di Domenico Airoma
Hanno fatto molto discutere i recenti interventi che hanno interessato gli statuti del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e Famiglia.
Non mi interessa fare processi alle intenzioni. E prendo atto del comunicato dei vertici dell’Istituto che, nel mettere in guardia da un’informazione distorta e faziosa, talvolta in mala fede, chiarisce che il nuovo progetto accademico si configura come “un allargamento della riflessione sulla famiglia e non come una sostituzione di temi e argomenti” (Vatican News, 30.7.2019).
Tuttavia gli interrogativi scaturiti da tali iniziative, non rilevando –valga la reciprocità!- se siano posti in buona o cattiva fede, costituiscono occasione per svolgere una breve riflessione e rinnovare un impegno.
Se, come è stato assicurato, si tratta di un rafforzamento dell’assetto teologico, e se l’istituto non intende affatto –come pure è stato ribadito a proposito della proclamata infondatezza della notizia relativa alla soppressione della cattedra Karol Wojtyla- mettere da parte il magistero del Pontefice polacco, allora c’è da attendersi nuova linfa nell’elaborazione di criteri di giudizio che nel buio dell’ora presente guidino verso lo splendore della verità. E soprattutto, studi che smascherino la diffusa “opinione che mette in dubbio il nesso intrinseco e inscindibile che unisce tra loro la fede e la morale, quasi che solo in rapporto alla fede si debbano decidere l’appartenenza alla Chiesa e la sua unità interna, mentre si potrebbe tollerare nell’ambito morale un pluralismo di opinioni e di comportamenti, lasciati al giudizio della coscienza soggettiva individuale o alla diversità dei contesti sociali e culturali” (Veritatis splendor, n. 4).
Se tutto ciò accadrà, i frutti non tarderanno a maturare e tutti, credenti e non, ne potranno godere.
Se, però, più di seicento studenti dell’Istituto esprimono profondo sgomento per i nuovi Statuti, c’è da essere seriamente preoccupati per il futuro non solo dell’Istituto ma della libertà della ricerca teologica, soprattutto per quella che intende sviluppare gli insegnamenti di Giovanni Paolo II.
E’ un compito indubbiamente grave quello che attende il teologo moralista, esposto com’è ai pericoli del relativismo, del pragmatismo e del positivismo, ovvero al rischio di considerare la verità delle norme morali in qualche modo indebolita dalla diffusa disapplicazione (VS, n. 112). Ed è però un compito fondamentale per aiutare i Pastori a rispondere alla domanda originaria che gli uomini pongono alla Chiesa: Che cosa è il bene o il male? Che cosa fare per ottenere la vita eterna? (VS, n. 111).
Ai fedeli laici, tuttavia, spetta il compito di fare in modo che questa domanda torni a risuonare nel cuore e sulla bocca del nostro prossimo. Ai laici –che devono sentirsi parte viva e responsabile di quella magnifica impresa che è la nuova evangelizzazione (Christifideles laici, n. 64)- tocca pure impegnare il sensus fidei per denunciare ogni posizione teologica che si ponga in dissonanza con la risposta tradizionale della Chiesa sulle questioni rilevanti per la vita di fede dei cristiani, nonché per la stessa convivenza umana (VS, n. 7).
Con la speranza di rimanere –con l’aiuto della Santa Vergine- fedeli alla Verità, che resiste ad ogni epurazione, dichiarata o praticata. E con la speranza che ciò accada anche per l’Istituto che porta il nome del santo pontefice che ha invitato a spalancare le porte alla Verità, non alla Pravda.
Venerdì, 02 agosto 2019