1. Il problema e il termine
La bioetica, disciplina fino a pochi anni fa nota prevalentemente fra specialisti, è decisamente entrata nel pubblico dibattito, configurandosi come uno degli ambiti che abbracciano il maggior numero di “questioni civili” — come le chiama sant’Aurelio Agostino (354-430) nel De Rhetorica —, cioè quelle questioni che “[…] ci si vergogna di non sapere”.
Le nuove tecnologie conferiscono infatti possibilità d’intervento dell’uomo sull’uomo e sull’ambiente mai viste prima e tali, per il potere che dischiudono, da richiedere regolamentazione e sorveglianza, sia in fase di ricerca che di utilizzo. Proprio a partire da una riflessione sui pericoli di autodistruzione dell’uomo per il delirio di onnipotenza biotecnologica, un oncologo dell’università del Wisconsin, Van Rensselaer Potter conia nel 1970 il termine “bioetica” in un’opera apparsa negli Stati Uniti d’America con il titolo Bioethics: A Bridge To the Future. Di lì in poi, centri di ricerca in bioetica si sono moltiplicati un po’ in tutto il mondo, assumendo posizioni diversificate, ma quasi ovunque prospettando — accanto ai rischi — le speranze di un futuro migliore proprio attraverso le nuove tecnologie biomediche.
2. La controversia sulla “qualità della vita”
Un importante punto di dibattito, in verità mai esaurito, riguarda fin da subito il concetto di “qualità della vita”, focalizzando quei problemi a cui la medicina più recente poteva dare soluzione, per garantire standard di benessere più elevati per il maggior numero possibile di persone. Su tale concetto si hanno le prime spaccature fra le diverse impostazioni etiche, in particolare fra i sostenitori della vita solo in quanto “degna” — cioè dotata di criteri minimi di accettabilità fisico-psichica secondo una valutazione soggettiva o dei più —, e quella di quanti affermano la sacralità, l’inviolabilità e l’indisponibilità della vita umana innocente indipendentemente dalle circostanze di debolezza, di malattia, di handicap. Più in profondità, si esplicita presto nel mondo dell’etica, o meglio, delle etiche, una divisione netta fra due scuole di pensiero tradizionalmente contrapposte: quella dei soggettivisti/relativisti, cioè di quanti rivendicano come criterio sommo di valutazione morale l’autonomia del singolo, eventualmente bilanciata con le esigenze della collettività — utilitarismo, contrattualismo, anarchismo e comportamentismo —; e quella di quanti ribadiscono l’esistenza di leggi universali e immutabili della natura umana, che occorre individuare e seguire per promuovere il bene dell’uomo, quello di ciascuno così come il bene comune. Naturalmente, in quest’ultimo caso, un nuovo discrimine sarà dato dal modo d’intendere tale natura, se essa si riduca al semplice dato fisico-psichico — socio-biologismo, materialismo e psicologismo — oppure comprenda aspetti metafisici. In quest’ultimo caso, concetto fondamentale di riferimento è quello di persona, unità singolare e irripetibile di corpo e spirito, dotata di una natura intelligente e libera.
3. Bioetica e bioetiche
È evidente che tali linee di riflessione etica si diramano da altrettante visioni dell’uomo, e che da esse nascono altrettante prospettive bioetiche, ossia — nei termini definitori proposti da S. E. mons. Elio Sgreccia, vice presidente della Pontificia Accademia per la Vita e ordinario di Bioetica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma — tentativi “di riflessione sistematica su tutti gli interventi dell’uomo sugli esseri viventi, una riflessione che si pone un obiettivo specifico e arduo: quello di identificare valori e norme che guidino l’agire umano, l’intervento della scienza e della tecnologia sulla vita stessa e sulla biosfera”.
