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L’ateismo organizzato: protesta o religione?

5 Giugno 2001 - Autore: Alleanza Cattolica

Massimo Introvigne, Cristianità n. 305 (2001)

 

Articolo anticipato, con il titolo Dove gli atei fanno la cresima, in Avvenire. Quotidiano di ispirazione cristiana, anno XXIV, n. 108, 8-5-2001, p. 22.

 

Oslo (Norvegia), 4 maggio 2001. Lisa ha venticinque anni, è bionda, e fa la catechista. “Domenica c’è la cresima — racconta — e ho dovuto preparare trenta ragazzi. Il catechista dell’altra classe è partito come missionario per l’Honduras e così ho dovuto preparare due gruppi invece di uno. Una faticaccia, ma l’ho fatto volentieri”. Scene di ordinaria parrocchia? Piuttosto il contrario: Lisa fa parte dell’Associazione Norvegese degli Umanisti, la branca locale dell’IHEU, l’International Humanist and Ethical Union, l’organizzazione internazionale che riunisce atei, laicisti e “umanisti secolari” dei cinque continenti. E la cresima di cui parla è una cresima laica, “cresima senza Dio”, creata esattamente cinquant’anni fa, il 6 maggio 1951, per far concorrenza alla cresima cristiana in Norvegia — un rito di passaggio fondamentale per le famiglie di questo paese — e oggi diffusa in numerosi paesi. Residui di un anticlericalismo ottocentesco? Non proprio, e non solo. In paesi come l’Italia l’ateismo organizzato si trascina piuttosto stancamente: vi sono due organizzazioni affiliate all’IHEU, la veneranda Associazione Nazionale del Libero Pensiero Giordano Bruno, fondata nel 1906, e l’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, nata nel 1986 a Padova per riunire gli atei “duri”, infastiditi dal riferimento nel nome dell’associazione più antica a un pensatore dopo tutto non proprio razionalista come Giordano Bruno: ma i membri attivi sono poche centinaia. Le cose stanno ben diversamente in Norvegia: la branca locale dell’IHEU ha 62.000 iscritti, e il 14% dei quattordicenni norvegesi sceglierà quest’anno la “cresima laica”, contro un 73% che non rinuncia alla cresima luterana, nonostante i luterani praticanti in questo secolarizzato paese siano solo il 5%. Non solo: nel 2001 gli Umanisti norvegesi si aspettano centomila presenti alle loro cerimonie, che comprendono anche “cerimonie del nome” — l’equivalente del battesimo —, matrimoni, funerali e matrimoni per omosessuali. Benvenuti a Oslo, dunque, capitale mondiale del libero pensiero, sede — sospira un patriarca dell’ateismo americano, Paul Kurtz — della più grande organizzazione atea del mondo “e anche dell’unica ricca”. Per celebrare i cinquant’anni della “cresima laica” gli Umanisti locali ospitano il convegno mondiale dell’IHEU — i partecipanti arrivano da tutto il mondo, dal Bangladesh all’Australia all’Africa; assenti però, segno di crisi anche questo, i delegati italiani — e si permettono anche il lusso di farlo aprire, con una relazione sulla libertà religiosa, da un cattolico dichiarato e non pentito come chi scrive queste righe: il che mostra almeno che non manca, anche fra gli atei, qualcuno dotato di un certo senso dell’umorismo. Invitata anche la Chiesa di Norvegia, luterana, nella persona del pastore Ornulf Steen, che loda la disponibilità al dialogo degli Umanisti ma si permette anche una battuta: “Il successo della cresima laica? È dovuto anche al fatto che la preparazione dura sei mesi, mentre la nostra richiede un anno di catechismo e un impegno molto più costante delle famiglie”. Polemiche a parte, il pastore Steen ammette che la Chiesa luterana di Stato in Norvegia è ai minimi storici, e che gli Umanisti si sono rivelati un’alternativa sorprendentemente efficiente, il che non è negli altri paesi scandinavi: nella vicina Svezia gli Umanisti organizzati sono solo 700. L’ateismo trionfa a Oslo, dunque, rovesciando tutte le teorie sociologiche secondo cui gli atei nel mondo postmoderno sono ovunque in diminuzione e in declino? Non è sicuro che sia proprio così, e per diverse ragioni.

Al congresso di Oslo è emersa una dura contrapposizione fra due anime del movimento ateo e “umanista” internazionale. Thomas Hylland Eriksen, antropologo dell’università di Oslo e ospite fisso delle televisioni norvegesi, si fa beffe del “riduzionismo scientista” e afferma che le cerimonie degli Umanisti in Norvegia hanno successo perché non si limitano a celebrare la ragione e la scienza ma offrono qualche cosa di completamente diverso: “miti”, “simboli” e una “trascendenza immanente”. Del resto, spiega qualche ateo norvegese, il matrimonio “umanista” non è — ancora — riconosciuto agli effetti civili: occorre dunque sposarsi prima in municipio, e chi richiede anche la cerimonia “umanista” si aspetta che il celebrante gli trasmetta qualche cosa di più e di diverso dal sindaco. “Niente affatto — ribatte il segretario mondiale dell’IHEU, l’indiano Babu Gogineni —, le cerimonie umaniste non devono trasmettere nessun mito o significato trascendente, anzi non trasmettono significati agli atei che le praticano, servono solo a testimoniare l’ateismo di fronte alla società. E in nessun caso devono diventare una nostra priorità. Il nostro scopo è sostituire alla religione la scienza”. “E non permetto a nessuno — aggiunge rivolto al professor Eriksen — di farsi beffe della scienza a un congresso dell’IHEU”. Lo appoggiano Paul Kurtz — che su questi punti ha assistito a una spaccatura del mondo scettico organizzato negli Stati Uniti d’America — e la delegazione del Bangladesh, che propone di eliminare qualunque solennità dai funerali atei, donando anzi tutto il corpo dell’ateo defunto alle facoltà di medicina e alla scienza. Sembra proprio che non vi sia una sola forma di ateismo organizzato, ma due. La prima è soprattutto “contro” le religioni tradizionali, cui si propone di sostituire la modernità e la scienza: è la forma in crisi nell’Occidente passato dal moderno al postmoderno, anche se appare ancora viva e vitale in paesi dell’Africa e dell’Asia da poco entrati nella modernità e dove il passaggio postmoderno è di là da venire. La seconda — quella che trionfa in Norvegia — dialoga con le religioni tradizionali e offre miti, simboli, “trascendenze” alternative, anche se non tutti le chiamano così, e anche nella delegazione norvegese vi è chi critica il professor Eriksen. Ma questa seconda versione dell’”umanesimo secolare” o dell’ateismo alla norvegese è “non religiosa” solo se si adotta la definizione teologica tradizionale di religione, che presuppone una relazione con Dio o con un Divino trascendente. Molti sociologi preferiscono una definizione funzionale: religione come sistema che traduce in simboli e riti, creando una comunità, un complesso di risposte alle domande fondamentali sul significato della vita umana. In questa definizione funzionale l’ateismo alla norvegese sembrerebbe rientrare perfettamente, nonostante le smentite dei suoi dirigenti, senza neppure il bisogno di scomodare categorie come “religione implicita” o “quasi-religione”. Il paradossale successo dell’ateismo organizzato in Norvegia, così, non è l’eccezione che conferma la regola del declino postmoderno dell’ateismo, ma è un’illustrazione ulteriore della regola: nell’Occidente postmoderno l’ateismo declina, a meno che accetti di trasformarsi a sua volta in una sorta di nuova religione.

Massimo Introvigne

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