Lo scontro ideologico, al giorno d’oggi, ruota attorno all’essenza e al valore della persona umana
di Daniele Fazio
Chi è l’uomo? Che importanza attribuire alla sua vita?
Le differenti risposte a queste domande aprono scenari culturali, politici, legislativi ed economici notevolmente diversi tra loro, fino a mettere in questione la stessa realtà umana, attraverso uno sforzo di reinvenzione o ri-creazione della stessa a partire da prospettive ideologiche e da imperativi tecnoscientifici.
In particolar modo, oggi, l’ambito bioetico è divenuto un campo di scontro tra le varie visioni antropologiche, ragion per cui si assiste al fronteggiarsi sostanzialmente di due prospettive: da un lato vi sono coloro che considerano la vita dell’uomo disponibile; dall’altro coloro che difendono l’intangibilità della vita umana.
La questione sociale, centrale nei secoli precedenti, oggi è diventata una questione radicalmente antropologica, in quanto la vita umana è posta, nel mondo contemporaneo, nelle mani dell’uomo stesso per via dell’accelerazione prodotta dal progresso delle bio-tecnologie. Ciò pone non solo delle domande importanti, ma richiede delle risposte urgenti, per evitare che la vita dell’uomo diventi in definitiva una merce.
Le impostazioni liberal-radicali, utilitariste, socio-biologiste e addirittura transumaniste a partire da differenti premesse giungono alla comune presa d’atto che l’uomo, in fondo, è prodotto di se stesso e come tale può determinarsi come vuole, ossia essere il giudice assoluto circa la sua vita e la sua morte. Quindi, secondo questa visione dell’uomo, le legislazioni possono prevedere, a colpi di maggioranza, quando la vita degli uomini ha inizio e quando deve finire perché giudicata non più degna di essere vissuta.
La visione personalista, invece, considera l’uomo non un qualcosa, ma un “qualcuno”, ossia un essere dotato di ragione, che vive grazie al legame con gli altri e dunque naturalmente relazionale, certamente libero, ma allo stesso tempo responsabile circa le proprie scelte e azioni, capace di amare. Su questa scia, non possiamo non ricordare che il Cristianesimo, sin dal suo sorgere, è stato fondamentale nel riconoscere all’uomo la sua alta dignità di essere, o meglio ancora di creatura, ad immagine e somiglianza di Dio.
Se l’uomo, dunque, è persona, la sua straordinaria dignità si esprime nella sua vita, sin dal concepimento e fino alla morte naturale. E ciò perché la sua identità personale è realmente codificata sin dal primo istante, in cui emerge una precisa identità genetica, unica e irripetibile.
Questo non può che portarci alla determinazione morale secondo cui la vita dell’essere umano è il primo diritto da garantire. Senza di esso ogni altro diritto, ogni altra qualità non possono essere affermati, perché non sussisterebbe più il soggetto cui attribuirli.
Pertanto, la vita dell’uomo non può essere oggetto di un giudizio a partire dalle qualità che presenterebbe, ma già di per sé è rivestita di una profonda dignità, di un’intangibile sacralità.
Nessuno, di conseguenza, può decidere quando inizia l’essere personale o quando questo cessi: la natura umana stessa ne indica l’esistenza, che va dunque protetta e difesa da ogni tentativo di manipolazione e negazione. Non vi sono infatti motivazioni buone per giustificare, in qualsiasi fase della vita, una sua soppressione.
Basta questo per comprendere che il progresso scientifico e tecnologico, buono di per sé, non può però essere assolutamente sciolto da una riflessione morale che riveli il senso ultimo di ogni procedimento in relazione alla dignità dell’uomo e, ancor prima, a ciò che l’uomo è in quanto persona.
Comprendiamo da questo orizzonte come oggi la sfida fondamentale sia proprio quella di cercare di superare quella fatica, quella confusione, quel disorientamento circa la definizione dell’humanum. Occorre quindi mettere in campo un grande sforzo di riflessione, per illustrare i fondamenti personalisti e smascherare i riduzionismi antropologici di ieri e di oggi.
Lunedì, 25 aprile 2022