Giovanni Cantoni, Cristianità n. 100 (1983)
Le prospettive ateistiche, che negano la esistenza di Dio e, quindi, di una morale oggettiva, e quelle gnosticistiche, che giungono alle stesse conclusioni attraverso l’affermazione della coincidenza fra l’uomo e Dio, mirano alla loro intronizzazione nel cuore di ogni uomo servendosi della cultura e dei mezzi a disposizione della società e dello Stato. L’azione sovvertitrice è scandita dalla proclamazione di susseguenti autonomie – della società, dello Stato, ecc. – da Dio, dalla sua legge e dalla Chiesa che la proclama: accurate e logiche distinzioni vengono trasformate in radicali separazioni, che mirano a «liberare» il creato dal Creatore con una secolare applicazione della «politica del carciofo» o «del salame». Le basi della lotta per il riconoscimento della dipendenza da Dio e dalla sua legge della società e della vita pubblica di ogni nazione.
Contro ogni infondata autonomia
Per la maggiore gloria di Dio anche sociale
1. Dio – della cui esistenza, del cui potere creatore e della cui opera provvidente l’uomo può avere certezza razionale (1) – è il fine assolutamente ultimo di tutte le creature, quindi anche dell’uomo (2). Da Dio, infatti, tutto procede e a Dio, dunque, tutto ritorna, in un moto ininterrotto di exitus e di reditus (3), quasi diastole e sistole dell’universo creato.
2. Poiché Dio non ha creato il mondo per aumentare la sua beatitudine né per acquisire nuova perfezione, dal momento che nessuna perfezione può a lui mancare, il fine ultimo di tutte le creature è la gloria esterna di Dio, cioè il rimando evidente, elogiante e adorante di tutto il creato a Dio creatore e provvidente, senza nulla aggiungere all’essere di Dio (4). Gloria, infatti, è clara notitia cum laude (5) di Colui che, essendo la perfezione, può essere solamente riconosciuto, contemplato e adorato come tale, senza incremento di sorta da parte e per opera di chi lo riconosce e lo loda. E gloria è anche presenza di Dio nelle sue creature, che traspare esteriormente con il suo fulgore.
3. Dunque, il fine ultimo di tutte le creature irrazionali è la gloria di Dio oggettiva, resa necessariamente dal regno minerale, dal regno vegetale e dal regno animale per il semplice fatto della loro esistenza e della loro relativa perfezione. In esse risplende, come in una orma, la presenza di Dio (6).
4. Il fine ultimo delle creature razionali non è solamente la gloria oggettiva di Dio, ma anche la sua gloria formale, cioè il riconoscimento volontario e libero della perfezione intrinseca a Dio creatore e provvidente. Questo riconoscimento rende manifesta la presenza di Dio nell’uomo creato a sua immagine e somiglianza.
5. Il modo attraverso il quale le creature irrazionali rendono gloria a Dio consiste nel necessariamente rispettare il suo piano a loro proposito, cioè nel seguire la loro natura, rimandando dalla loro perfezione di creature alla perfezione del Creatore e, quindi ritornando a lui così come sono da lui uscite.
6. Il modo attraverso il quale le creature razionali rendono gloria a Dio consiste nel liberamente rispettare il suo piano a loro proposito, cioè nel rispettare liberamente la sua legge, iscritta nel cuore dell’uomo, ricordata da Mosè nel decalogo e confermata e perfezionata da Nostro Signore Gesù Cristo (7).
7. Il modo attraverso il quale le creature razionali rendono gloria a Dio consiste nella pratica della morale, cioè in un comportamento conforme alla legge di Dio, quindi alla sua volontà; dunque, ancora, alla sua essenza esplicitata attraverso la natura e con la rivelazione positiva. La morale è la via, il tracciato del reditus, del ritorno della creatura razionale a Dio, nella prospettiva del possesso definitivo e pieno, della «comprensione» del sommo e perfetto bene, nel che propriamente consiste la beatitudine, stato perfetto per l’accumulo di ogni bene (8).
8. Benché elevato da Dio fino dall’inizio all’ordine soprannaturale, e benché redento da Nostro Signore Gesù Cristo, a causa del peccato l’uomo, per percorrere la via che porta alla eterna beatitudine deve produrre uno sforzo, cioè lo sforzo di agire rispettando la legge del Signore, e questo sforzo comporta un esercizio, una ascesi. Ma anche questo esercizio, questa ascesi, post peccatum non basta né, prima, alla perfetta conoscenza della legge in sé e nelle sue articolazioni; né, poi, alla costanza in tale rispetto, ma abbisogna dell’aiuto di Dio, non necessitato ma gratuito, cioè della grazia che integra lo sforzo naturale, e che passa ordinariamente attraverso i sacramenti amministrati dalla Chiesa. Questa integrazione soprannaturale della natura lapsa rientra nella vita mistica, cioè misteriosa, di Dio nella interiorità dell’uomo. Morale, ascetica e mistica – logicamente distinte, distinguibili e gerarchizzate – sono aspetti e momenti dell’unica vita dell’uomo in statu viatoris, sulla via verso Dio e aspirante, con l’aiuto di Dio, alla eterna felicità e all’eterno riposo in statu comprehensoris.
