Marco Invernizzi, Cristianità n. 393 (2018)
«La democrazia del narcisismo. Breve storia dell’antipolitica». Una lettura
Il punto di partenza dell’opera del politologo e storico Giovanni Orsina (1) sta nel preteso «diritto alla felicità» che gli italiani sentono di avere nei confronti di un sistema politico, quello democratico-repubblicano fondato sulla Costituzione del 1948, e dal quale, in particolare dal ceto politico-partitico, a questo riguardo si sentono traditi. Questa mancanza di fiducia nel ceto politico, che è diventato un vero e proprio caprio espiatorio in occasione delle vicende dette di Tangentopoli del 1992-1993, si protrae nonostante i cambiamenti prodotti dalla crisi di quei due anni. Infatti, né la nascita del «berlusconismo» — un fenomeno politico sorto da aspirazioni popolari antipolitiche e durato oltre venti anni (2) — né la guida del Paese da parte del Partito Democratico e del presidente del Consiglio Matteo Renzi — anch’egli, in qualche modo, un prodotto del tentativo di rinnovare da sinistra la vecchia politica — sono riusciti a dare stabilità al sistema politico uscito dalle macerie create da Tangentopoli e dall’abbattimento del Muro di Berlino, nel 1989, che di fatto ha inaugurato l’attuale epoca post-moderna e post-ideologica (3). Non era riuscito a dare stabilità e a far uscire dalla crisi il Paese neppure il tentativo di affidare il governo a un tecnico — o, forse, a un tecnocrate (4) — legato all’Unione Europea, il senatore a vita Mario Monti. Oggi il Paese sta sperimentando un nuovo esecutivo, fondato sull’alleanza inedita fra MoVimento 5 Stelle e Lega, i due partiti cosiddetti «populisti» che rappresentano, insieme, circa la metà dei votanti alle consultazioni politiche del 4 marzo 2018.
In questo periodo, sostiene l’autore, è emerso un tipo umano che egli definisce «narcisista», ossia uno — dei numerosi italiani — che si sente tradito e in credito nei confronti del sistema politico e in particolare dei suoi rappresentanti: «Possiamo dubitare che abbiano ragione, ma non possiamo fare a meno di interrogarci sulle loro ragioni» (p. 11), spiega Orsina, fornendo così il senso ultimo del proprio libro.
I problemi della democrazia
Utilizzando come guide autori classici, quali il visconte francese Alexis Henri Charles de Clérel de Tocqueville (1805-1859), il filosofo spagnolo della politica José Ortega y Gasset (1883-1955) nonché lo storico e linguista olandese Johan Huizinga (1872-1945), e autori odierni, come il filosofo italiano Augusto Del Noce (1910-1989) e il letterato e sociologo bulgaro-britannico Elias Canetti (1905-1994), Orsina si addentra nell’esame delle vicende storiche del sistema democratico, e delle insoddisfazioni e delle inquietudini dei suoi cittadini.
Una data discriminante è la Prima Guerra Mondiale (1914-1918), una guerra «grande» non soltanto perché per la prima volta ha coinvolto tutti o quasi gli Stati del mondo, ma anche per le sue conseguenze antropologiche. Essa, infatti, segna la fine di un mondo storico, con i suoi princìpi, le sue gerarchie e le sue certezze, e inaugura una stagione nuova e drammatica, dove le diverse ideologie aspirano a costruire uomini e mondi nuovi per «[…] edificare tutto e il contrario di tutto» (p. 29).
Il primo conflitto mondiale produce il passaggio da una società ancora in parte «tradizionale» a una società di massa, egemonizzata cioè da partiti diventati appunto di massa dopo il periodo liberale ed elitario ottocentesco. Le democrazie liberali sembrano lasciare il passo alle ideologie che sconvolgono l’Europa, dando vita a una guerra «civile», materializzatasi in seguito alla rivoluzione comunista in Russia nel 1917, all’ascesa del fascismo in Italia nel 1922 e all’avvento del nazionalsocialismo in Germania nel 1933 (5). Entriamo così nelle «ombre del domani», il titolo originale del libro pubblicato da Huizinga nel 1935 e tradotto in italiano come La crisi della civiltà (6), che intuisce la tragedia incombente sul continente europeo.
La domanda che ci si può porre è come mai l’uomo narcisista della Belle epoque d’inizio secolo XX, attratto dallo scientismo che illude di poter risolvere qualsiasi problema, affascinato dalle prime scoperte tecnologiche, s’invaghisca di ideologie radicali che portano alla Seconda Guerra Mondiale (1939-1945), con i cinquanta milioni di morti e le distruzioni che conosciamo.
Se la Prima Guerra Mondiale ebbe come effetto la politicizzazione radicale — la «nazionalizzazione delle masse» (7) —, al contrario la Seconda ha prodotto un «profondo desiderio di normalità» (8). E così sarà per un ventennio, fino alla nuova esplosione rivoluzionaria del 1968. Un ventennio in cui il narcisista occidentale crede che stabilità, libertà e benessere siano dati acquisiti per sempre, che gli spettino di diritto, salvo infuriarsi quando si rende conto che stanno nuovamente per venir meno (cfr. p. 48).
