L’antica acclamazione, scandita ancora una volta l’8 settembre alla morte di Elisabetta II d’Inghilterra, e l’antica ritualità della monarchia inglese ci conducono dritti ai secoli della Cristianità, di cui sono espressione. La gente che osserva con sacro stupore i cerimoniali di questi giorni esprime inconsapevolmente la nostalgia profonda per la civiltà cristiana che li ha generati
di Stefano Nitoglia
«La regina è morta, viva il re!»: con questa antica esclamazione, risalente alla Francia prerivoluzionaria e da lì estesasi alle altre nazioni cristiane, Inghilterra compresa, è stata annunciata la morte della regina Elisabetta II (1926-2022), avvenuta l’8 settembre scorso nel castello di Balmoral, in Scozia.
Questa locuzione significa stabilità, continuità e tradizione, valori che sembrerebbero oggi scomparsi e che riassumono icasticamente l’essenza della monarchia. Per questo essa è suonata come un salutare schiaffo in faccia al mondo moderno, così come le cerimonie e il rituale che l’hanno accompagnata e che l’accompagneranno ancora, fino ai solenni funerali, fissati per lunedì 19 settembre. E forse ci accompagneranno ancora oltre.
Sono cerimonie e riti che il popolo inglese, anche quello minuto, anche quello costituito da immigrati, forse di seconda o terza generazione, ha mostrato di apprezzare molto, come si è potuto vedere in televisione dalle folle che, all’annuncio della morte, sono accorse a Buckingham Palace a salutare con devozione autentica (non pochi gli hanno baciato le mani, come si faceva un tempo) il nuovo re Carlo III, sceso ad incontrare la folla, e in altre parti del Regno Unito di Gran Bretagna.
La nostra cultura razionalista, derivante dall’Illuminismo, o, peggio, materialista di derivazione socialista, ci impedisce di apprezzare il mistero nascosto nei segni, nei simboli. Eppure esiste qualcosa che la ragione non può spiegare, ma che i popoli cercano, anche inconsciamente: il desiderio di una identità comune nella quale riconoscersi attraverso un simbolo. Il re (o la regina) rappresenta questo per coloro che in queste ore si accalcano per un ultimo saluto a Elisabetta e per augurare un buon inizio a Carlo III. Forse non saprebbero spiegarla, ma “sentono” questa esigenza e la esprimono come possono.
Elisabetta ha regnato per 70 anni, servendo la monarchia, il Paese e i suoi sudditi (che parola orribile per le “pie orecchie” moderne!) con abnegazione eroica.
Alcuni diranno, e già dicono: “ma è una regina protestante (precisamente anglicana), di una dinastia che ha molti rappresentanti massonici, parecchi dei quali con una vita privata assai discussa, come le si può rendere omaggio?”. Gli aspetti negativi menzionati sono reali (i nostri politici, però, non brillano certamente al confronto), ma qui non intendiamo celebrare la persona, ma i simboli, i riti e le tradizioni della monarchia britannica, vestigia di un antico passato, risalente all’antica Cristianità, che l’Inghilterra, con lo scisma di Enrico VIII (1491-1547), ha formalmente rinnegato, ma che lì, misteriosamente, continua a sopravvivere in questi simboli, in questi riti, in queste tradizioni che, invece, altrove (come da noi in Italia) sono quasi del tutto scomparsi.
Certamente questi simboli, riti e tradizioni possono ora sembrare un involucro vuoto. Ma questo involucro, in quanto esistente, merita di essere conservato, in attesa di essere riempito con il fuoco dello Spirito, come lo era nei tempi antichi. Come insegna Nostro Signore, non bisogna spezzare la canna già incrinata, né spegnere il lucignolo che ancora fumiga (Mt. 12,20-21). Quando e come avverrà questo rinnovamento nello Spirito? «Dio solo lo sa: noi dobbiamo tacere, pregare sospirare ed aspettare: Expectans expectavi (Sal 39,2)» (san Luigi Maria Grignion de Montfort, Il trattato della vera devozione alla Vergine Maria, n. 59).
Martedì, 13 settembre 2022