9. L’uomo percorre la via del reditus, del ritorno alla casa del Padre, conformemente alla sua natura, cioè in conformità con l’exitus, con il modo con cui è uscito dalle mani e dalla casa del Padre stesso. Ebbene, l’uomo è uscito dalle mani del Padre naturalmente sociale, anche se questa sua naturale socialità non ne forma un costitutivo essenziale né, di contro, un semplice accidente, ma piuttosto una conseguenza della sua natura spirituale finita e della sua indefinita capacità di perfezione: si tratta, quindi, di una proprietà derivata dalla natura dell’essere umano.
10. La naturale socialità umana si esprime nelle diverse società – di diversa perfezione – delle quali l’uomo ha necessità, delle quali si serve e attraverso le quali persegue il suo fine naturale e soprannaturale.
11. La società naturale non è una unità sostanziale, bensì una unità accidentale, nella quale i rispettivi individui conservano la rispettiva reale singolarità.
12. La naturale accidentalità della società non diminuisce la sua importanza sulla via della perfezione umana, naturale e soprannaturale, né tantomeno sottrae la società stessa al dovere di rendimento di grazie e di gloria a Dio, come ogni creatura.
13. La naturale accidentalità della società – che si esprime in tipi storici, come le famiglie, le stirpi, le nazioni, ecc., e nelle loro modalità organizzative – fa sì che l’orizzonte delle società sia storico, sia nel bene che nel male, sia nel premio che nel castigo (9).
14. Se il tipo di rendimento di gloria oggettiva a Dio si esprime nel versetto del salmo secondo cui «Coeli enarrant gloriam Dei» (10); se il tipo di rendimento di gloria formale a Dio si esprime nei versetti dei salmi che esortano «laudate Dominum» (11), si pongono logicamente, tra altri, i quesiti: «Quomodo creatura societas enarrat gloriam Dei?» e «Quomodo omnes populos oportet laudare Dominum?». Trattandosi, nel caso della società naturale, di una realtà che deriva dalla naturale socialità umana, quindi legata all’uomo e alla sua libertà, si può certamente parlare in analogia con l’uomo singolo di una morale sociale, di una ascetica sociale e di una mistica sociale (12).
15. Poiché l’uomo è un microcosmo, cioè connotato non solamente da elementi spirituali, ma anche materiali e animali (13), è di conseguenza lecito parlare anche di una fisica e di una fisiologia sociali, per fare riferimento a tutto quanto nella società è necessitato e, quindi, rende oggettivamente gloria a Dio, di Dio essendo orma. È il caso, paradossale, della esistenza di funzioni organizzative e direttive in associazioni anarchiche.
16. La creatura societas rende gloria a Dio accompagnando e favorendo il perseguimento del fine naturale e soprannaturale di ciascuno dei suoi membri, cioè perseguendo il loro bonum commune: il che avviene attraverso il rispetto da parte delle leggi e delle consuetudini della morale sociale; attraverso la produzione di uno specifico sforzo orientato allo scopo, l’ascetica sociale; e, attraverso la implicita e esplicita impetrazione dell’aiuto di Dio sempre allo scopo, la mistica sociale.
17. La creatura societas rende gloria a Dio accompagnando e favorendo il perseguimento del fine naturale di ciascuno dei suoi membri in modo diretto, e in modo indiretto accompagna e favorisce il perseguimento del fine soprannaturale operando per la libertà e la esaltazione di santa madre Chiesa, che è societas sui generis, germe e inizio del Regno di Dio in terra (14), e modello della società civile (15).
18. Poiché la dottrina sociale naturale e cristiana, cioè la dottrina sociale della Chiesa, altro non è che espressione e formulazione puntuale della morale sociale, che tiene conto sia della natura dell’uomo che della sua elevazione all’ordine soprannaturale, il suo pubblico rispetto ridonda in santità sociale, cioè in gloria sociale di Dio, presente nella società che si costruisce rispettando in ogni suo membro la immagine e la somiglianza di Dio stesso, cioè la sua natura e la sua redenzione.