Perché una prospettiva bioetica possa dirsi adeguata alla verità dell’uomo l’identificazione di tali valori e norme per l’agire deve avvenire in base a un criterio solido e universale, quale la riflessione razionale rettamente intesa. L’intelligenza, infatti, costituisce un canale affidabile di conoscenza della realtà così come essa è naturalmente, a patto di non farne un uso soggettivistico, cioè di credere che il mondo non sia qualcosa da scoprire e rispettare in quanto tale ma da inventare — re-inventare —, dopo averlo frammentato e ricostruito nella mente come in un esercizio matematico. Le principali indicazioni sulle linee di comportamento eticamente corrette, sui valori e le norme di riferimento in campo bioetico si possono cogliere esaminando con il lume naturale la realtà dell’uomo e il suo contesto. La difesa della vita umana, l’assistenza al malato e al morente, la dignità della persona fin dal concepimento, la tendenza all’unione coniugale e alla procreazione, la responsabilità e il dominio dell’uomo nei confronti del creato sono infatti temi accessibili alla riflessione umana.
A questo proposito, la Chiesa cattolica si mostra da sempre particolarmente attenta e sensibile a tali dati “naturali”, tutelandoli e documentandoli attraverso una lunga produzione magisteriale, che ha fornito e fornisce spunti di approfondimento etico, argomenti razionali, e perfino il lessico per la disciplina bioetica, all’interno di una dottrina estesa e coerente. Oltre a ciò, s’impegna sul piano pratico, come dimostra la tradizione terapeutica cristiana che è stata all’origine di istituzioni come gli ospedali, le cliniche e le case di riposo. Sul piano naturale, dunque, l’insegnamento cattolico sostiene e illumina la bioetica; a questo livello, la Chiesa cattolica ne aggiunge un altro, teologico, che scaturisce dal piano soprannaturale della Rivelazione, e che consiste nell’interpretare il senso della sofferenza e della morte alla luce del mistero di Cristo. Ciò non vanifica ma integra e chiarisce ulteriormente quanto la luce della ragione già indica.
Perciò appare viziato e sterile il tentativo di contrapporre alla bioetica cattolica una bioetica “laica”, come appare, per esempio, dal Manifesto di bioetica laica, del 1996. Viziato perché tale pretesa “alternativa” risulta frequentemente parassitaria rispetto alla prospettiva sorta in ambito cattolico, ossia si definisce per lo più in contrasto alla bioetica tradizionale — dice preferibilmente “ciò che non è” —; sterile perché così facendo rischia di sgretolare non solo una particolare visione del mondo, ma la bioetica tout court, togliendole ogni possibilità di fondazione razionale con il relegarla nell’indeterminatezza del relativismo. Sul fronte “laico”, in effetti, pare impossibile trovare un’omogeneità di vedute, a causa del pregiudizio secondo cui credere che l’intelletto umano abbia la capacità naturale di conoscere l’uomo, e la realtà in genere, sarebbe “dogmatico”.
4. I temi della bioetica
Fondamento della bioetica, dunque, è l’antropologia — lo studio sulla persona umana e sulla sua natura specifica —, punto di partenza irrinunciabile per ogni riflessione ulteriore e insieme richiamo a quelle domande che da sempre l’uomo si pone sul senso della vita, attraverso l’uso della propria ragione, in particolare sulla questione degli estremi della vita terrena — nascita e morte — e sul problema della sofferenza.
Nel primo ambito rientrano quali temi principali, da una parte, statuto dell’embrione, clonazione umana, sperimentazioni genetiche sull’uomo e fecondazione artificiale; dall’altra, contraccezione, sterilizzazione e aborto, eutanasia, espianto d’organi e suicidio. È significativo osservare come problemi apparentemente opposti, quali per esempio il desiderio di procreare — fecondazione artificiale — e il desiderio di non procreare o di eliminare il frutto del concepimento — contraccezione e aborto —, rispondano in effetti a logiche simili, per cui laddove non si rispetti il criterio dell’indisponibilità della vita — un essere umano non è qualcosa che “faccio”, che “scelgo”, che “possiedo”, ma che accolgo e curo — facilmente si passa con disinvoltura dall’uno all’altro. Così, per esempio, proprio in conseguenza dell’introduzione delle tecniche di fecondazione artificiale, sorge il problema di cosa fare degli embrioni prodotti in sovrannumero allo scopo di offrire ai richiedenti maggiori possibilità di riuscita dell’operazione. Infatti, la fecondazione in vitro presenta una significativa percentuale d’insuccessi, sia nel concepimento, sia relativamente al rischio di patologie genetiche e degenerative dell’embrione; inoltre, il tasso di abortività spontanea conseguente all’impianto è molto alto. Il destino degli embrioni inutilizzati o “superflui” è presto intuito: se non vengono impiantati sono destinati al congelamento a tempo indeterminato, in attesa di impianti futuri o di “utilizzi” quali la sperimentazione e la formazione di una riserva di organi e tessuti trapiantabili, il che equivale alla loro eliminazione; se sono stati impiantati, subiscono la cosiddetta “riduzione embrionale”, ovvero un aborto eugenetico selettivo teso a conservare solo i figli “migliori”.
