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La croce e il Libano

5 Agosto 2020 - Autore: Marco Invernizzi

Un popolo già martoriato, ha conosciuto un nuovo disastro. Preghiamo per i libanesi, ma facciamo anche conoscere la loro storia esemplare. Perché possano rinascere quanto prima


di Marco Invernizzi

Tutto cominciò il 14 settembre 1982 quando il Presidente eletto Bashir Gemayel (1947-1982) venne assassinato a Beirut in un attentato. Era la festa dell’esaltazione della Croce e il popolo libanese non poté vedere entrare in carica alla guida della Repubblica il figlio del fondatore del partito Kataeb, Pierre Gemayel (1905-1984), che aveva guidato la resistenza libanese contro il terrorismo delle sinistre che avevano usato i palestinesi, e i loro problemi, per distruggere l’esperienza libanese. Da allora la croce non ha più abbandonato questo popolo. Non che prima non ci fossero stati problemi, a cominciare dalla guerra cominciata nel 1975, quando il Libano cristiano accettò di ospitare mezzo milione di palestinesi, espulsi dalla Giordania in seguito al “settembre nero”. Questa guerra sul suolo libanese sarebbe durata quindici anni e si sarebbe conclusa con la dominazione siriana, che toglieva al Paese dei cedri la libertà e l’indipendenza.

Trent’anni dopo il Libano è ancora dominato dalla stessa potenza straniera, vive una crisi non solo politica ma anche economica gravissima, ha visto scomparire quasi interamente la propria classe dirigente cristiano-maronita e, in queste condizioni, ha subito la diffusione del Covid-19 nei mesi scorsi e oggi vive le conseguenze del drammatico incidente avvenuto nel porto di Beirut (o attentato, ancora non si riesce a capire), che ha già provocato un centinaio di morti e 4.000 feriti.

In questi lunghi anni abbiamo conosciuto e accompagnato la via crucis del Libano. Alleanza Cattolica è stata fin da subito accanto alla resistenza dei cristiani libanesi, quando non era facile in Europa difenderli, perché opponendosi alle sinistre erano tacciati di fascismo, e noi con loro. Se dovessimo spiegare cosa significhi fare apostolato culturale bisognerebbe ritornare agli Anni 70, quando giravamo l’Italia con qualche testimone libanese per spiegare che il fascismo non c’entrava niente, ma si trattava di difendere un modello di civiltà dal terrorismo islamista e allora filosovietico.

Il Magistero della Chiesa ci diede sempre i riferimenti ideali: il Libano era un “messaggio” non solo un Paese, come disse ripetutamente san Giovanni Paolo II, perché in quella terra si realizzava un’esperienza politica di libertà nella pluralità delle tante confessioni religiose che ci vivevano. Proprio per questo, con ogni probabilità, questa esperienza politica è stata fatta saltare, lasciando il Paese in mano ai diversi fondamentalismi, all’odio e alla violenza. E’ stato un lavoro culturale lungo e difficile, ma oggi è finalmente passata nell’opinione pubblica un’idea del Libano più aderente alla realtà.

Fra i diversi libanesi che vennero in Italia ci fu Jocelyne Khoueiry (1955-2020) che proprio in questi giorni ci ha lasciato per andare in cielo e che abbiamo appena ricordata con il bell’articolo di PierLuigi Zoccatelli.

La ricordo ancora perché ci ha insegnato qualcosa di importante, che va oltre la semplice amicizia. Ella ha combattuto in armi per difendere il suo Paese aggredito e la stessa comunità cristiana, ma a un certo punto della vita ha capito che questo non era più sufficiente. I combattenti libanesi erano bravi giovani che amavano la loro terra e, anche se disprezzati da un pacifismo vigliacco e ideologico, non facevano altro che il loro dovere. Ma questo non bastava più. Il Libano non potrà rinascere come messaggio di pace e di coesistenza fra diverse comunità religiose, se i cristiani, e in particolare i maroniti, non sapranno ricominciare dall’esperienza originaria della loro storia. Jocelyne questo ha fatto: è tornata all’origine, per andare più a fondo nella propria fede cristiana, perché quest’ultima non fosse soltanto un’appartenenza identitaria, culturale e nazionale, ma fosse il fuoco delle origini, quel fuoco che animò san Marone (+ 410 circa) e san Charbel Makhluf (1828-1898) e che ha permesso al Libano di diventare un’oasi di libertà in un mondo islamico.

La sua scelta di combattente che scopre l’importanza più grande della spiritualità e della cultura mi ha aiutato molto a capire che cosa siamo chiamati a fare anche in Europa. Del resto la Contro-Rivoluzione non è un ritorno al passato, ma la ripresa delle origini.

Mercoledì, 5 agosto 2020

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Info Marco Invernizzi

Marco Invernizzi nasce a Milano nel 1952. Nel 1977 si laurea in filosofia all'Università Cattolica del Sacro Cuore con una tesi su Il periodico "Fede e Ragione" nell'ambito della storia del Movimento Cattolico italiano dal 1919 al 1929, relatore il professor Luigi Prosdocimi. Dopo gli studi universitari continua ad approfondire, in modo non puramente intellettualistico - dal 1972 milita in Alleanza Cattolica, della quale è stato responsabile per la Lombardia e per il Veneto fino al 2016 -, le vicende del movimento cattolico in Italia. Ha pubblicato, fra l'altro, Il movimento cattolico in Italia dalla fondazione dell'Opera dei Congressi all'inizio della seconda guerra mondiale (1874-1939), Mimep-Docete, 1995; L'Unione Elettorale Cattolica Italiana. 1906-1919. Un modello di impegno politico unitario dei cattolici, Cristianità, 1993; I cattolici contro l’unità d’Italia? L’Opera dei Congressi (1874-1904), Piemme 2002; Il beato Contardo Ferrini. Il rigore della ricerca, il coraggio della fede (1859-1902), 2 ed. aggiornata e ampliata, Alberti, 2010; Luigi Gedda e il movimento cattolico in Italia, Sugarco 2012; San Giovanni Paolo II. Un’introduzione al suo Magistero, Sugarco, 2014; La famiglia in Italia dal divorzio al gender (con G. Cerrelli), Sugarco, 2017. Scrive regolarmente su Cristianità e su Tempi. Dal 1989 conduce a Radio Maria la trasmissione settimanale La voce del Magistero. Dal 28 maggio 2016 è Reggente nazionale di Alleanza Cattolica.
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