19. Poiché il rispetto della morale sociale post peccatum incontra difficoltà e ostacoli sia a causa del peccato originale, che ferisce ogni membro di società che viene al mondo; sia a causa della capitalizzazione storica dei peccati dei membri di ogni società la cui durata nel tempo superi quella di ogni singola generazione umana e, nel caso, quella dei suoi fondatori; e poiché la peccabilità sociale è continuamente provocata dalle tentazioni sociali prodotte dal corpus diaboli, dal «corpo mistico del demonio» (16) agente nella storia per la dannazione storica delle nazioni e, quindi, dei loro membri, tali difficoltà e ostacoli devono essere fronteggiati con uno sforzo sociale, cioè con uno sforzo prima individuale e poi corporativo volontariamente prodotto all’interno del corpo sociale stesso. Questo sforzo deve incitare i membri della società tutta, direttamente e nelle loro istanze organizzative, al rispetto pubblico della legge di Dio, e tendenzialmente tutti coinvolgerli nella realizzazione di una convivenza conforme al piano di Dio sulla società, sia in genere che in specie, sia, cioè, avendo presenti i doveri di ogni società in quanto società che la vocazione specifica di ogni nazione, cioè di ogni società storicamente e culturalmente definita dall’opera di più generazioni.
20. Così come la santità individuale – restaurazione della immagine e della somiglianza di Dio nel singolo uomo – non può appoggiarsi sul puro sforzo naturale, ma ha assoluta necessità della grazia, almeno per perseverare nel rispetto della legge del Signore, anche la santità sociale ne necessita. E quindi, così come la santità individuale si serve dei canali ordinari della grazia, cioè dei sacramenti, la santità sociale fruisce di ogni espressione pubblica di riconoscimento di Dio e di adeguamento alla sua legge; alla sua volontà, e, dunque, di ogni sacramentale, veicolo di grazia ex opere operantis Ecclesiae, come la unzione di chi riveste la massima magistratura, e di ogni benedizione, come quella dei figli o della mensa da parte del paterfamilias. In generale fruisce della presenza, operante e vivificante, della Chiesa cattolica.
21. Perché la nazione italiana renda gloria a Dio e rispetti pubblicamente la sua legge è nata e opera Alleanza Cattolica, diffondendo la dottrina sociale naturale e cristiana, la dottrina sociale esposta dal Magistero tradizionale e costante della Chiesa, e promuovendo opportune e importune (17) la sua realizzazione. Nell’azione di Alleanza Cattolica è incluso il polemico confronto tra la condizione storica della nazione e il suo destino deducibile sia dalla legge di Dio che dalle sue tradizioni.
22. Così facendo Alleanza Cattolica non solo intende manifestare il suo amore a Dio e alla sua santa volontà, ma anche l’amore al prossimo, che è prova testimoniale dell’amore a Dio stesso. Infatti, operare per la «santificazione» della società significa operare per favorire la santificazione del prossimo, e operare per la santificazione del prossimo significa operare per la propria, conformazione a Gesù redentore.
23. La resistenza dell’uomo singolo alla grazia e quindi alla redenzione operata da Nostro Signore Gesù Cristo oltraggia Dio. Così, la resistenza delle società, che sono comunità di uomini, a tributare il proprio ossequio esteriore e sostanziale alla regalità di Nostro Signore Gesù Cristo (18), espressa nel tipo «Nolumus hunc regnare super nos» (19), costituisce ugualmente un oltraggio a Dio, in quanto rifiuto della dimensione sociale della redenzione. Al drammatico interrogativo riferito al Signore Nostro Gesù Cristo «Quae utilitas in sanguine meo» (20) pare imporsi come risposta non solamente la organizzazione del consenso sociale – «Quodcumque dixerit vobis, facite» (21) -, ma anche la organizzazione della compensazione della gloria di Dio oltraggiata dal peccato sociale, e della collaborazione alla fruttificazione storica delle conseguenze sociali della redenzione, a imitazione, rispettivamente, dell’angelo consolatore (22) e del Cireneo (23). Si tratta della pratica della riparazione sociale – così definibile non in quanto pratica della riparazione svolta socialmente, ma in quanto pratica della riparazione con fini sociali -, risposta sociale che va oltre la «giustizia sociale» nei confronti di Dio, e si spinge coraggiosamente e amorosamente incontro alla sua misericordia, che risparmia le nazioni e i loro figli.
24. La consapevole e caparbia opposizione delle società agli effetti della redenzione trova la sua espressione nella incoronazione di spine di Nostro Signore Gesù Cristo, parodia della sua regalità sociale (24). E la incoronazione di spine rimanda alla sua espressione più sostanziale e interiore, alla incoronazione di spine del sacro Cuore, dalla cui ardente carità nasce la ubbidienza al Padre fino alla croce (25).
25. La lotta per una società santa, che non frustri storicamente i frutti della redenzione, necessita delle grazie di cui è dispensatrice la Vergine potente e dolente, la cui regalità è strettamente legata a quella del divino Figlio (26), e la cui promessa a Fatima è caparra di un successo non datato e non databile, ma non per questo incerto: «Infine, il mio Cuore Immacolato trionferà».
Giovanni Cantoni