bisogno di veri pensieri, che una fantasmagoria di vane illusioni fosse nutrimento sufficiente per il suo spirito». La causa di ciò viene vista nel simbolismo dominante l’immaginario collettivo: «Il simbolismo con la sua ancella, l’allegoria, era diventato un passatempo cerebrale; il sensato divenne insensato. La mentalità simbolista ostacolava lo sviluppo del pensiero causale-genetico. […] Non appena un’immagine si aggira nel cervello con un nome e una forma, viene inglobata nel sistema delle figure morali e religiose e partecipa spontaneamente della loro credibilità». Per l’uomo del Medioevo non vi è cesura fra teologia e vita pratica: «Il fondamento è quell’idealismo architettonico che la Scolastica chiamava realismo; l’esigenza di isolare tutte le nozioni e di dare loro forma come un’entità, collocandole in un contesto gerarchico, costruendo su di esse templi e cattedrali come un bambino che gioca con le costruzioni».
Tuttavia il Quattrocento contiene i germi per un futuro cambiamento: «Il rapporto causale-genetico aveva il suo posto accanto a quello simbolico, ma rimase irrilevante, finché l’interesse non si spostò dal simbolismo allo sviluppo naturale». Il contrasto può essere raffigurato nel cardinale Nicola Cusano (1401-1464) e nel teologo Jean Gerson (1383-1429). Questi condivide l’opinione del Cusano che le possessioni diaboliche possano derivare da un guasto della facoltà immaginativa causata da una lesione cerebrale, «ma sebbene Gerson ammetta che molte ipotetiche diavolerie siano da attribuire a cause naturali, alla fine ne concede l’onore al diavolo: quelle lesioni cerebrali derivano a loro volta da illusioni diaboliche». La persistenza di tale mentalità viene spiegata da Huizinga «[…] come un tentennamento tra una spiegazione razionale e naturale e un’accettazione spontanea e pia dei sospetti di stratagemmi diabolici».
Qual è l’atteggiamento del clero verso «il moltiplicarsi di chiese, feste, santi, giorni di riposo […] l’introduzione di nuovi inni e preghiere o altre innovazioni arbitrarie […] messe speciali abolite poi dalla Chiesa, per la pietà di Maria […] per le sue sorelle Maria Jacobi e Maria Salomè, per l’angelo Gabriele, per tutti i santi che formavano l’albero genealogico del Signore»? Da un lato il clero cerca di limitare queste forme di devozione che rischiano di degenerare nella superstizione, dall’altro combatte le spinte opposte verso l’incredulità e la blasfemia. Il Quattrocento è anche il secolo del Concilio di Basilea (1431-1445) e dello scisma. Si contesta la centralità pontificia e si dichiara il Concilio superiore al Papa. La Reformatio, «ambita dai padri del Concilio e da Nicola da Cusa», aspira a una Chiesa purificata. Del Cusano è la famosa sentenza: «Romanus pontifex est membrum Ecclesiae, et infallibilitas non cuilibet membro, sed toti Ecclesiae promissa est». In questo secolo si possono già trovare accenti giansenistici avant lèttre, per esempio l’avversione al proliferare degli ordini mendicanti, che sottraggono sostentamento ai veri bisognosi, «ai quali spetta a tutto titolo il diritto di mendicare».
«Nell’epoca in cui siamo soliti far terminare il Medioevo […] la sistematica elaborazione della credenza nelle streghe, atroce aberrazione del pensiero medioevale, viene suggellata dal Malleus maleficarum e dalla bolla Summis desiderantes [di Papa Innocenzo VIII (1484-1492)] (1487 e 1484). Né l’Umanesimo né la Riforma possono impedire quella follia», osserva Huizinga. Eppure non mancavano manifestazioni di dubbio e di razionalità. Ma «l’incredibile esaltazione che accompagnava le campagne contro le streghe deriva in parte dal fatto che si confondevano i concetti di magia e di eresia», tanto che il termine «vauderìe» usato per la magia era un chiaro riferimento all’eresia valdese. L’ultimo rogo di streghe si ebbe in Portogallo nel 1822 e non furono esenti da tale flagello né i Paesi protestanti né gli Stati Uniti d’America, con buona pace di chi pensa che il Medioevo finisce con la scoperta dell’America. Opportunamente Huizinga fa una distinzione di aree geografiche: «La Francia occupa una posizione intermedia tra l’Italia e i Paesi Bassi […]. L’umanista italiano rappresenta la crescita graduale della civiltà italiana e quindi il primo tipo dell’uomo moderno. Nei Paesi borgognoni, al contrario, lo spirito e la forma della società erano ancora così medioevali che […] Soltanto l’Umanesimo biblico di Erasmo inaugura la civiltà moderna».
Giuseppe Aziz Spadaro
5 novembre 2018
Per approfondire: Johan Huizinga, Autunno del Medioevo, introduzione di Eugenio Garin (1909-2004), 10a ed., Biblioteca Universale, Rizzoli, Milano 2015.