Il narcisista
Il narcisista è colui per cui «[…] il mondo può allora essere giudicato soltanto per quanto ostacoli o favorisca il benessere psicologico individuale di chi lo abita. Ossia per il suo valore psicoterapeutico» (p. 57). Il tipo umano del narcisista nasce negli anni 1970, in una generazione, cioè, che non ha conosciuto la tragedia della guerra e corre un rischio maggiore di confondere la realtà con il proprio sentire, di concentrarsi solo sul presente e di non distinguere il piano oggettivo da quello soggettivo. Sebbene, a partire da questo periodo, le patologie dovute a fenomeni di narcisismo siano aumentate, a Orsina interessano le conseguenze politiche del diffondersi di questo tipo umano.
Egli le studia dunque utilizzando come guida Del Noce, che dal 1968 comincia a riflettere sulla crisi teoretica del marxismo, sconfitto dalla cosiddetta «società del benessere», che vanifica l’idea marxista della fatalità della rivoluzione all’interno del mondo capitalistico. Si tratta allora di trovare una nuova base, ideologica e sociale, dalla quale partire per fare la Rivoluzione, che viene trovata nella liberazione degli istinti individuali (cfr. p. 64), usando come guide la cosiddetta Scuola di Francoforte e il filosofo tedesco Herbert Marcuse (1898-1979) in particolare.
Nasce così quella che il pensiero cattolico contro-rivoluzionario chiama la «quarta fase» del processo di disgregazione della società cristiana — dopo la «Riforma» protestante del 1517, la Rivoluzione Francese del 1789 e il comunismo, realizzatosi concretamente a partire dal 1917 —, che trova nel cosiddetto Sessantotto il proprio modello rivoluzionario. Una Rivoluzione «[…] perfettamente riuscita e perfettamente fallita. Perfettamente riuscita, perché ha realmente trasformato radicalmente il mondo; completamente fallita rispetto al suo ideale di liberazione universale» (9).
Il Sessantotto cambia il mondo, ma costringe la Rivoluzione al suicidio. Certamente nella sua fase marxista, come apparirà con ogni evidenza nel 1989, ma in qualche modo anche con il suo nichilismo che distrugge tutto ciò che incontra. Certamente le élite politiche perdono potere a favore di istituzioni internazionali, di giudici e di tecnocrati. Comincia la stagione dei diritti, civili, politici e sociali, sessuali, in nome dei quali si svolge la rivoluzione che cambia il costume e la cultura degli italiani. Le classi politiche perdono di importanza: le sinistre, che promuovono la cultura dei «diritti», perché tolgono potere a loro stesse aumentando il processo di disgregazione delle istituzioni e quindi della politica; le destre, che si oppongono poco e male ai «diritti», perché avrebbero scelto «la bandiera del mercato» (p. 101). Lo scontro fra destra e sinistra «[…] deperisce perché le due parti sono venute convergendo sempre di più», in quanto le destre avrebbero accettato i «diritti» e le sinistre il mercato. Così «bisognerebbe smettere di chiamarli conservatori e progressisti, visto che quelli non hanno più nulla da conservare, e questi più nessun progresso da perseguire» (p. 102).
È in questo contesto che nascono i nuovi attori politici cosiddetti «populisti», «[…] la cui autentica ragion d’essere consiste molto spesso nel rifiuto del consenso consolidatosi intorno alla linea individualismo-diritti-mercato e nel desiderio di ridare spazio alla politica come impresa identitaria e collettiva» (ibidem).
Sempre in questo contesto, la classe politica che aveva detenuto per decenni il potere si accinge a diventare il capro espiatorio «[…] contro il quale un elettorato deluso, sconcertato, instabile, emotivo sfoga tutta la propria frustrazione» (p. 107).
Tangentopoli
La crisi italiana del 1992-1993 sfocia in un odio per la politica e per i politici, che, secondo Orsina, è sproporzionato rispetto ai demeriti della classe politica. La crisi è stata resa possibile da una serie di condizioni storiche: «[…] la infedeltà ai partiti […] in ritirata, le infelici condizioni della finanza pubblica […], la fine della Guerra Fredda [che] rendeva la difesa dal comunismo non più necessaria, e l’approfondirsi del processo d’integrazione europea [che] dava da credere — erroneamente — che l’Italia fosse ormai governata da Bruxelles» (p. 143).
Usando come guida questa volta il testo Massa e potere di Elias Canetti (10), Orsina descrive la drammatica situazione creatasi all’indomani dell’abbattimento del Muro di Berlino e la conseguente situazione specifica in cui si viene a trovare l’Italia. La massa viene aizzata contro un nemico ritenuto la causa del «male italiano». La massa aizzata, da media e magistratura soprattutto, come scrive Canetti, «[…] si propone di uccidere, e sa chi ucciderà» (p. 164). E non viene ucciso soltanto un uomo, ma un sistema politico. Non vi sono solo la scomparsa di Benedetto «Bettino» Craxi (1934-2000) in esilio e gli inquisiti morti suicidi in carcere o altrove, ma anche la fine di un intero ceto politico.