Tale mentalità tecnicistica e materialistica contribuisce a ingenerare uno squilibrio nel campo della sessualità — e dunque nella famiglia — che si riflette anche sull’educazione e le relazioni interpersonali. I crescenti casi di pedofilia, da un lato, e di violenza minorile, dall’altro, ne sono una prova: se il figlio, e il bambino in genere, sono in fondo oggetti acquistabili e manipolabili a piacimento, potranno divenire anche oggetti di desiderio e abuso sessuale; analogamente, un bambino o un ragazzo che cresce in un contesto sociale aberrante nei confronti della sessualità, della nascita, della vita, difficilmente avrà una visione appropriata della morte, e potrà quindi giungere a giocare con l’incolumità di altre persone “per divertimento”, come in un videogioco, o come se avesse a che fare con “cose”, simili a quella “cosa” che è lui stesso, il figlio.
Del secondo ambito fanno parte tutte le ricerche propriamente volte alla terapia, come sperimentazione di farmaci, discussione di casi clinici, trapianti d’organo, diagnosi prenatali — quando non finalizzate all’aborto —, cura e controllo dei disturbi psichiatrici nonché delle nevrosi, dell’handicap fisico-mentale, delle tossicodipendenze — da farmaci, da droga e da alcool —, delle malattie sessualmente trasmesse, dei disturbi della sessualità: malattie, deviazioni e perversioni sessuali. Vi rientrano inoltre tutti quegli studi e quelle attività che, nel desiderio di eliminare per quanto è possibile la sofferenza, si prefiggono un aumento del benessere psico-fisico attraverso la farmacologia e la psicofarmacologia cosmetica — cioè a uso non direttamente terapeutico —, la chirurgia estetica, la manipolazione genetica su animali e piante, la medicina sportiva e quella del lavoro, il rapporto medico/paziente e la deontologia medica, la regolazione della fertilità; oppure vi rientrano gli studi e le attività che puntano a un miglioramento delle condizioni generali dell’umanità a partire dalle situazioni di squilibrio socio-economico presenti nel mondo — demografia, biotecnologie applicate all’industria e all’agricoltura —; infine, il trattamento palliativo della sofferenza, come in alcuni casi di disabilità grave e nell’assistenza ai morenti, i cosiddetti “malati terminali”.
5. Bioetica e orientamenti di politica sanitaria
Dalla centralità o meno attribuita alla persona umana e all’istituto familiare nella società derivano la maggior parte delle scelte politico-sanitarie: un corpo sociale fondato sulla tutela della comunione delle persone — la communio personarum — nella famiglia tenderà ad attuare leggi, metodi educativi e linee culturali che promuovano una crescita ordinata in questa direzione e non un solipsistico affermarsi dell’autonomia onnipotente del singolo o un livellamento delle differenze nel delirio di una “programmazione globale” della vita — come suggestivamente descriveva nel 1932, in una veste che ormai non suona più fantascientifica, Il mondo nuovo di Aldous Huxley (1894-1963).
Il compito della riflessione bioetica più autentica è dunque quello di approfondire e proporre la verità sull’uomo, offrendo, anche ai responsabili della cultura e del bene comune, elementi di giudizio e orientamenti per l’azione.
Per approfondire: vedi mons. Elio Sgreccia, Manuale di bioetica, 2a ed., Vita e Pensiero, Milano 1994; Maria Luisa Di Pietro ed E. Sgreccia,Interrogativi per la bioetica, La Scuola, Brescia 1998; e una presentazione completa e sintetica della bioetica cattolica, in Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari, Carta degli operatori sanitari, Tipografia Vaticana, Città del Vaticano 1994 [cfr. Lorenzo Cantoni, La “Carta degli operatori sanitari”. Una presentazione, in Cristianità, anno XXIII, n. 239, marzo 1995, pp. 6-10].