«Berlusconismo» e «antiberlusconismo»
Tuttavia, il risentimento contro la politica non si spegne con questa scomparsa. Secondo Orsina, gli italiani si rendono conto «[…] di averla fatta grossa», eliminando addirittura un ceto politico dalla scena pubblica, e si sentono destinati «[…] a non ritrovare mai più la tranquillità fin quando non avranno ottenuto in cambio qualcosa di altrettanto grosso: un nuovo miracolo economico, magari, o la scomparsa del debito pubblico, o la conclamata maturità europea» (p. 165).
I diversi cosiddetti «populismi»
L’ipotesi di Orsina è che l’antipolitica esplosa nella crisi di «Tangentopoli» si sarebbe canalizzata negli anni successivi sia a destra, con Silvio Berlusconi, sia a sinistra, con l’«antiberlusconismo». Ma questa dialettica si è spezzata con la crisi del debito sovrano del 2011 e con il declino del Cavaliere, favorendo la nascita di un movimento, «[…] il Movimento 5 Stelle, capace di trascendere la divisione fra destra e sinistra e di attingere all’antipolitica pura» (p. 167).
Il libro si conclude così, rifiutando sia l’ottimismo sia il pessimismo, ma nella convinzione che la crisi della politica sia sempre più evidente: «[…] se la lista dei sintomi è chiara, tuttavia, […] la prognosi e soprattutto la cura restano ancora, in larghissima misura, avvolte nell’oscurità» (p. 169).
La crisi esiste ed è profonda, mi permetto di aggiungere, ma non è la prima e non sarà l’ultima.
Marco Invernizzi
Note:
(1) Cfr. Giovanni Orsina, La democrazia del narcisismo. Breve storia dell’antipolitica, Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2018. I numeri delle pagine tra parentesi citate nel testo si riferiscono a questo libro.
(2) Sul qual cfr. Idem, Il berlusconismo nella storia d’Italia, Marsilio, Venezia 2013.
(3) Su questa prospettiva, cfr. Paolo Mazzeranghi, La tecnocrazia, in I.D.I.S., Istituto per la Dottrina e l’Informazione Sociale, Dizionario del pensiero forte, a cura di Giovanni Cantoni, alla pagina web <www.alleanzacattolica.org/idis_dpf/voci/t_tecnocrazia.htm>. Per una lettura dell’«esperimento tecnocratico» tentato in Italia dopo l’abbattimento del Muro di Berlino, cfr. G. Cantoni, L’«effetto 1989» sulle elezioni europee del 13 giugno 1989: la «liberazione del voto», in Cristianità, anno XXVII, n. 290-291, giugno-luglio 1999, pp. 3-7.
(4) Sui precedenti dell’«esperimento tecnocratico» in Italia, cfr. G. Cantoni, Repubblica Italiana: laboratorio per un regime tecnocratico?, in Cristianità, anno XXIII, n. 247-248, novembre-dicembre 1995, pp. 3-4, e Idem, Dal «governo dei tecnici» al «partito dei tecnici» e oltre, ibid., anno XXIV, n. 250-251, febbraio-marzo 1996, pp. 3-4.
(5) Sul concetto di «guerra cvile europea» di «dimensione mondiale», cfr. dello storico e filosofo tedesco Ernst Nolte (1923-2016), La guerra civile europea 1917-1945. Nazionalsocialismo e bolscevismo, trad. it., con Presentazione di Gian Enrico Rusconi, Rizzoli, Milano 2008.
(6) Cfr. Johan Huizinga, La crisi della civiltà, trad. it., Pgreco, Milano 2012.
(7) L’espressione è stata resa celebre — in relazione al nazionalsocialismo tedesco — dallo storico tedesco naturalizzato statunitense George Lachmann Mosse (1918-1999); cfr. La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania (1815-1933), trad. it., Introduzione di Renzo De Felice (1929-1996), il Mulino, Bologna 2009.
(8) Tony Judt, Postwar. La nostra storia. 1945-2005, trad. it., Laterza, Roma-Bari 2017, p. 107.
(9) Augusto Del Noce, Pessimismo, 1973, in Idem, Rivoluzione, Risorgimento, Tradizione. Scritti su «L’Europa» (e altri, anche inediti), a cura di Francesco Mercadante, Antonio Tarantino e Bernardino Casadei, Giuffrè, Milano 1993, pp. 445-457 (p. 456). Su alcuni aspetti della rivoluzione del Sessantotto, cfr. Enzo Peserico (1959-2008), Gli anni del desiderio e del piombo. Sessantotto, terrorismo e Rivoluzione, Sugarco, Milano 2009.
(10) Cfr. Elias Canetti, Massa e potere, trad. it., Adelphi, Milano 2015.